Dal governo

Ticket: una giungla “coltivata” anche dai cittadini

di Nino Cartabellotta*

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24 Esclusivo per Sanità24

La compartecipazione alla spesa sanitaria da parte dei cittadini, misura originariamente introdotta per moderare i consumi, si è progressivamente trasformata in un consistente capitolo di entrata per le Regioni, in un’era funestata dal definanziamento pubblico del Ssn. Tutte le Regioni hanno infatti introdotto sistemi di compartecipazione alla spesa sanitaria, con un livello di autonomia tale da generare una vera e propria “giungla dei ticket”, con differenze relative sia alle prestazioni su cui vengono applicati (farmaci, prestazioni ambulatoriali e specialistiche, pronto soccorso, etc.), sia agli importi che i cittadini sono tenuti a corrispondere, sia alle regole utilizzate per definire le esenzioni.

Il Rapporto 2018 della Corte dei Conti sul coordinamento della finanza pubblica e il Rapporto Osmed 2017 dell’Aifa documentano che nel 2017 i cittadini hanno sborsato € 47,6 pro-capite per un totale di € 2.884,6 milioni di cui € 1.548,0 milioni per i farmaci (€ 25,5 pro-capite) e € 1.336,6 milioni per le prestazioni specialistiche (€ 22,1 pro-capite).

Se l’entità della compartecipazione alla spesa nel periodo 2014-2017 si è mantenuta sostanzialmente costante, la composizione percentuale si è progressivamente modificata: infatti dal 2014, quando spesa per farmaci e specialistica si pareggiavano, la prima è aumentata del 7,9% e la seconda si è ridotta del 7,7%. Se l’incremento del ticket sui farmaci consegue alla preferenza crescente degli italiani per i farmaci brand rispetto agli equivalenti, la graduale riduzione dei ticket per le prestazioni specialistiche indica uno spostamento della domanda verso il privato, più concorrenziale per le fasce di reddito più elevate, anche in conseguenza dell’introduzione del superticket.

Il dato più clamoroso emerge indubbiamente dallo “spacchettamento” dei ticket sui farmaci: dei € 1.549 milioni, meno di un terzo sono relativi alla quota fissa per ricetta (€ 498,4 milioni pari a € 8,2 pro-capite), mentre € 1.049,6 milioni (€ 17,3 pro-capite) sono relativi alla quota differenziale sul prezzo di riferimento, documentando la scarsa diffusione dei farmaci equivalenti nel nostro Paese, in particolare nel centro-sud. La retrograda posizione dell’Italia è confermata anche dai dati dell’Ocse, che ci collocano al penultimo posto su 27 paesi sia per valore (8,4% vs 25% della media Ocse), sia per volume (19,2% vs 51,5% della media Ocse) degli equivalenti. E l’affezione degli italiani per il farmaco brand non sembra affatto rallentare, visto che Il Rapporto Osmed 2017 conferma che nel 2013-2017 si è ridotta la quota fissa sulle ricette (da € 558 a € 498 milioni) ed è aumentata la quota prezzo di riferimento (da € 878 a € 1.050 milioni).

Il famigerato superticket, introdotto con la Legge Finanziaria 2011, è un ticket non obbligatorio pari a € 10 sulle prestazioni diagnostiche e di specialistica ambulatoriale e ciascuna Regione lo ha introdotto, o meno, e definito le relative modalità. La Legge di Bilancio 2018 ha già stanziato € 60 milioni per avviare una sua seppur parziale riduzione per la specialistica ambulatoriale, ma lo schema di decreto di riparto del fondo non ha ancora acquisito l’intesa della Conferenza Stato-Regioni. Peraltro, dal suddetto schema di riparto, emerge la prima stima ufficiale del reale impatto del superticket: a fronte di un gettito atteso di circa € 830 milioni/anno, i dati acquisiti tramite tessera sanitaria restituiscono una cifra nettamente inferiore (€ 413,7 milioni). Intanto, alcune Regioni (Emilia Romagna, Lombardia, Abruzzo) si sono mosse in autonomia per la riduzione del superticket con risorse proprie.

Al fine di uniformare la “giungla dei ticket”, l’articolo 8 del Patto per la Salute 2014-2016 aveva previsto la “Revisione disciplina partecipazione alla spesa sanitaria ed esenzioni”, tenendo conto della condizione economica dell’assistito o del nucleo di appartenenza. L’obiettivo era quello di evitare che la compartecipazione rappresentasse una barriera per l’accesso ai servizi e alle prestazioni, garantendo un gettito finanziario adeguato per le Regioni all’insegna di una unitarietà del sistema, ed evitando che ticket troppo elevati, in particolare per la specialistica, favorissero lo spostamento verso strutture private.

Nonostante la scadenza fissata al 30 novembre 2014, la revisione del sistema delle esenzioni e di compartecipazione al costo delle prestazioni sanitarie è rimasta al palo.

Se la revisione dei criteri di compartecipazione alla spesa rappresenta una dichiarata priorità per l’Esecutivo anche nella bozza della Legge di Bilancio 2019, le eterogeneità regionali e quelle relative alla tipologia di ticket (farmaci vs prestazioni) richiedono azioni differenti. Innanzitutto, dal punto di vista dell’equità è indispensabile uniformare a livello nazionale i criteri per la compartecipazione alla spesa e le regole per definire le esenzioni. In secondo luogo, anche al fine di ridurre le “fughe” verso il privato per le prestazioni specialistiche, occorre pervenire ad un definitivo superamento del superticket, il cui impatto reale peraltro sembra di gran lunga inferiore alle stime. Infine, sono indispensabili azioni concrete per aumentare l’utilizzo dei farmaci equivalenti, in particolare nelle Regioni del centro-sud, visto che la preferenza per i farmaci brand oggi “pesa” per oltre un terzo della cifra totale sborsata dai cittadini per i ticket e per oltre 2/3 della compartecipazione per i farmaci.

*presidente Fondazione Gimbe


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