Dal governo

Manovra: 3,5 mld alla sanità da banche e assicurazioni, rinviata la riforma strutturale del sistema pensionistico

di Claudio Testuzza

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24 Esclusivo per Sanità24

Il Consiglio dei ministri, guidato dal presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, ha approvato la Manovra finanziaria per il 2025. A comunicarlo è stato il ministero dell’Economia in una nota diramata alla fine della riunione del 15 ottobre 2024 nella quale si legge: “Il disegno di Legge di Bilancio, in linea con l’approccio serio e responsabile dei provvedimenti economici approvati finora dal governo, dispone interventi con effetti pari, in termini lordi, a circa 30 miliardi nel 2025, più 35 miliardi nel 2026 e oltre 40 miliardi nel 2027”.

“Rendiamo strutturale il taglio delle tasse sui lavoratori - ha commentato la premier - e 3,5 miliardi provenienti da banche e assicurazioni saranno destinati alla sanità e ai più fragili per garantire servizi migliori e più vicini alle esigenze di tutti”.

Sul fronte previdenziale nella Manovra 2025 vengono resi strutturali gli impegni del taglio del cuneo contributivo, con gli effetti preoccupanti per le pensioni future, accanto all’accorpamento delle aliquote Irpef articolate su tre scaglioni, già in vigore nell’anno in corso. La manovra appena varata rinvia al futuro una riforma strutturale del sistema previdenziale, fatto salvo che si potranno avere delle variazione, me certo non sorprese eclatanti, nel corso della sua stesura definitiva e poi nella sua discussione in Parlamento. In pratica ci si limita a confermare le misure dell’anno scorso rafforzando, però, gli incentivi per chi sceglie di restare a lavoro.Per favorire la permanenza al lavoro il Governo punta sul rafforzamento del cosiddetto bonus Maroni, oggi, però, già utilizzabile da chi è in possesso dei requisiti per la pensione anticipata (Quota 103) . Il bonus sembrerebbe possa essere ulteriormente rafforzato defiscalizzandolo, almeno in parte, e conferendo la sua piena disponibilità nella busta paga per la quota di contribuzione a carico del lavoratore, il 9,19 %. Lo stesso meccanismo dovrebbe poter essere utilizzabile anche nel pubblico impiego, dove, in ogni caso, a partire da alcuni specifici settori, sarà prevista la possibilità di restare al lavoro, d’intesa con l’amministrazione di appartenenza, uno o due anni oltre la soglia di pensionamento dei 65/67 anni. Contrariamente a quanto, da tempo, auspicato dai nemici della riforma Fornero con le varie proposte per ridurre i tempi per il pensionamento, peraltro portate avanti con le famose quote 100,102,103, con risultati, spesso, controproducenti per le finanze pubbliche e dell’Inps in particolare, la proposta che appare la più praticabile sarebbe, non la invocata “quota 41”ma quella, appunto, di innalzamento degli attuali requisiti.

Nel 2014 il governo impose la cessazione automatica a 67 anni per i dipendenti pubblici. L’obiettivo era di sfoltire i ranghi della P.A. Ora si valuta il contrario. Cresce l’ipotesi che, oltre alle eccezioni già previste, tutti i dipendenti pubblici possano decidere di continuare a lavorare fino ad almeno i 70 anni. Il rinvio della pensione sarebbe del tutto volontario e non porterebbe né all’innalzamento dei requisiti, né ad un cambio delle condizioni. Il fatto che la misura debba portare un risparmio per le casse dello Stato sembrerebbe però escludere che ci siano anche degli incentivi a rimanere. Ritardare la pensione dei dipendenti statali fino ai 70 anni, sulla base di un meccanismo premiale e volontario, al fine di alleggerire la pressione sul sistema previdenziale e di trattenere nella Pubblica amministrazione le risorse più esperte è l’ipotesi già presentata, nel recente passato, dal ministro della P. A. Paolo Zangrillo al Forum The European House – Ambrosetti di Cernobbio.Ipotesi che riprende, in pratica, quello che è stato previsto per i medici dipendenti e convenzionati con il sistema sanitario nazionale a cui è stata data la possibilità di rimanere in servizio fino a 72 anni d’età. Con l’obiettivo di irrobustire la “copertura previdenziale” dei giovani la manovra dovrebbe prevedere un mini-piano per rafforzare la previdenza complementare. Piano che dovrebbe poggiare su una nuova fase di “silenzio-assenso” per destinare il Tfr ai fondi pensione e su un’apposita campagna informativa per portare a conoscenza dei più giovani potenzialità e vantaggi delle forme integrative. Il Governo in sede tecnica ha anche valutato la possibilità di trasformare, almeno in parte, i 5.164,57 euro di deducibilità prevista per i contributi ai fondi pensione in versamenti effettivi. Tra le ipotesi prese in considerazione in vista della stesura della manovra anche quella che consentirebbe ai lavoratori interamente contributivi (chi è in attività dal 1996) di utilizzare la rendita della pensione integrativa per raggiungere la soglia minima delle 2,8 volte il minimo Inps (salite quest’anno a 3 volte) per accedere al canale di uscita anticipata con 64 anni d’età e 20 di versamenti.

Rinnovati, poi, i canali di uscita anticipata straordinari ovvero Ape sociale, Opzione donna e “Quota 103”, secondo i requisiti più stringenti introdotti dalla manovra finanziaria precedente.Per la prima corsia - riservata a disoccupati (licenziati e dimissionari), lavoratori che assistono da almeno 6 mesi coniuge o parente con handicap, lavoratori con invalidità civile pari almeno al 74% e dipendenti di attività lavorative cosiddette “gravose” - servono 63 anni e mezzo di età e un’anzianità contributiva di almeno 30 anni (per le prime tre categorie di lavoratori) o 36 anni (per l’ultima).Per quanto riguarda le donne, potranno accedere all’anticipo pensionistico solo se hanno maturato 35 anni di contributi e compiuto 61 anni di età, ridotti a 60 anni per chi è mamma di un figlio e a 59 anni in caso di più figli oppure se si è lavoratrici licenziate o dipendenti da aziende in crisi. Mentre per “Quota 103”, una delle “ battaglie ” del leader leghista Matteo Salvini, lo scivolo può avvenire solo con 62 anni di età e 41 anni di contributi versati.

Per quanto riguarda l’adeguamento all’inflazione dell’assegno pensionistico, come è noto, nel 2024 era stato assicurato solo agli importi fino a quattro volte il minimo ovvero 2.460 euro lordi mensili Dovrebbe essere mantenuto il meccanismo “a fasce” con penalizzazioni progressive, originariamente destinato ad esaurirsi a fine dicembre, che però è ora sotto i riflettori della Corte costituzionale. Corte che si dovrà pronunciare dopo che la Corte dei conti della Toscana ha sollevato un’eccezione di costituzionalità sulla base di un ricorso presentato da un dirigente scolastico in pensione per ottenere la perequazione integraleQuanto alle «minime», dubbi avvolgono i trattamenti più bassi che potrebbero salire con un mini-ritocco fino almeno a 625-630 euro, ma non è escluso che si arrivi alla fine, anche con un intervento parlamentare, a 640 euro.. Le “ minime ” oggi pari a 614,77 euro mensili riguardano circa 2,5 milioni di percettori e, stando ai calcoli, per ogni 10 euro in più al mese, servirebbero circa 300 milioni di euro.


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