Dal governo
Farmaci e rimborsabilità debole: i legami mancanti per una tutela equa del diritto alle terapie
di Patrizio Armeni * e Francesco Costa **
24 Esclusivo per Sanità24
La decisione di rimborsare un farmaco, elaborata e comunicata dall’Agenzia Italiana del Farmaco (Aifa), crea un diritto. Come si legge sul sito del Ministero della Salute «sono inclusi nella fascia A [H se ospedalieri] tutti i medicinali ritenuti essenziali per assicurare le cure previste nei Livelli Essenziali di Assistenza Sanitaria [e] sono a carico del Ssn».
Qualora un paziente presenti i requisiti che lo rendono elegibile ad una terapia rimborsata, e qualora il medico identifichi in questa terapia rimborsata la risposta migliore a disposizione del Ssn, il diritto si attiva. In virtù dei principi fondamentali del Ssn (universalità, uguaglianza ed equità) questo diritto non è declinabile con sfumature diverse e, pertanto, non dovrebbero esistere ulteriori ostacoli, né difformità nelle decisioni e nei tempi di erogazione sul territorio. In altri termini, la decisione dell’Aifa non dovrebbe essere ristretta né “interpretata” localmente. Se un farmaco è stato valutato dall’Aifa rimborsabile (e quindi ritenuto efficace ed essenziale) viene inserito automaticamente all’interno dei livelli essenziali di assistenza (Lea). In questo modo, il Ssn si impegna a garantire l’utilizzo del prodotto farmaceutico quando se ne ravvisa il bisogno.
Perché, allora, dopo la decisione dell’Aifa lo stesso farmaco è disponibile prima in alcune regioni che in altre creando disparità di accesso alle terapie all’interno del territorio nazionale? Perché esistono strumenti ulteriori di selezione dei farmaci come i prontuari regionali? Perché l’esaurimento del budget locale (regionale o aziendale) per i farmaci può generare attese nei trattamenti o trasferimenti sul territorio? Perché i pazienti da trattare dopo l’esaurimento del budget devono incontrare molti più ostacoli all’accesso alle cure rispetto a coloro che si sono ammalati quando ancora vi era disponibilità di spesa? In altri termini, perché la rimborsabilità decisa a livello centrale dall’Aifa non è sempre sufficiente a collegare bisogno del paziente e terapia farmacologica, configurandosi come rimborsabilità “debole”?
La legittimità di questi fenomeni è stata spiegata argomentando che le terapie erogate tramite i Lea sull’assistenza ospedaliera non prevedono che tutti i principi attivi siano presenti in un’azienda pubblica, ma che lo siano obbligatoriamente solo quelli necessari ad assicurare il livello essenziale di cure efficaci. In altri termini si mette in discussione la stessa facoltà dell’Aifa (nonostante i farmaci inseriti nel Pfn siano ritenuti essenziali ed efficaci) di incidere sui Lea con le proprie decisioni. Tuttavia, queste argomentazioni, peraltro supportate dalla giurisprudenza (Consiglio di Stato, sentenza n. 997/2017), stridono con la linearità della catena decisionale secondo cui l’Aifa crea il diritto e il medico (e solo il medico) associa il bisogno del paziente ad un farmaco rimborsato.
Questa argomentazione è senz’altro complessa, e più che convincere con la logica, crea l’impressione che un “filtro” ulteriore rispetto all’Aifa sia necessario e vada giustificato in qualche modo. Le ragioni di questa necessità possono essere di due tipi. La prima assume una natura tecnica, prevedendo un filtro aziendale e/o regionale che vada a rivedere (o correggere) una non ottimale valutazione dell’Aifa delle evidenze scientifiche, cliniche ed economiche, a supporto di una specialità medicinale. La seconda ragione è più di natura economica organizzativa, in quanto la rimborsabilità potrebbe non considerare la possibilità reale dei contesti locali di acquisire ed erogare le cure.
Nel primo caso, aziende e regioni interpretano la decisione dell’Aifa (ricordiamo: rimborsabilità significa identificare i farmaci necessari “per assicurare le cure previste dai Lea”) e ne mettono in discussione la valutazione di “necessarietà” del farmaco rimborsato.
In questo caso, l’Aifa decide di riconoscere un medicinale come essenziale (nei Lea) e regioni/aziende eseguono una seconda valutazione che può concludere che non tutti i farmaci rimborsabili siano effettivamente essenziali. In questa prospettiva, il secondo livello decisionale appare difficilmente giustificabile e latore di duplicazioni, tempi che si allungano e disuguaglianze crescenti. Nel secondo caso, invece, le regioni o le aziende possono riconoscere che, anche in presenza di una valutazione inappuntabile delle evidenze scientifiche, l’Aifa ha assegnato la rimborsabilità ad un medicinale il cui approvvigionamento per tutti i pazienti non è sostenibile economicamente o per ragioni organizzative. In questo secondo caso, l’ulteriore selezione rappresenta un sistema pragmatico per collegare il “dover essere”, dettato dalla rimborsabilità, e il “mondo reale” fatto di risorse scarse in cui la responsabilità sulla spesa ricade sulle regioni. Questa seconda prospettiva è, contrariamente alla prima, ampiamente giustificabile e - in certa misura - insita nella complessa governance dell’innovazione farmaceutica.
Quindi dov’è il problema? Il problema risiede nel fatto che la creazione di diritti e la loro effettiva attivazione sul territorio sarebbe priva di ostacoli solo se tre decisioni in merito a rimborsabilità, finanziamento e diffusione locale delle terapie fossero prese in simultanea coerenza ma ad oggi non lo sono. In poche parole, la rimborsabilità non attiva il finanziamento;il finanziamento non è funzione della diffusione prevista e la diffusione prevista non è un tema affrontato, salvo poche eccezioni, nel prendere la decisione di rimborsabilità.
Rimborsabilità, finanziamento e diffusione
La prima incoerenza del sistema attuale è che rimborsabilità e finanziamento sono, di norma, disaccoppiati. In Italia, le risorse a disposizione della spesa farmaceutica sono determinate come una quota fissa (tetto di spesa) del finanziamento complessivo del Ssn, a cui si aggiungono i fondi temporanei creati ad-hoc, come quelli per i farmaci innovativi e per gli innovativi oncologici. La crescita del finanziamento per l’assistenza farmaceutica non dipende, quindi, in alcun modo dalle decisioni di rimborsabilità ma segue, nella sua componente principale, la complessiva crescita delle assegnazioni totali per la sanità pubblica.
Dall’altro canto, l’Aifa non può assegnare ex ante direttamente un certo ammontare di risorse per ogni farmaco che dichiara rimborsabile. Quindi rimborsabilità e finanziamento seguono strade parallele, e questa mancanza di simultanea coerenza si aggrava per il fatto che mentre la rimborsabilità è nazionale, la responsabilità di spesa (quindi il finanziamento effettivo) è regionale. Ne consegue che se l’Aifa rende rimborsabili terapie che possono creare un problema di spesa eccessiva e di sfondamento dei tetti assegnati, le regioni, di conseguenza cercheranno di “proteggersi” in diversi modi, creando anche dei sistemi per procrastinare, diminuire o evitare l’impatto economico dei nuovi farmaci non coerente con le risorse a loro disposizione. Una conseguenza del disaccoppiamento tra rimborsabilità e finanziamento è che, ad oggi, l’impatto economico complessivo atteso non è calcolabile con precisione prima dell’inserimento dei nuovi prodotti a livello nazionale, se non con delle analisi di Budget Impact (peraltro non esplicitamente richieste per la compilazione del dossier) e non sono presenti analisi simili a livello regionale e locale, se non per volontà delle imprese fornitrici. Di fatto, salvo alcune eccezioni, non sempre sono disponibili per tutti i problemi di salute informazioni dettagliate in merito alla popolazione elegibile ad una nuova terapia e alla sua distribuzione nel territorio: tutte queste informazioni sarebbero necessarie per il decisore pubblico nella valutazione della quantità di valore potenziale realmente generabile nel nostro Paese grazie ad una nuova terapia.
Questa riflessione ci porta ad esaminare la seconda incoerenza, cioè il mancato collegamento tra rimborsabilità e diffusione. La rimborsabilità, proprio perché crea un diritto, non può prescindere da una strategia di diffusione (intesa come piano di graduale sostituzione o affiancamento rispetto alle terapie esistenti). Tutto ciò si riflette a livello regionale e locale nella necessità di gestire gli impatti economici e organizzativi solo dopo che la rimborsabilità è stata assegnata. In questo modo, regioni e aziende, si trovano nella condizione di dover garantire, da un alto, un diritto (il farmaco rimborsato) e dall’altro la tenuta della spesa e la gestione degli impatti organizzativi (es. modificare il carico di lavoro per alcuni centri prescrittori). Quindi, la rimborsabilità e la diffusione delle terapie non sono decisioni prese “a sistema” ma in modo consequenziale, generando la possibilità che la diffusione possa procedere in modo disuguale sul territorio in funzione delle scelte regionali e dei vincoli organizzativi, con gap temporali anche rilevanti che possono anche superare l’anno. Tutto ciò a parità di diritti formalmente riconosciuti. Tale eventuale disuguaglianza si riflette, a volte, in casi di mobilità interregionale che innesca tutte le complicazioni tipiche della compensazione tra regioni.
Infine, la mancanza di coerenza tra finanziamento e diffusione è in stretta connessione logica con le altre due. Se, infatti, la rimborsabilità segue una strada parallela rispetto a finanziamento e diffusione, senza alcun meccanismo di raccordo implicito, è anche perché il finanziamento delle terapie non è deciso sulla base della diffusione prevista ma, come già analizzato, segue logiche prevalentemente di composizione (percentuale sul finanziamento della sanità pubblica).
L'esempio dei nuovi farmaci anti-Epatite C
Un esempio interessante è stato la gestione della prima fase della diffusione dei nuovi farmaci anti-HCV. Infatti, vi sono state trattative parallele che hanno portato i fondi dedicati ad essere prima del tutto incapienti e poi sovradimensionati. Infatti, per il 2015 fu negoziata da una parte la quantità di trattamenti da erogare e, simultaneamente ma non in modo congiunto, furono stanziati i primi 500 milioni ad-hoc. Tuttavia, anche contando il contributo degli accordi di capping e di prezzo/volume, i circa 31.000 trattamenti avviati nel 2015 (fonte Aifa) hanno avuto un impatto economico netto ben superiore a 500 milioni, collocandosi a circa 1 miliardo (1,6 miliardi di spesa, nettati di 572 milioni di payback per accordi negoziali) (Fonte Osmed e monitoraggi Aifa). Questa disorganicità ha comportato conseguenze per regioni e imprese, che ne hanno sopportato le conseguenze economiche.
Nel 2017, al contrario, il fondo ad hoc è risultato ben superiore alla spesa sostenuta per il trattamento con farmaci innovativi, comportando una sottoutilizzazione -non recuperabile- delle risorse messe a disposizione per il trattamento dei pazienti.
In conclusione, appare chiaro che tutte le modifiche al margine della governance italiana del farmaco non siano, individualmente, sufficienti a risolvere queste tre incoerenze di fondo.
Ad esempio, il permanere di una logica di finanziamento “a tetto” con payback è incompatibile con la volontà di rendere forte la decisione di rimborsabilità nazionale, così come mantenere disallineati i livelli nazionale e regionale su rimborsabilità e finanziamento non permetterà di ridurre sensibilmente le disuguaglianze nell’accesso alle terapie. In sintesi, al fine di riunire la costituzione del diritto alle terapie con la sua fruibilità è essenziale seguire tre principi-guida:
1)Il finanziamento delle terapie deve essere simultaneo e coerente con le scelte di rimborsabilità e diffusione, altrimenti la rimborsabilità rimarrà una decisione debole e non esecutiva nella maggior parte delle regioni, continuando ad essere fonte di disuguaglianze;
2)La rimborsabilità crea un diritto e deve essere assegnata ad un farmaco se vi sono le condizioni di destinare le risorse sufficienti per assicurarne l’accesso a tutti i pazienti che ne hanno bisogno, programmandone la strategia di diffusione;
3)La valutazione principale per consentire la rimborsabilità deve riguardare il beneficio complessivo generato presso la società (valore in senso ampio) per verificare che questo sia superiore rispetto al sacrificio (costo incrementale) di cui la società stessa dovrà sostenere.
L’evoluzione metodologica in campo farmacoeconomico ha elaborato tipologie di analisi che consentono di servire a questi scopi, per far evolvere il processo di prezzo e rimborso verso un modello più trasparente e in grado di tenere in considerazione tutti gli elementi relativi all’introduzione di un farmaco. In particolare, è fondamentale che queste analisi possano rivelare il valore economico dei benefici raggiungibili con una nuova terapia e le variazioni di costo (sorgente ed evitato) anche al di fuori del mero budget della sanità, includendo non solo la prospettiva del paziente ma anche quella di altri capitoli di spesa pubblica come quelli previdenziali e assistenziali.
Le cosiddette innovazioni nella governance farmaceutica che non puntano alla coerenza tra i tre pilastri di rimborsabilità, finanziamento e diffusione, rischieranno sempre di riprodurre una versione mascherata della vecchia logica dei flussi decisionali paralleli, proseguendo a generare risultati magari difendibili davanti a una corte di un tribunale ma senz’altro contrari allo spirito valoriale a cui il nostro Ssn dovrebbe mirare.
* Cergas Bocconi - SDA Bocconi School of Management (GHNP Division)
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