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Pnrr/Associazioni oncologiche: espandere la telemedicina e potenziare le reti regionali
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Cure sul territorio appropriate e accessibili ovunque, gestite da personale sanitario e caregiver adeguatamente formati, ad alta resa anche tecnologica e finalmente a misura della qualità di vita di pazienti e del caregiver. È la richiesta dei pazienti oncologici e onco-ematologici che emerge dall’indagine online su Medicina del territorio e Oncologia promossa dal Gruppo di 39 Associazioni “La salute: bene da difendere, diritto da promuovere” condotta in collaborazione con AstraRicerche e alla quale hanno risposto in oltre 800 tra pazienti e caregiver. La pandemia ha messo ancora più in evidenza le carenze di cure di prossimità per i pazienti oncologici e onco-ematologici: disuguaglianze nell’accesso alle cure, mancanza di collegamento tra ospedale e territorio, macchinari obsoleti e poco funzionali, disomogeneità nell’accesso a screening, test e terapie e infine carenza di supporto ai caregiver.
Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è una grande opportunità per ridisegnare il modello di assistenza sul territorio, grazie agli oltre 7 miliardi stanziati per quest’obiettivo nell’ambito della “Missione Sanità”, ai quali si aggiungono gli oltre 4 miliardi resi disponibili dalla Commissione Europea per programmi sull’Oncologia. Ma per sanare il grave gap dell’assistenza sul territorio e rilanciare il Servizio Sanitario Nazionale, l’architettura disegnata nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza va riempita di personale, formazione e tecnologie innovative e “amiche”, tenendo conto delle caratteristiche e delle istanze dei potenziali assistiti.
«Oggi sottoponiamo alle Istituzioni le nostre richieste per assicurare che tutti i pazienti con tumore abbiano sul proprio territorio cure appropriate e accessibili ad alta specializzazione tecnologica e innovativa. Si tratta di richieste concrete, pronte per essere attuate nei progetti che modernizzeranno il nostro Servizio sanitario nazionale perché sono le richieste di chi la malattia l’ha vissuta o la vive direttamente o indirettamente attraverso un proprio famigliare – afferma Annamaria Mancuso, Coordinatrice del Gruppo “La salute: bene da difendere, diritto da promuovere” e presidente Salute Donna Onlus –. Malgrado l’eccellenza che l’Italia si è guadagnata in oncologia conquistando i maggiori tassi di sopravvivenza in Europa a cinque anni, i pazienti sono troppo spesso lasciati soli e senza un’adeguata assistenza di prossimità, poiché tutto viene rimandato agli ospedali specialistici. Sono criticità che tanto più stridono in un contesto in cui l’oncologia va sempre più cronicizzandosi, con il conseguente aumento della domanda di prestazioni, in particolare di quelle erogate da professionisti e servizi fuori dall’ospedale anche se in raccordo con esso».
Ma quali sono le priorità da affrontare secondo i pazienti oncologici e oncoematologici? Fulcro del nuovo modello di assistenza territoriale dovrà essere la telemedicina, risorsa fondamentale – secondo il 55,3% dei pazienti – per integrare la visita tradizionale, facilitare la comunicazione con l’oncologo (43,5%) e ridurre ove possibile gli spostamenti da un’area all’altra del Paese (40,2%).
«La distanza dal luogo di cura può influenzare negativamente sia l’adeguatezza delle cure sia la sopravvivenza e proprio per questo l’assistenza da remoto rappresenta una risorsa importante che in questi due anni di pandemia è stata rilanciata e praticata – afferma Luigi Cavanna, presidente CIPOMO - Collegio Italiano dei Primari Oncologi Medici Ospedalieri – Ma questo modello non può prescindere da un contatto diretto: la telemedicina deve inserirsi in un confronto già attivo tra medico e paziente perché il rapporto umano, la relazione, la visita medica, la conoscenza del caregiver e dei familiari e del contesto sociale nel quale vive il paziente sono condizioni molto importanti per poter poi proseguire con la visita a distanza».
Quali sono i passaggi per rendere pienamente efficace l’assistenza da remoto? Secondo i pazienti oncologici, occorre intervenire su due fronti: da un lato il completamento e potenziamento delle Reti oncologiche regionali (46,5%) per consentire il dialogo tra le Regioni con un’infrastruttura informatica adeguata, dall’altro l’implementazione del Fascicolo sanitario elettronico in tutto il Paese (40,9%) per farne il vero e proprio punto di accesso dei cittadini per fruire di tutte le prestazioni del SSN. Altro aspetto fondamentale è che nell’assistenza territoriale siano ben delineati i percorsi di accesso alle terapie e all’innovazione. I pazienti oncologici chiedono di coinvolgere pienamente i medici di medicina generale, i farmacisti e gli infermieri di comunità per realizzare il collegamento e la continuità tra ospedale e territorio: per il 33,4% dei rispondenti all’indagine, in particolare, la formazione del Medico di Medicina Generale è un tassello cruciale su cui investire per un impiego efficace della telemedicina, mentre per il 54% degli intervistati il farmacista e l’infermiere di comunità andrebbero coinvolti per facilitare la consegna a domicilio e l’assunzione della terapia oncologica, sotto la supervisione dell’oncologo.
Quali innovazioni servono per agevolare l’oncologia di prossimità? I pazienti chiedono un pieno e uniforme accesso su tutto il territorio nazionale ai test genomici e alla medicina personalizzata/predittiva per individuare le terapie appropriate (46,9%), a dispositivi medici e diagnostici di ultima generazione resi disponibili su ampia scala e su tutto il territorio (42,5%) e a piani di medicina personalizzata a misura del singolo paziente (40,1%).Figura fondamentale di una oncologia del territorio ben strutturata è la figura del caregiver sia informale (parenti/amici) che formale (badanti/tutor) che deve pertanto essere formata e sostenuta. La metà degli intervistati (49,8%) vorrebbe che il Fondo triennale per le attività di cura non professionale andasse innanzitutto alla formazione dei caregiver su assistenza, terapie e dispositivi. I corsi dovrebbero vertere sulla gestione del dolore (43,8%), sulla specifica patologia in accordo con l’équipe ospedaliera (37,6%) e sulla somministrazione delle terapie e gestione dei presìdi a domicilio (36,6%). Inoltre, per alleggerire il burden fisico ed emotivo del caregiver si chiede di attivare help-line in orari “scomodi” (52,4%) e un costante raccordo con lo psiconcologo e con lo psicologo del territorio (44%).
«L’accesso ai test genomici, alla diagnostica di ultima generazione e ai dispositivi medici è un diritto dei pazienti affetti da cancro. Questo è il punto di partenza perché i medici sanno bene cosa serve ai loro pazienti, ma se non possono darlo si corre il rischio che solo i pazienti più abbienti possano ricevere i test e la diagnostica più evoluti – afferma Antonio Delvino, già Direttore Generale dell’Istituto Tumori Giovanni Paolo II, Bari – Per quanto riguarda i caregiver, la loro formazione è una priorità e i Centri di eccellenza oncologici e onco-ematologici presenti a livello regionale dovrebbero farsi carico di questo aspetto così importante. Naturalmente non è sufficiente un unico corso di formazione ma occorrono una serie di interventi che includano i richiami, la formazione on the job, l’affiancamento e revisioni sistematiche dei risultati».
Le Associazioni chiedono, in definitiva, di essere ascoltate in occasione della stesura di tutti i grandi strumenti di programmazione che riguardano i pazienti, non solo il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, ma anche l’attuazione del Piano oncologico nazionale, del Piano nazionale della Cronicità e del “Dm 71” di riordino dell’assistenza territoriale.«Ci auguriamo di essere tenuti sempre in maggiore considerazione sui tavoli decisionali – conclude Annamaria Mancuso – poiché la nostra esperienza sul campo è un prezioso contributo, aggiungerei è un apporto indispensabile, per una reale modernizzazione del Servizio Sanitario Nazionale».
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