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Ddl Bilancio/ Previdenza integrativa: più adesioni, la rendita può servire per raggiungere l’assegno sociale
di Claudio Testuzza
24 Esclusivo per Sanità24
L’art. 28 della legge finanziaria, in discussione alle Camere, ha previsto una sorta di aiuto per i lavoratori interamente contributivi, ossia chi è in attività dal 1996. Per raggiungere la soglia dell’assegno sociale ( 534,41 euro ) necessaria per accedere al pensionamento con 67 anni di età e almeno 20 di versamenti, questi lavoratori potranno utilizzare l’eventuale rendita della pensione integrativa. In pratica si rileva in questo, anche se marginale caso, l’importanza della contribuzione volontaria ad un fondo pensione, oltre evidentemente il fine fondamentale di poter incrementare il trattamento pensionistico obbligatorio falcidiato da sistema contributivo e spesso dalla discontinuità del lavoro e dei relativi contributi. Da questo l’importanza di sollecitare la scelta su questo fronte previdenziale anche grazie i buoni risultati degli ultimi tempi.
L’ultima rilevazione della Covip, la Commissione di vigilanza sui fondi pensione, aggiornata al 30 settembre 2024, conferma, e anzi rafforza, l’andamento positivo della previdenza integrativa nel corso del 2024 e nel confronto con i risultati del 2023. Per la previdenza complementare il 2023 si era già rivelato un anno di crescita dopo la frenata del 2022 dovuta alle difficoltà dei mercati finanziari.
I fondi pensione aperti avevano chiuso il 2023 riuscendo a recuperare il 70% circa delle perdite accumulate l’anno precedente. Il 2022 è infatti passato alla storia come un annus horribilis dei mercati finanziari sia per le Borse che per il reddito fisso. Tanto che, nelle linee censite avevano accumulato, in dodici mesi, perdite medie pari al -10,3%. Il 2023 viene invece chiuso a +7,2%.
Nei primi nove mesi del 2024 si è avuta una crescita delle adesioni del 3,3%, dei contributi incassati del 7,9%, delle risorse destinate alle prestazioni del 6,1% e dei rendimenti. Che in media hanno toccato l’8,9% nei fondi pensione negoziali, il 9,6% in quelli aperti e il 10,3% nei Pip (Piani individuali pensionistici).
Tuttavia è bene ricordare che i mercati finanziari non possono crescere all’infinito. Partendo da questo assunto, bisogna constatare però che le Borse continuano a salire, toccando valori quest’anno che sembravano irraggiungibili, di fronte alle incertezze globali, alle tensioni geopolitiche e, più di recente, alle stesse elezioni americane. In pratica il mercato azionario si è polarizzato su un numero ristretto di società, a partire dalle big tech americane, che hanno continuato a prosperare contribuendo alle buone performance delle Borse. Per cui, è probabile che avremo ancora periodi positivi finché questa realtà continuerà.
A settembre 2024, il totale di posizioni in essere delle forme pensionistiche complementari è di 11 milioni, il 3,3 per cento in più rispetto alla fine del 2023. A tali posizioni, che includono anche quelle di coloro che aderiscono contemporaneamente a più forme, corrisponde un totale degli iscritti di 9,880 milioni.
Le posizioni sono cresciute di 205.900 unità nei fondi negoziali (+5,1 per cento rispetto al dicembre 2023), per un totale complessivo di 4,223 milioni.
Nelle forme pensionistiche di mercato, si contano 90.700 posizioni in più nei fondi aperti (+4,7 per cento) e 47.700 in più nei PIP (+1,3 per cento). Alla fine di settembre, il totale delle posizioni in essere in tali forme è pari, rispettivamente, a 2,041 milioni e 3,829 milioni. Nel corso dello stesso periodo del 2024, fondi negoziali, fondi aperti e PIP hanno raccolto nel complesso 10,5 miliardi di euro, in crescita del 7,9 per cento sul corrispondente periodo del 2023. L’incremento risulta più sostenuto per i fondi aperti (9,7 per cento). Il totale delle risorse destinate alle prestazioni è di 238 miliardi di euro, il 6,1 per cento in più rispetto ai 224,4 miliardi di fine 2023. Circa i tre quinti dell’incremento è dipeso dall’aumento dei corsi dei titoli in portafoglio. Il resto è dovuto ai flussi contributivi al netto delle uscite
L’attivo netto è di 73,5 miliardi di euro nei fondi negoziali, aumentato dell’8,3 per cento rispetto alla fine dell’anno precedente; si attesta a 36,1 miliardi nei fondi aperti e a 53 miliardi nei PIP, rispettivamente, il 10,8 e il 6,1 per cento in più in raffronto al 2023. Nei nove mesi del 2024 i risultati delle forme di previdenza complementare si confermano positivi, con valori più elevati per le gestioni con una maggiore esposizione azionaria. Per i comparti azionari si riscontrano rendimenti medi pari all’8,9 per cento nei fondi negoziali, al 9,6 nei fondi aperti e al 10,3 nei PIP. Nelle linee bilanciate i risultati sono in media pari al 5,8 per cento nei fondi negoziali, al 6,2 nei fondi aperti e al 5,7 nei PIP. Rendimenti medi inferiori, ma comunque positivi, si rilevano per i comparti obbligazionari e garantiti.
Osservando la distribuzione dei risultati dei singoli comparti tra le diverse tipologie di forma pensionistica e le diverse linee di investimento, tutti i comparti azionari e anche una buona parte dei bilanciati mostrano rendimenti più elevati rispetto ai comparti obbligazionari e a quelli garantiti oltreché al TFR, che nello stesso periodo, la sua rivalutazione è risultata pari al 2,3 per cento. Per ciascuna tipologia di linea di investimento, i fondi negoziali mostrano nel complesso una dispersione dei rendimenti dei singoli comparti inferiore a quella che registrano fondi aperti e PIP.
Per fare una migliore valutazione il rendimento va considerato però negli anni, ed infatti la Covip, oltre a comunicare i dati per il 2024, ha pubblicato anche le tabelle con i confronti pluriennali. In un orizzonte più lungo, nei dieci anni compresi tra l’inizio del 2014 e la fine del 2023, il Tfr appare decisamente più competitivo con un rendimento medio del 2,4 % e batte ampiamente le linee obbligazionarie e anche quelle garantite, che mostrano invece rendimenti medi vicini o di poco superiori allo zero. Mentre vanno molto meglio le linee azionarie, con rendimenti medi tra il 4 e il 4,5%. I rendimenti medi delle linee bilanciate, invece, sono compresi tra il 2 e il 3%. Le gestioni separate di ramo I dei Pip, che contabilizzano le attività al costo storico e non al valore di mercato, ottengono un rendimento medio dell’1,7%.
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