Dal governo
Medici in pensione a 72 anni: i compiti di chi resta in servizio e l’incognita della riammissione in servizio
di Stefano Simonetti
24 Esclusivo per Sanità24
Quindi dobbiamo aspettarci che la prossima tappa saranno gli 80 anni di età per adeguarsi al motu proprio di Paolo VI “Ingravescentem aetatem”, con il quale nel 1970 si estromettevano dal Conclave i cardinali ultraottantenni. Nella conversione in legge del decreto “Milleproroghe”- avvenuta con la legge 23 febbraio 2024, n.18, entrata in vigore il 29 febbraio - all’art. 4 viene aggiunto un comma 6-bis con cui, dopo un altalenarsi di previsioni e smentite, è finalmente venuta alla luce la proposta di riformulazione dell’emendamento 4.22, con la quale “diamo risposte importanti ai cittadini e al personale sanitario”, come dichiarato il 14 febbraio dal Ministro della Salute. Il comunicato prosegue chiarendo che “la possibilità per i medici di restare in servizio fino a 72 anni vuole rappresentare una prima temporanea risposta al problema dell’attuale carenza di personale”. Ciascuno può legittimamente fare le proprie personali considerazioni sull’emendamento, ma mi sembra quantomeno corretto e doveroso ricordare quando e come è iniziata la questione del trattenimento oltre i 70 anni, perché l’operazione viene da lontano ed è stata inizialmente voluta da un ristretto gruppo di primari e docenti universitari. Su questo sito il 7 febbraio 2022 avevo pubblicato l’articolo “Primari pensionabili gratis in corsia: è possibile ma senza la direzione dell’unità operativa ” dove si trattava la genesi della questione. Almeno per quattro volte il Governo ha provato ad introdurre l’emendamento che, come è noto, negli ultimi mesi ha avuto più stesure e altrettante proteste, e la versione finale denota un compromesso che ha in qualche modo tacitato i sindacati; ma i loro commenti sono più che chiari, viste la dichiarazione di Carlo Palermo sul “pannicello caldo” e sull’ “emendamento ad personam” e quella di Pierino De Silverio che parla di “amichettismo”.
All’art. 4 dell’originario DL 215/2023 è stato aggiunto un comma 6-bis che, a sua volta, introduce un comma dopo il 164 della legge 213/2023 (legge di bilancio 2024). Gli approcci a questo comma 164-bis possono essere due: il primo, per una valutazione generale della norma vista nelle sue finalità e nel contesto di sistema e il secondo per una analisi più tecnica sul piano giuridico. Cominciamo allora a valutare il contesto in cui agirà questa norma con un brevissimo flash back storico. Quando nel 1980 vennero costituite le USL a seguito della riforma sanitaria, l’età prevista dal leggendario DPR 761/1979 per il collocamento a riposo obbligatorio era di 60 per il personale di assistenza e di 65 per i medici, senza alcuna ipotesi di trattenimento, se non quella particolarissima che consentiva ai soli primari ospedalieri di rimanere fino a settanta anni per “recuperare” gli anni di carriera persi a causa della guerra. Nel giro di una quarantina di anni i limiti di età sono radicalmente cambiati per ragioni politiche, economico-finanziarie e direi addirittura antropologiche. Siamo così arrivati – per ora - al settantaduesimo anno di età e alcune considerazioni sono inevitabili se perfino la FNOMCEO ha manifestato molte perplessità dichiarando che “prevediamo che non darà la risposta attesa dal Governo”. Una ulteriore considerazione non può non tenere conto di una contraddizione piuttosto evidente, quella cioè che vede da una parte tutti i sindacati e gli ordini professionali chiedere insistentemente che la professione del medico e dell’infermiere vengano definite tout court e senza condizioni “lavoro usurante” e, dall’altra, una tendenza a far lavorare sempre di più tali professioni, perché oltre alla norma odierna introdotta dal Milleproroghe, si deve parlare anche della legge di bilancio che, poco meno di due mesi fa, ha aperto al trattenimento a 70 anni dei dirigenti medici e sanitari e degli infermieri, norma del tutto collegata a quella in commento, visto che sono consequenziali (comma 164 e 164-bis dell’art. 1 della legge 213/2023). Nondimeno, aldilà delle valutazioni politiche su quanto è stato deciso dal Parlamento, vorrei analizzare la norma nella sua ratio perché sono certo che porterà molti problemi applicativi.
Innanzitutto vediamo i destinatari, che risultano essere:
1) i dirigenti medici e sanitari dipendenti del Servizio sanitario nazionale (nove profili);
2) i dirigenti del Ministero della salute con professionalità sanitaria;
3) i docenti universitari che svolgono attività assistenziali in medicina e chirurgia.
In secondo luogo, è interessante capire cosa faranno i “trattenuti”, perché il compromesso è stato quello di chiarire che”non possono mantenere o assumere incarichi dirigenziali apicali di struttura complessa o dipartimentale o di livello generale”. In altre parole, il primario dovrà lasciare ad altri la struttura diretta da anni e svolgere attività eminentemente assistenziale. C’è veramente da fare gli auguri alle Direzioni aziendali che dovranno gestire situazioni al limite della credibilità. Ma non è finita, perché sempre il comma 164-bis stabilisce che può essere riammesso “il personale di cui al primo comma collocato in quiescenza a decorrere dal 1° settembre 2023”. Gli interessati potranno optare tra la prosecuzione del godimento della pensione o per il trattamento economico connesso all’incarico che viene loro conferito e già a questo punto c’è da chiedersi chi avrà intenzione di lavorare gratis. Immagino, poi, i salti di gioia che faranno gli uffici dell’INPS quando dovranno sospendere e rivedere la liquidazione di trattamenti pensionistici credibilmente non ancora in pagamento.
Il secondo approccio ha una valenza tecnico-giuridica che non può non mettere in evidenza alcuni errori e incongruenze. Ma preliminarmente non si può non sottolineare i forti dubbi di incostituzionalità della norma, alla luce del costante insegnamento della Corte costituzionale. Per essere chiari, il titolo del DL 215 era “Disposizioni urgenti in materia di termini normativi”: ma quello che è stato aggiunto - e di cui parliamo in questa sede - non è affatto una proroga bensì una norma totalmente nuova.
Il comma 164-bis è molto lungo ed è formato da quattro periodi. Si segnala sinteticamente:
•nel primo periodo vengono fornite le finalità della norma che sono quelle di tutoraggio degli specializzandi e di fronteggiare la grave carenza di personale. Ma è evidente che il ricorso all’avverbio “anche” sottende che sussistono altri obiettivi. Una disposizione legislativa in realtà non necessita di motivazione ma, evidentemente, gli estensori hanno ritenuto che fosse meglio dare “spiegazioni”, forse per depistare le reali finalità cui è diretta la norma.
•Il soggetto attivo sono le “aziende del Servizio sanitario nazionale” e con questa formulazione si corre il rischio di non applicare il trattenimento negli IZS, negli IRCCS, nelle ARPA ecc. Infatti, come spesso avviene, il legislatore ignora la formulazione standard prevista dall’art. 1, comma 2 del d.lgs. 165/2001: “le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale”. Andrebbe benissimo anche la formula sintetica e onnicomprensiva adottata dall’art. 1, comma 3 recente CCNL del 23 gennaio. Poiché è da ritenere che l’esclusione non fosse affatto voluta, non si può che considerare la formulazione un banale refuso.
•Si precisa che il trattenimento avviene in deroga “ai limiti previsti dall’articolo 15-nonies” del decreto 502/1992, limiti che si riferiscono al divieto di aumento del numero dei dirigenti.
•Nel terzo periodo si stabilisce, inoltre, che le amministrazioni “possono riammettere in servizio, a domanda” il personale collocato in quiescenza a decorrere dal 1° settembre 2023.
La norma utilizza il verbo “riammettere” e sembra un esercizio vintage che ricorda il Testo unico del 1957 (art. 132) o il primo stato giuridico del personale delle USL (art. 59), perché da anni l’istituto contrattualizzato è denominato “ricostituzione del rapporto di lavoro” (art. 18 del CCNL del 23.1.2024). Ma il glossario in questo frangente è molto eterogeneo e nell’ordinamento troviamo in ordine sparso i termini riammissione, ricostituzione, reintegrazione, rientro, richiamo. In disparte dagli aspetti terminologici, si deve sottolineare che la locuzione che segue le parole “il personale di cui al presente comma” è errata perché le leggi e i contratti vigenti prevedono – e qui non sono ammesse scelte creative – il “collocamento a riposo obbligatorio per raggiunti limiti di età” e non il collocamento in quiescenza, formula sconosciuta a leggi e contratti. Le due dizioni sono affatto uguali e quella scelta alla fine dal comma 164-bis potrebbe ipotizzare situazioni particolari, come quelle in cui versano i soggetti cessati per pensione anticipata, opzione donna, quota 102 e così via, tutte causali di cessazione del rapporto di lavoro che rientrano nel concetto di dimissioni volontarie. A questa conclusione si arriva considerando che nel testo dell’emendamento di poche settimane fa si parlava di soggetti “collocati a riposo”. La stesura finale dell’emendamento ha, dunque, inteso allargare la platea dei possibili beneficiari del trattenimento.
•La riammissione avviene “nei limiti delle facoltà assunzionali vigenti”, il che comporta che deve essere prevista nel PIAO e non generare un aumento del numero dei dirigenti , al contrario del trattenimento che deroga alla prescrizione. C’è da chiedersi come si gestiranno le domande in questi 22 mesi qualora il posto non sia più vacante o quando sia stato già bandito un concorso.
•Chissà poi perché nel primo caso di tratta di una “istanza” e nel secondo di una “domanda”: per cercare una razionale, si potrebbe ipotizzare che i soggetti in servizio attivo presentano una “istanza” e quelli cessati una “domanda”, ma allora perché nel comma 164, i cui destinatari sono tutti in servizio, si parla di “domanda” ? Si tratta, dunque, dell’ennesima imprecisione.
Ci sarebbe poi la tematica di quel “nonies” invece di “novies”, ma se approfondiamo l’uso degli avverbi numerali, ci allontaniamo da questioni ben più sostanziali. E la più importante, secondo me, è se le aziende sono obbligate a trattenere chi fa la “istanza” o, peggio ancora, a riammettere in servizio chi era andato via per “quiescenza”. Ebbene, credo proprio che la riammissione non sia un obbligo e sia condizionata da alcune variabili, a cominciare dalle due causali indicate all’inizio del comma. Questo per dire che se, al contrario, si dovesse ritenere che si tratta di un diritto dei dirigenti, allora cadrebbe il sottile velo di ipocrisia che ammanta la norma e si rivelerebbe la vera finalità sottesa al trattenimento. Da sempre l’istituto giuridico della riammissione nel pubblico impiego, per consolidata giurisprudenza, è espressione di un potere ampiamente discrezionale nel cui esercizio è preminente, se non esclusiva, la considerazione dell’interesse proprio dell’amministrazione datrice di lavoro. In una recente pronuncia, il Consiglio di Stato, sez. II, sentenza n. 5436 del 19 luglio 2021, ha chiarito la natura e la sindacabilità della scelta dell’Amministrazione in ordine all’accoglimento dell’istanza di riammissione in servizio di un proprio dipendente. Da ultima, è molto delicata la problematica dell’incarico da affidare ai trattenuti e ai recuperati.
La disposizione vieta espressamente di conservare o conferire ex novo “incarichi dirigenziali apicali di struttura complessa o dipartimentale o di livello generale” e, anche in questo caso, l’utilizzo improprio del termine “apicali” – non previsto dal CCNL – potrebbe generare equivoci. Infatti, con una interpretazione letterale e acritica si potrebbe considerare praticabile la direzione di una struttura complessa la cui graduazione non sia “apicale”, visto che il range stabilito dal vigente contratto è da € 18.540 a € 50.000. Tuttavia, se si ricorre ad una lettura sistematica, non può accogliersi questa soluzione, anche in ragione della stesura precedente dell’emendamento, laddove si faceva riferimento alla “attribuzione di altro incarico di natura professionale”. Dunque, anche in questa circostanza, l’imprecisione e una possibile subliminale volontà del nuovo comma potrebbero portare a polemiche e forse contenzioso. E’, invece, da ritenere, che ai soggetti che saranno destinatari della norma gli incarichi conferibili, ai sensi dell’art. 22 del CCNL del 23.1.2024, sono quelli gestionali di cui al comma 1, parte I), lettere b) e c) e tutti quelli professionali ricompresi nella parte II), e cioè: struttura semplice a valenza dipartimentale o distrettuale, struttura semplice quale articolazione interna, incarichi di altissima professionalità, incarico professionale di alta specializzazione, incarico professionale, di consulenza, di studio e di ricerca, ispettivo, di verifica e di controllo; con l’unica – direi ovvia – esclusione degli incarichi iniziali. E’ scontato peraltro che la precisazione “di livello generale” concerne soltanto i dirigenti ministeriali. Sulla fattibilità dell’operazione e sulle ricadute riguardo al clima interno e ai rapporti interpersonali, mi permetto di avere molte perplessità.
Restano da esaminare le differenze sostanziali tra il comma 164 e il 164-bis, tematica molto complessa che rimando ad un successivo articolo nei prossimi giorni.
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