Dal governo
Corte costituzionale: il rigore economico non può negare il livello minimo di assistenza
di Paola Ferrari
24 Esclusivo per Sanità24
La Corte Costituzionale, nella sua relazione annuale presentata il 13 maggio, fa il punto anche sulle questioni sanitarie. Riportiamo, in sintesi, i temi salienti.
Salute e bilancio in fragile equilibrio
I campi elettivi restano quelli del coordinamento della finanza pubblica, del rispetto delle regole sull'equilibrio dei bilanci e della regolazione dei rapporti finanziari, specie in settori come quelli dell'impiego del personale e della sanità, caratterizzati dagli aggregati di spesa più rilevanti.
È nella sanità, in particolare, che si sono manifestate le maggiori difficoltà, causate, da una parte, dai consistenti tagli dei finanziamenti statali e, dall'altra, da una gestione non sempre soddisfacente delle pur ingenti risorse.
Ciò è testimoniato, afferma la relazione, dalla entità del contenzioso relativo ai commissariamenti delle sanità regionali, spesso della durata di molti anni e quindi essi stessi dalla dubbia efficacia.
È la garanzia dei diritti incomprimibili ad incidere sul bilancio, e non l'equilibrio di questo a condizionarne la doverosa erogazione.
La Corte ha tradizionalmente negato l'esistenza di un diritto "illimitato" alla salute, proprio in considerazione delle incontrollabili ricadute finanziarie, affermando anche, tuttavia, che il valore di una sana gestione delle risorse non può spingersi sino a comprimere i livelli essenziali delle prestazioni, che in tal modo divengono oggetto di un diritto fondamentale.
In particolare, con la sentenza n. 62/2020 ha ribadito che, «una volta normativamente identificato, il nucleo invalicabile di garanzie minime per rendere effettivo il diritto (fondamentale) alle prestazioni sociali non può essere finanziariamente condizionato in termini assoluti e generali».
Regioni e Stato un conflitto infinito
Il fatto è che la peculiarità implicita in un servizio nazionale, ma a gestione regionale, può essere risolta solo con un esercizio forte, da parte dello Stato, del potere di coordinamento e di correzione delle inefficienze regionali: il suo esercizio inadeguato non solo comporta rischi di disomogeneità, ma può ledere gli stessi livelli essenziali delle prestazioni, sul cui rispetto anche nell'anno trascorso la Corte si è più volte soffermata (sentenze n. 62, n. 72 e n. 130).
Si deve poi constatare che questo problema di fondo si è riproposto anche nel contesto attuale, pure caratterizzato dalla competenza esclusiva dello Stato in materia di profilassi internazionale, come la Corte ha chiarito nella recente sentenza n. 37 del 2021; una competenza che avrebbe dovuto garantire quella unitarietà di azione e di disciplina che la dimensione nazionale delle emergenze imponeva e tutt'ora impone.
Più in generale, se non può che ribadirsi, afferma il documento, l'ormai costante richiamo alla leale collaborazione dello Stato e delle Regioni nelle materie di interesse comune o in ambiti posti al crocevia di una pluralità di competenze.
Appare opportuno, prosegue, invitare tutti gli attori istituzionali a riflettere sulla necessità di apprestare più efficaci meccanismi di prevenzione e risoluzione dei conflitti: che gran parte del contenzioso sia prevenibile lo dimostra il fatto che nei giudizi principali, nell'anno trascorso, è stato molto alto il numero delle decisioni di estinzione (25) o di cessazione della materia del contendere (10), in linea, peraltro, con i dati dell'ultimo quinquennio.
Diritti in equilibrio precario
Diverse sono state le sentenze che hanno avuto ad oggetto diritti ed i doveri delle coppie omosessuali, la genitorialità biologica e legale, la procreazione medicalmente assistista.
È specialmente in questi ambiti che viene in evidenza il problema del rapporto con il legislatore, problema che da sempre costituisce un aspetto delicato del sindacato di costituzionalità e che del resto era stato sottolineato da autorevoli esponenti dell'Assemblea Costituente.
La consapevolezza di questo limite, afferma la relazione, è una stella polare nell'attività giurisdizionale della Corte, cui si impone il rispetto delle prerogative del Parlamento, quale «"interprete della volontà della collettività […] chiamato a tradurre […] il bilanciamento tra valori fondamentali in conflitto, tenendo conto degli orientamenti e delle istanze che apprezzi come maggiormente radicati, nel momento dato, nella coscienza sociale".
È compito proprio del legislatore farsene carico, ma in mancanza di un suo intervento – mancanza a volte giustificata dal tumultuoso evolversi della società – la Corte non può, a sua volta, rimanere inerte, specie quando sono in gioco i diritti di minoranze, la cui tutela è il naturale campo di azione dei giudici, quali garanti di una democrazia veramente inclusiva.
Non sono mancati casi di diniego, ripercorre la relazione spiegando, come per il preteso diritto a morire o il preteso diritto delle coppie omosessuali di accedere alle tecniche procreative nel territorio italiano (la sentenza n. 230).
La procreazione assistita è un tema che ha interessato la Corte a partire dalla sentenza n. 162 del 2014, nonché a quelle che, in diversi settori dell'ordinamento, hanno posto in rilievo l'esigenza di tutelare al meglio gli interessi dei minori.
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