Dal governo

Manovra: crescono le tensioni sulla sostenibilità del cuneo fiscale-contributivo

di Claudio Testuzza

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24 Esclusivo per Sanità24

La riduzione del cuneo fiscale è riproposta, oggi di nuovo. Forse in una forma strutturale. E’ stato realizzato, lo scorso anno, il “cuneo fiscale” quale potesse essere la panacea risolutiva dei guai del nostro Paese. In effetti si indicava con una dizione “ fiscale ” quello che è, invece, il “ contributo previdenziale ”.
Per cuneo fiscale si intende la somma delle imposte (dirette, indirette e contributi previdenziali) che impattano sul costo del lavoro, sia dalla parte de datore di lavoro, sia rispetto ai lavoratori dipendenti, autonomi o liberi professionisti. In sostanza, il cuneo fiscale è la differenza tra lo stipendio lordo versato dal datore di lavoro e la busta paga netta ricevuta dal lavoratore, In Italia il peso del cuneo fiscale è del 45,9%. Uno dei più alti tra i paesi dei Paesi dell’Ocse. Basti pensare che in media un’azienda spende il 210% della retribuzione netta che eroga al lavoratore. In pratica uno stipendio netto di 1.500 euro all’azienda costa 3.150 euro. Come rilevato dai dati OCSE, i salari italiani sono diminuiti in valore reale di circa il 6,9% rispetto al periodo pre-COVID. I salari da noi sono mediamente bassi, ma sostanzialmente per un appiattimento verso il basso. Infatti, la differenza con l’Europa sui salari bassi è minima, mentre per quelli alti è notevole ed inoltre quelli italici sopra i 35-40 mila euro sono falcidiati dai contributi sociali e dalle tasse.
Non essendo stato possibile, sino ad ora, intervenire sul fronte fiscale riducendo le aliquote su i redditi, per poter sollevare i lavoratori dall’aumento dei prezzi dovuto all’inflazione e aumentare le loro risorse economiche da spendere, si è posto l’obiettivo di intervenire sulle decontribuzioni con tutta una serie di interventi : per i redditi fino a 25mila euro, sgravi per il Sud, per donne svantaggiate, madri (addirittura finché il figlio più piccolo arriva a 18 anni ), disoccupati, apprendistato, stagionali, giovani e NEET, percettori di NASpI, cassa integrazione ordinaria e straordinaria, ADI, SFL (supporto formazione e lavoro), part-time, agevolazioni per le donne vittime di violenza, etc.etc.
Ma perché il Governo punta sulla decontribuzione, anziché sui sgravi fiscali, magari sui buoni pasto, sui buoni trasporto (che sarebbe ora inserire), sul welfare aziendale, sui premi di produzione, sulla defiscalizzazione degli straordinari o sugli aumenti contrattuali 2024/25 ?
Semplice: se operano sul fisco, le entrate si riducono subito nell’anno. Se anziché gli sgravi contributivi del 2023 si fossero fatti con sgravi fiscali, avremmo dovuto contabilizzare oltre 23 miliardi di mancate entrate con pesanti riflessi sul bilancio pubblico e sul Patto di Stabilità.
La riduzione del cuneo fiscale ( in realtà, ripetiamo, contributivo ) viene riproposta, ancora oggi di nuovo e forse in una forma strutturale. Senza, però, che questo influenzi il calcolo della futura pensione, e riversando, in pratica, una riduzione di alcuni punti dei contributi da versare all’istituto previdenziale nel salario
Con l’introduzione del sistema contributivo appariva chiaro che il principio di base fosse la natura corrispettiva del sistema. Per cui la pensione di fatto restituisce i contributi a chi li ha versati.
Tuttavia, all’inizio, si attivò un sistema che distingueva fra un’aliquota di “finanziamento” indicata a definire i contributi da versare all’Inps, ed una di “computo” utilizzata a definire i contributi virtuali da conteggiare nel calcolo della pensione. Di fatto da terminare una pensione maggiore dei contributi versati.
Dopo dodici anni le due aliquote, finalmente, erano state allineate.
Ma la riduzione del cuneo fiscale ( contributivo) ripropone oggi, per alcuni redditi, la medesima condizione del passato previdenziale. In pratica si attiva una riduzione di alcuni punti dei contributi da versare all’istituto, facendoli confluire nel salario, senza, però, che questo influenzi il calcolo sull’importo della futura pensione.
Il Governo il 1° maggio scorso ha tagliato il cuneo contributivo di 4 punti percentuali, e questo taglio si è sommato a quello che aveva già fatto nella precedente legge di bilancio. Così fino alla fine dell’anno avremo un taglio del cuneo contributivo di 6 punti percentuali per chi ha redditi fino a 35mila euro, di 7 punti percentuali, per i redditi più bassi, fino a 25mila euro.
Nel Def 2023 sono stati stanziati 3 miliardi di euro per intervenire riducendo questa differenza, appunto tra ciò che paga l’azienda e ciò che il lavoratore percepisce realmente in busta paga.
L’importo dell’esonero per i periodi di paga dal 1° gennaio 2023 al 31 dicembre 2023, ferma restando l’aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche, è stato indicato pari al 2% dei contributi Ivs a carico dei lavoratori, a condizione che la retribuzione imponibile, anche nelle ipotesi di rapporti di lavoro a tempo parziale, parametrata su base mensile per tredici mensilità non eccedesse l’importo 2.692 euro maggiorato, per la competenza del mese di dicembre del rateo di tredicesima. In pratica non superasse i 35 mila euro annui. E del 3% della contribuzione Ivs dovuta dal lavoratore, a condizione che la retribuzione imponibile ai fini previdenziali, non eccedesse l’importo mensile di 1.923 euro, maggiorato, per la competenza del mese di dicembre del rateo di tredicesima.
Nella manovra 2025 il Governo punta alla conferma di un pacchetto di misure per dare una spinta alle retribuzioni dei lavoratori, si ragiona di una serie di interventi che costano oltre 15 miliardi. Il piatto forte è rappresentato, appunto, dalla conferma, anche per il 2025, del taglio del cuneo contributivo di 7 punti per le retribuzioni fino a 25mila euro lordi annui e di 6 punti fino a 35mila euro. La misura dovrebbe interessare circa 14 milioni di lavoratori dipendenti con un vantaggio di circa 100 euro al mese in busta paga. Per la conferma dell’intervento, su cui a partire dalla premier si sono detti, comunque tutti d’accordo, occorrono 9,4 miliardi.
Ma è in particolare Bankitalia ad addentrarsi negli snodi chiave della prossima manovra, a partire dalla misura più importante, anche in termini di sforzo finanziario, rappresentata, appunto, dalla conferma del taglio al cuneo fiscale. Perché nel medio termine, sottolinea il capo dipartimento economia e statistica di via Nazionale, con una decontribuzione senza correttivi verrebbe meno a livello aggregato l’equilibrio tra entrate contributive e uscite per prestazioni, che caratterizza il nostro sistema previdenziale e ne rappresenta un punto di forza.
Il tema è noto anche al Governo, a partire dallo stesso Giorgetti che nella premessa al Piano ha evidenziato l’intenzione di modificare la «fisionomia» degli effetti della decontribuzione per «raggiungere il medesimo obiettivo senza ulteriori tensioni sul piano della spesa pluriennale». L’indicazione sembra prefigurare il ritorno in campo delle ipotesi di decalage, che fa calare il beneficio al crescere del reddito in modo più deciso rispetto allo schema attuale a due livelli. Ma sul punto, delicatissimo com’è ovvio anche sul piano politico, le carte del Governo restano copertissime.


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