Dal governo

Contratto sanità, fallisce il nuovo round sulla trattativa. Infermieri pronti allo sciopero

di Lucilla Vazza

L’ultima carta della mediazione con Governo e Regioni per il rinnovo del contratto nazionale è miseramente fallita stamattina, i sindacati degli infermieri, snobbati da chi dovrebbe prendersi carico delle richieste di chi lavora negli ospedali italiani, sono pronti allo scontro e a scioperare nell’ultima settimana di febbraio, la data ancora non c’è. All’incontro di oggi al ministero del Lavoro, già rinviato di 24 ore perché si erano perse le convocazioni, oltre ai lavoratori erano presenti solo rappresentanti del ministero della Funzione pubblica. È dunque evidente che non c’è da parte di Governo e Regioni la volontà di rivedere il testo del nuovo Ccnl nella direzione richiesta dal comparto.

Lo sciopero generale appare dunque inevitabile. A meno che non si trovi il modo di ricomporre la situazione. Nel rinnovo del Ccnl c'è di più del semplice aggiornamento delle retribuzioni. Per i lavoratori è il primo documento da cui ripartire per ridare fiato a una sanità a cui si chiede molto e a cui si dà sempre meno.

Regioni e Governo, secondo i sindacati, col loro mutismo stanno riportando in scena per l'ennesima volte il modello di un sistema sanitario medico-centrico, con i 500mila professionisti del comparto a fare da comparse in un mondo che evolve e che chiede loro sempre più responsabilità. Il nodo sono le risorse, i famosi 85 euro che non bastano a coprire quanto è stato perso nelle buste paga degli ultimi anni, figuriamoci se possono essere sufficienti a coprire l'aumento dei carichi di lavoro e delle responsabilità ridisegnate dalle nuove leggi sul rischio clinico. La parte pubblica dovrebbe aprire i cordoni delle borse se si vuole una reale riorganizzazione del lavoro in corsia, con il comparto a reggere quelle funzioni che appaiono ancora troppo diverse da regione a regione. E poi ci sono le deroghe alle famose 11 ore di riposo continuativo previste dalla direttiva dell'Unione Europea, in vigore in Italia dal 25 novembre 2015. Anche su questo punto non si trova l’accordo.

Intanto a fronte di una carenza di 60-70mila infermieri per il nostro Ssn, ce ne sono altri 25mila disoccupati. Così cresce il numero di chi fa le valigie e si trasferisce in Gran Bretagna e Germania, dove gli infermieri italiani sono richiestissimi per il valore tecnico, ma anche «compassionevole» della loro formazione. «Spiace dover organizzare questi trasferimenti, con giovani e ottimi professionisti preparati con le risorse italiane a portare questo know how all'estero. Ma con questa situazione l'emorragia di giovani è inevitabile e continuerà sempre di più - lamenta Antonio De Palma, leader Nursing Up -. Agli infermieri italiani è chiesto sempre di più, per questo vogliamo che il livello di inquadramento passi da D a Ds. È un cammino lungo, ma questo passaggio va fatto».

Infine, i lavoratori chiedono che si riveda il modello organizzativo delle piante organiche, perché i criteri che regolano i carichi di lavoro sono ben lontani dalla realtà della sanità italiana. Una base di partenza potrebbe essere quel decreto Donat Cattin che nel remoto 1988 tracciava un quadro preciso delle dotazioni minime professionali in corsia. Ma era un altro mondo e la volontà politica di fare una grande riforma in questo senso oggi non c’è. La fine della legislatura impone tempi stretti per trovare un accordo sostenibile su un contratto che rischia di diventare una chimera.


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