Dal governo
Definanziamento della sanità, Fondazione Gimbe: «Numeri, non opinioni»
di Nino Cartabellotta (presidente Fondazione Gimbe)
Volge al termine un’era che ha visto il ministro Lorenzin, unica costante del triplete Letta-Renzi-Gentiloni, combattere con grande entusiasmo e passione per il nostro Servizio sanitario nazionale (Ssn). Purtroppo, nonostante la sua determinazione, i numeri documentano senza appello che per la sanità pubblica il lustro 2013-2017 è trascorso sotto il segno di un definanziamento senza precedenti, testimoniando che l’impegno del ministro della Salute non è sufficiente, se la programmazione sanitaria è subordinata a quella finanziaria e le Regioni giocano una controparte non sempre in sintonia.
Nell’aprile 2013 il Governo Letta riceve in eredità un pesante fardello dalle precedenti legislature: i numeri snocciolati dal ministro Balduzzi il 19 dicembre 2012 documentano infatti che, a seguito dell’applicazione di varie manovre finanziarie, nel periodo 2012-2015 la sanità pubblica perderà circa 25 miliardi di euro, cifra corretta al rialzo dalle Regioni che stimano oltre 30 miliardi di euro di tagli. Se è vero che il buongiorno si vede dal mattino, i primi interventi sulla sanità del nuovo esecutivo vanno nella stessa direzione: il 23 settembre 2013 la nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza (Def) sancisce la progressiva riduzione del rapporto spesa sanitaria/Pil dal 7,1% al 6,7% e il 20 dicembre la legge di Stabilità 2014 taglia il finanziamento per il Ssn di 540 milioni di euro nel 2015 e 610 milioni di euro nel 2016.
Con il Governo Renzi, il 10 luglio 2014 sembra l’alba di un nuovo giorno per la sanità: Governo e Regioni siglano il Patto per la Salute che all’articolo 1 mette sul piatto le risorse per un triennio: 109,928 miliardi di euro per il 2014, 112,062 miliardi di euro per il 2015 e 115,444 miliardi di euro per il 2016. Ma la subdola clausola contenuta nello stesso articolo «salvo eventuali modifiche che si rendessero necessarie in relazione al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica e a variazioni del quadro macroeconomico» diventa il salvacondotto del Governo che con la legge di Stabilità 2015 chiede alle Regioni un contributo alla finanza pubblica di 4 miliardi di euro. Il 26 febbraio 2015 le Regioni, incapaci di formulare adeguate proposte, accettano il compromesso del fifty/fifty, rinunciando agli oltre 2 miliardi di euro di incremento del fondo sanitario previsti dal Patto per la Salute. Il 2 luglio la Conferenza Stato-Regioni raggiunge l’intesa per i tagli alla sanità e un mese dopo il Dl Enti locali legittima la “manovra d’estate” che cala la scure sul finanziamento del Ssn per gli anni 2015 e 2016: 6,79 miliardi di euro in meno rispetto a quanto previsto dal Patto per la Salute.
Vigilia di San Silvestro 2015: la legge di Stabilità 2016 fissa in 111 miliardi di euro il finanziamento per il 2016 (comprensivi di 800 milioni di euro per i nuovi Lea), ma spiana la strada a una ulteriore stangata per la sanità, sancendo che «Regioni e Province autonome [...] assicurano un contributo alla finanza pubblica pari a 3,98 miliardi di euro per l’anno 2017 e a 5,48 miliardi di euro per ciascuno degli anni 2018 e 2019, in ambiti di spesa e per importi proposti, nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza». Il colpo di grazia non tarda ad arrivare: nella “carbonara” Intesa dell’11 febbraio 2016 il «contributo alla finanza pubblica [...] nel rispetto dei livelli essenziali di assistenza» con un abile gioco di prestigio si trasforma in «contributo del Ssn alla complessiva manovra a carico delle Regioni definita dalla legge di Stabilità 2016», sottraendo alla sanità 3,5 miliardi di euro per il 2017 e 5 miliardi di euro per il 2018 e per il 2019. Alle Regioni il contentino di avere (solo temporaneamente) conquistato 113 miliardi di euro per il 2017 e 115 miliardi di euro per il 2018.
Dopo il cambio di guardia a Palazzo Chigi, la legge di Bilancio 2017 del Governo Gentiloni ridistribuisce su tre anni le risorse già assegnate al Ssn: 113 miliardi di euro per il 2017, 114 per il 2018 e 115 per il 2019. Arriva così il 2017, anno in cui i nefasti “segni meno” si moltiplicano senza tregua. L’11 aprile il Def prevede che il rapporto spesa sanitaria/Pil diminuirà dal 6,7% del 2017 al 6,4% nel 2019; il Dm 5 giugno 2017 ridetermina il fabbisogno sanitario nazionale riducendolo di 423 milioni di euro per il 2017 e di 604 milioni di euro per l’anno 2018 e successivi; il 23 settembre la nota di aggiornamento al Def riduce ulteriormente il rapporto spesa sanitaria/Pil dal 6,6% del 2017 al 6,3% nel 2020; last non but least, al termine di questo annus horribilis, il disegno di legge di Bilancio 2018 sbarca in Parlamento senza alcuna misura per la sanità lasciando presagire che l’ennesimo contributo delle Regioni alla finanza pubblica di 300 milioni di euro graverà ancora una volta sulle spalle del Ssn.
Dalla titanica impresa di sintetizzare l’enorme quantità di numeri tra finanziamenti programmati dai Def, fondi assegnati dalle leggi di Bilancio, tagli e contributi alla finanza pubblica a carico delle Regioni, emergono poche inquietanti certezze per il futuro del Ssn:
il finanziamento pubblico formalmente è aumentato di quasi 7 miliardi di euro: dai 107,01 del 2013 ai 114 del 2018, ma quelli sopravvissuti sono 5,968 miliardi che rischiano di scendere a 5,668 miliardi;
nel periodo 2015-2018 l’attuazione degli obiettivi di finanza pubblica ha determinato, rispetto ai livelli programmati, una riduzione cumulativa del finanziamento del Ssn di 11,54 miliardi di euro;
la spesa sanitaria dal 2010 al 2016 è diminuita in media dello 0,1% annuo;
l’anno 2018 fa comprendere, anche a un classicista, il concetto di definanziamento progressivo: la spesa sanitaria stimata per il 2018 dal Def 2014 in euro 121,3 miliardi precipita a euro 117,7 miliardi nel Def 2015 per poi essere ulteriormente ridotta a euro 116,2 miliardi nel Def 2016 e a euro 115,1 miliardi nel Def 2017; il finanziamento nominale per il 2018 dai 115 miliardi di euro fissati dall’Intesa 11 febbraio 2016, viene ridotto a 114 miliardi di euro dalla legge di Bilancio 2017 ai 113,39 miliardi di euro dal Dm 5 giugno 2017 e rischia di lasciare per strada altri 300 milioni di euro con la legge di Bilancio 2018;
le previsioni a medio termine non lasciano intravedere alcuna luce alla fine del tunnel: infatti, la nota di aggiornamento del Def 2017, nonostante certifichi una crescita del Pil dell’1,5% per gli anni 2017-2019, riduce progressivamente il rapporto spesa sanitaria/Pil dal 6,6% del 2017 al 6,5% del 2018, al 6,4% nel 2019, sino al 6,3% nel 2020.
Vero è che una quota consistente di denaro pubblico viene erosa da sprechi e inefficienze, vero è che la spesa privata per il 90% è a carico dei cittadini per l’incapacità di mettere in campo un riordino legislativo della sanità integrativa, vero è che le aspettative irrealistiche di cittadini e pazienti contribuiscono a minare la sostenibilità del Ssn, ma con un definanziamento della sanità pubblica di tale entità l’esecutivo lascia in eredità tre questioni irrisolte. Innanzitutto, i professionisti sanitari continuano ad attendere invano il rinnovo di contratti e convenzioni; in secondo luogo l’adempimento del mantenimento dei (vecchi) Lea peggiora di pari passo con le diseguaglianze regionali; infine, i tanto sospirati nuovi Lea rischiano di rimanere un grande traguardo politico a rischio di illusione collettiva e, soprattutto, di gravi effetti collaterali: allungamento delle liste d’attesa con spostamento della domanda verso il privato e aumento della spesa out-of-pocket sino alla rinuncia alle cure.
Game over e... avanti il prossimo con una timida ventata di ottimismo per l’atteso rilancio della sanità pubblica: l’Istat ha appena certificato per il 2017 una accelerazione del Pil senza precedenti dal 2011 (+0,5% nel terzo trimestre e +1,8% sull’anno).
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