Dal governo
Funzione pubblica: il ritorno di Brunetta tra leggi sospese e innovazione mancata
di Stefano Simonetti
24 Esclusivo per Sanità24
E così dopo quasi dieci anni Renato Brunetta torna alla Funzione pubblica. Dopo la sua esperienza del 2008/2011 si sono succeduti a palazzo Vidoni cinque ministri (Patroni Griffi, D'Alia, Madia, Bongiorno, Dadone) che hanno in parte modificato la sua riforma del 2009, soprattutto la ministra Madia con la sua riforma del 2015, peraltro non completamene realizzata. E' molto probabile che il ministro Brunetta non sarà quello di dieci anni fa, soprattutto per le forme di comunicazione aggressiva e i toni sopra le righe. Il lavoro da fare è tantissimo e i problemi sono estremamente complessi, basta pensare alle polemiche – vere e inventate – immediatamente sorte sullo smart working dei lavoratori pubblici.
Il pubblico impiego in questo decennio è profondamente cambiato, ma in peggio: ha avuto un notevole turn over non ripristinato, ha alzato di molto l'età media, non ha fatto grandi passi avanti nella digitalizzazione, i suoi esponenti migliori sono stati mortificati per la perdita di almeno il 15% del potere d'acquisto dovuta al lungo blocco della contrattazione collettiva. Da ora in poi, in termini generali, si deve affrontare subito la tornata contrattuale 2019/2021, visto che tutti i contratti collettivi dei dipendenti pubblici sono scaduti da più di due anni. C'è da mettere a regime la legge "Concretezza" (legge 56/2019) rimasta irrisolta in alcune parti, soprattutto in quella che interveniva sui concorsi pubblici.
C'è da implementare (o abbandonare) il DDL Bongiorno (Atto Senato 1122) per l'ennesima riforma della pubblica amministrazione. C'è, infine, da realizzare i punti sostanziali della legge "Semplificazioni" (legge 120/2020) che potrebbe rilevarsi una vera svolta epocale, sempre che sia reale e condivisa da tutti la volontà di cambiare.
Per ciò che riguarda la Sanità, il lavoro è ancora più complesso perché i grandi e irrisolti problemi che ci portiamo dietro da anni si sono evidentemente ingigantiti con la emergenza pandemia. Credo che il primo inevitabile intervento sia quello sui vincoli al costo del personale: si deve rivedere del tutto il limite generale ma, soprattutto, deve essere completamente superato l'art. 23, comma 2 del decreto 75/2017 che ancora oggi impedisce la piena realizzazione della contrattazione integrativa. Occorre dare certezze – e, ovviamente, risorse adeguate - ai rinnovi contrattuali, stabilizzando l'attuale assetto che si è rivelato funzionale e, a tale proposito, è necessario abrogare il comma 687 della legge 145/2018, consolidando la dirigenza PTA nell'Area delle Funzioni locali.
La categoria dei medici ha bisogno di una profonda manutenzione del proprio assetto normo-economico e forse si potrebbe pensare ad un testo unico dedicato visto che, con tutte le deroghe alla normativa generale, quella del medico è una figura realmente diversa e unica nel pubblico impiego. Va migliorata ed implementata la legge contro le violenze sui sanitari (legge 113/2020); va messa a regime la nuova figura dell'infermiere di famiglia che per ora ha una definizione solo "congiunturale"; va deciso cosa fare di alcuni importanti disegni di legge in materia sanitaria giacenti in Parlamento e sui quali si dovrà pur decidere qualcosa:
•Sunshine Act (A.C. 491, Barone)
•Nomina dei direttori generali (A.S. 638, Castellone)
•Libera professione per infermieri e tecnici sanitari (A.S. 1284, Sileri)
•Istituzione infermiere di famiglia (A.S. 1349, Marinello)
Tornando alle prospettive del nuovo ministro della Funzione pubblica, sul Sole 24 ore del 16 febbraio Pierluigi Mantini ha segnalato alcuni campi di intervento che dovranno trovare realizzazioni concrete da parte del ministro Brunetta. Può essere interessante riprendere tali spunti e contestualizzarli nel Servizio sanitario che, senza fare torto a nessuno, è il comparto che necessità di maggiori innovazioni. Il primo è quello di "governare le semplificazioni attraverso le leggi nazionali, superando il rischio di perdersi nei labirinti delle normative regionali e locali in tema di procedimenti amministrativi". Il coinvolgimento della Sanità in questo aspetto è totale, come noto a tutti. Lodevoli sono le intenzioni ma, a mio parere, quasi impossibili da realizzare.
Tutti si affannano sulla necessità di revisione dei rapporti tra Stato e Regioni ma nessuno si ricorda che la fortissima autonomia regionale è voluta e considerata irrinunciabile dalla parte politica che oggi governa ben 13 regioni italiane. Anche l'introduzione dei LEP è di fatto fittizia perché da sempre i principi generali sono di esclusiva competenza dello Stato nelle materie elencate nell'art. 117, comma 2 della Costituzione. Ma nonostante questo il contenzioso è gigantesco, basta leggere l'illuminante articolo di Sergio Rizzo sulla Repubblica del 15 scorso per ricavare il dato sconcertante che in soli dieci anni il Governo ha impugnato 536 leggi regionali che avevano invaso la competenza dello Stato centrale. Se poi si legge la recentissima sentenza della Corte costituzionale n. 20 del 12 febbraio 2021 – con la quale è stata ritenuta pienamente legittima la legge regionale del Veneto sui contratti di formazione specialistica aggiuntivi regionali - non si può che confermare la sostanziale irreversibilità dell'attuale sistema.
Il secondo obiettivo è quello della "attuazione delle semplificazioni già vigenti ma rimaste sulla carta". Anche per questo è banale dire che è un intento lodevole ma che altro si può fare se non le norme (magari scritte decisamente meglio) ? Le leggi ci sono ma si eludono costantemente, per cui il problema è culturale e non si è mai riusciti a venirne fuori. Il problema è secolare se già Dante Alighieri nel canto XVI del Purgatorio ci ricorda che "Le leggi son ma chi pon mano ad esse ?" E non va dimenticato Giacomo Leopardi (Zibaldone 229) che lapidariamente ci dice che "L'abuso e la disobbedienza alla legge non possono essere impedite da nessuna legge".
Il terzo è quello di "chiarire ed attuare il principio per cui gli edifici esistenti delle nostre città, su cui si interviene per la rigenerazione urbana e l'efficienza sismica ed energetica, anche con il superbonus, sono da considerare legittimi, innocenti, fino a prova contraria". Il tema non può non riguardare gli ospedali e le RSA in quanto mi sembra di ricordare che per una percentuale superiore al 50% sono fuori norma.
Un quarto obiettivo di semplificazione è la "riduzione e qualificazione dell'enorme numero delle stazioni appaltanti". La decisa avversione per la concentrazione delle stazioni appaltanti si riferisce, presumo, alla situazione degli enti locali. In Sanità le esperienze di ESTAR e simili (ALISA, ARCS, Azienda Zero, ecc.) dovrebbero essere diverse. In ogni caso esistono molti elementi a favore della parcellizzazione ma altrettanti per la concentrazione e la questione è complicatissima e divide da sempre i commentatori. Molte esperienze pregresse in capo a CONSIP non depongono a favore della concentrazione e non esiste solo l'aspetto delle economie di scala.
Infine, il quinto è quello di " liberare la burocrazia italiana dalla pandemica paura della firma". Qui in realtà c'è molto da fare e la strada è quella della legge 120/2020 che deve essere perfezionata e strutturata; ma anche qui il problema è culturale. Una soluzione potrebbe essere quella della reintroduzione del controllo preventivo sugli atti ma si può immaginare l'alzata di scudi delle autonomie.
Se posso aggiungere un ulteriore obiettivo, si tratta di migliorare la redazione delle leggi e di renderle il più possibile autoattuative. E quando proprio non si può fare a meno di normativa di secondo livello, deve essere imposta dalla legge stessa la perentorietà del termine di adozione con sanzioni serie a carico di coloro – siano essi organi politici o tecnostrutture ministeriali – non hanno provveduto. A tale proposito basterà citare tra i mille possibili esempi, quello della legge "Gelli" (legge 24/2017) che ancor oggi è priva dei decreti attuativi. In particolare, dopo quasi quattro anni gli interessati non hanno ancora visto l'adozione del decreto del MISE sugli obblighi assicurativi previsto dall'art. 10, comma 6 "entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge", cioè entro il 29 luglio del 2017: non credo ci sia bisogno di alcun altro commento.
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