Dal governo

Intelligenza artificiale: il rischio di alimentare gli errori di sempre con dati obsoleti ed errati

di Ettore Jorio

S
24 Esclusivo per Sanità24

L’intelligenza artificiale è impiegata ovunque, con non poche preoccupazioni se sperimentata negli ambiti più sensibili, tra i quali la salute pubblica. Al riguardo, nutro non poche perplessità sui tentativi di arrivare con essa alla definizione delle politiche programmatiche di welfare assistenziale, quello che occorre.

Prioritariamente, della valorizzazione del fabbisogno di personale ospedaliero mediante applicazioni di algoritmi, in attuazione dell’art. 1, comma 269, delle legge di bilancio per il 2022 (legge 234/2021). Da qui – recita il precetto del 2022 - «Le regioni, sulla base della predetta metodologia (di step e valori fissati nella continuità con il passato recente), predispongono il piano dei fabbisogni triennali per il servizio sanitario regionale». Ciò anche «anche ai fini di una graduale revisione della disciplina delle assunzioni».

L’essenzialità dell’esattezza dei presupposti è la regola

Una siffatta metodologia, con ricorso ad algoritmi, è assolutamente non convincente nell’obiettivo che si pone di elaborare un «abito su misura per ogni ospedale». Invero, è semplicemente illusorio pensare di cucire una giacca senza alcuna consapevolezza delle spalle, del torace, della vita e delle maniche del destinatario, si rischierebbe di indossarla mai. Sarebbe una pretesa assurda. E’ come esigere che Ollio indossasse la giacca cucita con le misure di Stanlio o viceversa. Così come si è fatto per decenni prevedendo organici di personale ospedalieri finalizzati a tutto tranne che alla funzionalità del presidio e alla buona ricaduta dei suoi servizi sul sistema salute.

Il ricorso agli algoritmi sarebbe diversamente efficace solo che agli stessi venissero offerti in pasto i dati necessari per determinare un corretto fabbisogno di personale, specie nella sanità. La variabilità degli stessi è infatti infinita, ma soprattutto con rilevazioni bugiarde. Proprio per questo i dati desunti e non rilevati in serio pericolo il risultato: wrong data wrong results. Continuando così l’errore di sempre, si mette a rischio l’incidenza dell’errato rimedio alle esigenze della utenza, affamata di assistenza da mezzo secolo. Al riguardo, diventa pertanto insignificante e pericoloso riportarsi a fattori di contesto e organizzativo datati nonché ad edificare standard fondati sul nulla. La forza dell’informatica sta nella elaborazione di dati corrispondenti al presente con ragionevole proiezione per il futuro da adeguarsi con facilità agli eventi sopravvenienti.

L’elemento psicologico che si sta via via generando nella comune ragione è quello di destinare le opzioni di vita alla intelligenza artificiale, dimenticando che l’algoritmo, cui fa riferimento il DM ministeriale attuativo della legge 234/2021, non è di per sé un sistema di intelligenza artificiale accurato, che spesso richiede l’integrazione di software composti da numerosi algoritmi. E’ uno strumento che riesce a tradurre ciò che occorre per una ottimale prestazione assistenziale solo se vengono ad esso forniti dati puntuali e contemporanei, specie sui disservizi patiti. Fare diversamente, si generano mostri nel cucire assurdamente «l’abito su misura» pensato «per ogni ospedale» senza che non si conoscano “le misure” che ne caratterizzano la domanda e i limiti di offerta.

Di conseguenza prima di sprecare “stoffa” attraverso modello di taglio sbagliato, occorre tenere conto dei deficit di funzionamento che ossessionano il SSN, quantomeno quelli riguardanti:

- i dati del passato più recente, dei quali molti venuti fuori da rilevazioni mai avvenute perché costruiti in modo premiante per le governance avvicendatisi;

- i deficit organizzativi, tenuti ben nascosti dai decisori regionali;

- le assenze croniche della produzione delle conoscenze necessarie alle aziende sanitare per operare, come sarebbe loro obbligo, nei siti di loro competenza;

- la pagella nera per avere disatteso a rendere concreta, per oltre sette anni, ogni riorganizzazione degli ospedali che era pretesa dal DM 70/2015.

La conoscenza del PRESENTE è la corretta guida

Il vulnus più pesante è la mancata consapevolezza del presente. Mantenuto nell’ombra della disattenzione colpevole delle aziende sanitarie a rilevare il fabbisogno epidemiologico, attraverso le rilevazioni fisiche effettuate sul territorio, e la mappatura dei rischi, intercettabili utilizzando i dati di provenienza principalmente ospedaliera connesse con le diagnosi e le cure effettuate da chi esercita l’assistenza primaria. Il tutto, con l’accondiscendenza dei Sindaci che, da massime autorità sanitare locali, non vedono, non sentono e non parlano. Figuriamoci a rivendicare il soddisfacimento dei bisogni sociosanitari, finanche elementari.

Conseguentemente, è ovvio presagire cosa accadrà dando in pasto questi (non) dati all’intelligenza artificiale, che rischia di sputare fuori risultati surreali, perché fondati su dati non provenienti da fonti attendibili, generative pertanto di metodologie diagnostiche e terapeutiche frutto di una statistica alterata, brutto esempio di una “schizofrenia artificiale”

L’Intelligenza Artificiale ma con i dati corrispondenti alla realtà

All’anzidetto precetto legislativo, preparatorio ad affrontare la liberalizzazione delle assunzioni, ha fatto seguito – come detto - il DM del Mef e del Ministero della salute del 24 gennaio 2023, recante “Adozione della metodologia per la determinazione del fabbisogno di personale del SSN”, che fa entrare a gamba tesa il ricorso ad un qualsivoglia algoritmo per determinare il fabbisogno di personale delle strutture erogative dell’assistenza ospedaliera, generando preoccupazioni, e non immotivatamente, per gli esiti futuri. Ciò anche perché da applicarsi in una logica, peraltro, segnatamente continuativa degli elementi che caratterizzano il criterio della spesa storica (FSN, anche se soprannominato diversamente a partire dal DL 35/2019 modificato dalla legge 234/2021), quasi ad imporla per almeno altri tre anni a discapito del programmato imminente ingresso della metodologia dei costi e fabbisogni standard, perequati nelle aree disagiate.

Un compito peraltro eccessivo, quello affidato ad una siffatta metodologia, tenuto conto – come detto - che il patrimonio di conoscenza in suo possesso sarà certamente viziato da una non corretta raccolta dei dati storico-statistici dei fabbisogni, mai rilevati bensì quasi sempre desunti, a cominciare da quelli epidemiologici. Un “malloppo” di dati sulla cui corrispondenza non c’è da scommettere un cent attesa la loro determinazione effettuata, specie in alcune aree del Paese, peggio di come è da considerarsi razionale e ragionevole il gioco dei dadi. Un difetto di veridicità dei valori, perché non desunti da attente e minuziose rilevazioni sul campo, tenuto conto anche della qualità-quantità delle strutture, del territorio, della viabilità e delle condizioni di vita delle persone. Viziato soprattutto dalla non professionalità posseduta e dalla non avvezzità della aziende sanitarie a misurarsi in continuità sul tema della rilevazione del fabbisogno assistenziale, un po’ come gli enti locali non fanno in relazione alle loro funzioni fondamentali tali da rendere impossibile una corretta attuazione del d.lgs. 216/2010 nella definizione dei fabbisogni standard.

Un gap d’altronde fatto proprio nei considerata dell’anzidetto DM attuativo del 24 gennaio 20213, atteso che “confessa” «la complessità dei contesti analizzati per la definizione della metodologia proposta e il campione limitato di strutture posto alla base dell’analisi dei dati, dovuto alla partecipazione su base volontaria di alcune regioni ai fini della fornitura di dati utili allo sviluppo della metodologia».

La sanità che vorremmo è difficile che corrisponda a quella immaginata così

Tutto questo alimenta il giustificato grande timore di continuare a lavorare per una sanità virtuale, perché incapaci ad individuare negli ambienti - diversi per aree regionali e tra queste per quelle comunali - le sue esigenze organizzative attraverso l’analisi fisica dei suoi elementi distintivi, seriamente mutevoli anche in brevi lassi di tempo: territorio, composizione demografica, fabbisogno epidemiologico particolareggiato, rischi epidemici, ritardi e deficienze strutturali e così via. Per non parlare degli eventi straordinari (il Covid ne è stato esempio), ove le incidenze dei bisogni di salute post pandemici e gli insediamenti di diagnosi/terapie nonché la tecnologia informatica hanno dimostrato la non prontezza della stessa intelligenza artificiale. Insomma, si rischia di operare senza tenere conto di ciò che siffatti elementi esprimono nella quotidianità che cambia vertiginosamente.

A proposito di fabbisogno del personale specialista

Negli Usa, ove le elaborazioni dei dati e la loro manutenzione è materia fondamentale, è divenuta essenziale l’istituzione di una figura apposita: lo Chief Data Officer (CDO). Il suo ruolo è di vitale importanza per implementare una data governance realisticamente efficace nel conseguire un data strategy scientifica che definisca, allo scopo di orientare le decisioni sfruttando l’analisi dei dati, a partire da come un’organizzazione li raccoglie, li gestisce, li analizza e utilizza i per raggiungere i suoi obiettivi. È un piano che orienta le decisioni aziendali sfruttando l’analisi dei dati.

Negli Usa è una figura dalla quale non si può prescindere, tant’è che è diffusa sia nel management pubblico che in quello privato, dal momento che ha tra l’altro il compito di comporre e gestire il portafoglio dei dati in progress, sui quali determinare il fabbisogno, quello vero.

Una logica disattesa in Italia, vittima così dell’incoscienza dei dati annotati a libero piacimento.


© RIPRODUZIONE RISERVATA