Dal governo
Professioni sanitarie, l’accordo sulle competenze va alla Stato-Regioni
Dopo alcune tensioni dovute alla definizione in una prima bozza di criteri limite per le professioni nello schema di accordo, l'intervento dell'Ipasvi e del ministro Lorenzin hanno riportato le regole a quelle della legge 42/1999 “Attività delle professioni sanitarie nel Ssn”: dopo un forte tensione iniziale legata alla prima versione della bozza di accordo Stato-Regioni inviata dal ministero della Salute alla Conferenza per l'intesa, torna il sereno.
Il nuovo accordo prevede la definizione delle attività riservate alle professioni sanitarie e per farlo richiama la legge 43/2006, ribadendone i requisiti: titolo universitario con valore abilitante all'esercizio della professione, ordinamenti didattici dei corsi di laurea definiti da decreti dei ministeri dell'Università e della Salute, iscrizione obbligatoria all'albo professionale (per chi ce l'ha) subordinata al conseguimento del titolo universitario abilitante, aggiornamento professionale secondo le stesse regole di quello della professione medica.
E fornisce un'intepretazione definitiva di un aspetto su cui finora ci sono state numerose contestazioni: quello dell'obbligatorietà dell'iscrizione agli albi per le professioni che li hanno. La bozza di accordo infatti stabilisce che, tra gli altri requisiti, le attività sanitarie sono riservate alle professionalità in possesso dell’«iscrizione obbligatoria all'albo professionale, laddove costituito, subordinata al conseguimento del titolo universitario abilitante».
Tra stop&go
Lo schema iniziale infatti, pure rifacendosi nell'unico articolo che lo componeva alle leggi 42/1999, 251/2001 e 43/2006, in poche righe finali aveva scatenato l'ira di tutte le professioni sanitarie nel momento in cui per definire ulteriormente il loro campo proprio di attività e responsabilità, indicava tre criteri guida e due criteri limite, tra cui quello delle competenze mediche.
Nella prima versione della bozza di accordo, i «criteri guida» indicati come tali erano il contenuto del profilo professionale, quello degli ordinamenti didattici e quello dei codici deontologici, mentre i «criteri limite» erano le competenze previste per le professioni mediche e quelle delle altre figure professionali sanitarie, salvaguardando per queste ultime «l'apporto e l'integrazione che ogni figura può fornire nell'attività in team».
Immediata la reazione delle professioni che oltre alla dura critica sui criteri limite, hanno sottolineato che per la definizione del testo è stato dato mandato al Consiglio superiore di Sanità che tuttavia «non ha ascoltato le parti coinvolte come invece sarebbe stato il caso di fare».
E pronta è stata la reazione della Federazione Ipasvi, con una nota inviata dalla presidente Barbara Mangiacavalli alla ministra della Salute Beatrice Lorenzin, che ha modificato e rinviato un nuovo testo alla Stato-Regioni.
La ministra, ascoltando le ragioni illustrate dalla Federazione Ipasvi, ha tolto dalla versione finale la “lista” dei criteri guida e, soprattutto, quella dei criteri limite e, come già prevede la legge 42/1999, ha inserito l'indicazione che «il campo proprio di attività e responsabilità» delle professioni è definito da: contenuto del profilo professionale, contenuto degli ordinamenti didattici, contenuto dei codici deontologici.
Il tutto con l'unica specificazione, sempre secondo legge: «Fatte salve le competenze previste per le professioni mediche e per le altre professioni sanitarie, salvaguardando l'apporto e l'integrazione che ogni figura professionale può fornire nell'attività in team».
Le ragioni dell'Ipasvi hanno sottolineato tra l'altro che lo schema di accordo si rifaceva nella sua prima versione all'articolo, 1 comma 2, della legge 42/1999 sostituendo, però l'espressione «fatte salve» con «criteri limite», negando quindi la dinamicità positiva in corso dell'innovazione dell'organizzazione del lavoro in sanità «finalizzata sì a un'ottimizzazione dell'uso delle risorse umane e professionali in un'ottica di valorizzazione e di integrazione, ma, soprattutto, per fornire la più rapida, efficace ed efficiente risposta ai bisogni di salute dei cittadini».
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