Dal governo

Manovra: la leva del taglio Irpef per l’indennità di specificità di medici e infermieri

di Stefano Simonetti

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24 Esclusivo per Sanità24

Da molto tempo i livelli retributivi del personale sanitario costituiscono forse la maggiore criticità della Sanità pubblica. Da anni i sindacati di categoria chiedono significativi aumenti di stipendio, soprattutto per medici e infermieri. Le regole della contrattazione collettiva non consentono di superare l’indice inflattivo fissato per tutto il pubblico impiego, tanto da costringere il legislatore ad intervenire per ben cinque volte in pochi anni stanziando risorse finanziarie extracontrattuali mirate per specifiche professioni e ambiti lavorativi. Ma non basta, e la fuga di medici e infermieri ovvero la loro latitanza dai concorsi è inarrestabile. Una delle soluzioni richieste a gran voce dai sindacati è quella della detassazione di parte della retribuzione e un primo esempio si è avuto pochi mesi fa con il DL 73/2024 il cui art. 7 prevede una disposizione che ha costituito una vera rivoluzione perché, a memoria, è la prima volta in assoluto che benefici di defiscalizzazione vengono estesi a pubblici dipendenti. Nondimeno la questione è in campo da più tre anni perché è doveroso ricordare che era un impegno contenuto nel Patto per il lavoro pubblico del 10 marzo 2021. Risalta tuttavia una distinzione sostanziale perché le prestazioni aggiuntive favorite dal decreto sulle liste d’attesa e lo stesso beneficio goduto dai lavoratori privati insistono sulla produttività e in generale sul salario accessorio mentre la misura di cui si parla fa parte del trattamento economico fondamentale.
La soluzione allo studio consente al Governo, da un lato di evitare la ricerca di risorse fresche di difficile reperimento, e dall’altro di rispettare quanto meno formalmente le regole dei rinnovi contrattuali uguali per tutti con quell’inaccettabile 5,78% di aumento a regime per il triennio 2022/2024 che, peraltro, sta addirittura scadendo. Agire sulla riduzione dell’IRPEF non genera nuovi costi, semmai un minore gettito fiscale, ma la operazione appare più di finanza creativa e in termini complessivi costa forse lo stesso.
Dalle notizie - spesso confuse – trapelate dalla stampa, la ipotesi allo studio è quella di intervenire sulla “indennità di specificità”, portando la sua imposizione ad un 15% secco dal 43%, aliquota marginale di tutti i dirigenti medici. Fin qui la sintesi inevitabilmente approssimativa di quanto si sta studiando e potrebbe essere utile approfondire la natura e le caratteristiche dell’emolumento individuato per la detassazione. Innanzitutto, perché proprio questa indennità ? Il probabile motivo è che viene erogata in misura fissa e uguale per tutti, evitando quindi - rispetto a tante altre voci della busta paga - riproporzionamenti e selezioni dei destinatari. La sua fissità e generalità consente inoltre una più agevole quantificazione complessiva del costo. Una ulteriore ragione alla base della scelta è di natura semantica perché la indennità in parola è fortemente giustificata dalla peculiarità stessa della professione medica – “specificità”, appunto - che distingue tali dirigenti da tutti gli altri dirigenti pubblici e questa circostanza dovrebbe attenuare le possibili polemiche riguardo a diversità di trattamento e sperequazioni. Infatti, quando venne introdotta la indennità aveva uno spiccato contenuto ideologico, come si ricava agevolmente dalla lettura dell’art. 54 del CCNL del 5.12.1996. L’emolumento si è sempre chiamato “indennità di specificità medica” ma, improvvisamente, nel CCNL del 2000 cambia nome e diventa “indennità di specificità medico-veterinaria”, anche se il diritto era sancito fin dal 1996 anche per i veterinari.
Nella norma-madre del 1996 (mai disapplicata) viene specificatamente motivata la ragione per cui veniva prevista l’indennità: “…..oltre alle attività organizzativo - gestionali proprie della funzione dirigenziale, sono - infatti - affidati, i compiti assistenziali, di diagnosi e cura e di tutela della salute pubblica, che costituiscono non solo il perno produttivo dell’attività aziendale ma anche il fine istituzionale di essa, diretto al raggiungimento degli obiettivi generali di prevenzione, cura e riabilitazione”. Nel tempo, questa peculiarità è stata estesa dalla contrattazione collettiva ad altri profili. Con l’ultimo contratto del 23 gennaio 2024 è arrivato il riconoscimento anche al resto della dirigenza sanitaria destinataria del CCNL e, con l’art. 66, rubricato “Indennità di specificità sanitaria”, destinato ai dirigenti biologi, fisici, chimici, farmacisti, psicologi e ai dirigenti delle professioni infermieristiche e tecnico-sanitarie, è stata prevista la (molto) parziale perequazione a decorrere dall’1.1.2022.
Da ultimo va detta qualcosa riguardo alla platea dei beneficiari ipotizzata dalla manovra fiscale. Una prima sensazione, molto istintiva, è che la misura sia diretta soltanto a medici e infermieri; ma il buon senso ed evidenti valutazioni pragmatiche suggeriscono che non potrà non abbracciare tutte le professioni sanitarie, sia della dirigenza che del comparto. Il beneficio in busta paga sarà, ovviamente, molto differenziato, anche se qualcuno ha parlano genericamente di 200 € al mese in più, con un costo complessivo – inteso come minor gettito – pari a 380 milioni di €. Se quest’ultima cifra corrisponde effettivamente all’importo necessario per tutti, è di tutta evidenza che i 200 € riguardano soltanto i medici. I valori reali dovrebbero essere i seguenti:
Dirigenti medici e veterinari (valore annuo € 9.162) = ipotetico risparmio di 197 € al mese
Dirigenti sanitari (valore annuo € 1.381) = ipotetico risparmio di 30 € al mese
Infermieri (valore annuo € 873) = ipotetico risparmio di 14 € al mese
Altre profili sanitari del comparto (valore annuo € 493) = ipotetico risparmio di 8 € al mese


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