Dal governo

Il futuro della Sanità tra l'art. 117 al vaglio del referendum e la “bocciatura” costituzionale della riforma Madia

di Gianfranco Rivellini

La pronuncia costituzionale n. 251 del 25 novembre scorso rappresenta per la sua portata ermeneutica un punto di approdo definitivo, a costituzione vigente, relativamente al bilanciamento tra Stato e Regioni delle rispettive prerogative legislative e della modalità di salvaguardia del principio di “di leale collaborazione”di cui agli artt. 5 e 120 della Carta.
In particolare nelle parti della “delega Madia” incidenti sulla sfera sanitaria, (art. 11, comma 1 lettere b) punto 2, f) e p), la Corte Costituzionale ha definitivamente sistematizzato quanto prodotto negli anni, a partire dalle novazioni di cui alla riforma del Titolo V del 2001. In tema di legislazione sul pubblico impiego quando lo Stato regolamenta, incidendo sulla sfera delle amministrazioni regionali, si legge nel testo depositato che “l'esercizio unitario che consente di attrarre, insieme alla funzione amministrativa, anche quella legislativa, può aspirare a superare il vaglio di legittimità costituzionale – e giustificare la deroga al riparto di competenze contenuto nel Titolo V” «solo in presenza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto le attività concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealtà» (sentenza n. 303 del 2003, sentenza n. 7 del 2016).

Il giudice delle leggi riconosce che il disegno riformatore complessivo del legislatore statale “rientra, nel novero di quelli, già sottoposti all'attenzione di questa Corte, volti a disciplinare, in maniera unitaria, fenomeni sociali complessi, rispetto ai quali si delinea una «fitta trama di relazioni, nella quale ben difficilmente sarà possibile isolare un singolo interesse», quanto piuttosto interessi distinti «che ben possono ripartirsi diversamente lungo l'asse delle competenze normative di Stato e Regioni» (sentenza n. 278 del 2010), corrispondenti alle diverse materie coinvolte”.

Proseguendo nella disamina la citata sentenza ribadisce che “è pur vero che questa Corte ha più volte affermato che il principio di leale collaborazione non si impone al procedimento legislativo. Là dove, tuttavia, il legislatore delegato si accinge a riformare istituti che incidono su competenze statali e regionali, inestricabilmente connesse, sorge la necessità del ricorso all'intesa. Quest'ultima si impone, dunque, quale cardine della leale collaborazione anche quando l'attuazione delle disposizioni dettate dal legislatore statale è rimessa a decreti legislativi delegati, adottati dal Governo sulla base dell'art. 76 Cost”.
Per inciso il citato art. 76 resta non modificato nel testo sottoposto al referendum prossimo 4 dicembre, dunque la decretazione delegata del Governo, tipica del processo legislativo snello, incisivo e rapido, tanto invocato dal dibattito in corso, potrà in futuro riservare pronunce di incostituzionalità nel complesso rapporto tra legislazione statale e regionale, nonostante la nuova riscrittura riformatrice dell'art. 117, qualora fosse approvata.
Tanto si ritiene proprio partendo dall'analisi comparata che prende origine dal previgente testo originario del 1948.

Il legislatore costituente aveva infatti riservato allo Stato la competenza a legiferare in generale. L'art. 117 elencava le eccezioni, cioè le “materie” in cui le Regioni emanavano norme legislative autonome “nei limiti dei principî fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, sempreché le norme stesse non siano in contrasto con l'interesse nazionale e con quello di altre Regioni”. Il campo sanitario era una di queste, secondo la dicitura “beneficenza pubblica ed assistenza sanitaria ed ospedaliera”.

La riforma del 2001 ha capovolto questo schema, ha introdotto un regime “paritario” secondo il dettato “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali”. Ha inoltre introdotto l'elenco di “materie esclusive” dello Stato e l'elenco delle materie soggette a “legislazione concorrente”. La competenza regionale esclusiva è risultata residuale, secondo la formula “spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato”.
La legislazione relativa alla sfera “sanità” nella vigente Costituzione è materia concorrente, secondo la dicitura “tutela della salute” e numerose sono state le pronunce costituzionali tese a ripartire, non senza sforzo d'ingegno giuridico, le sfere di competenza tra il livello statale e regionale, perché lo Stato possiede l'esclusiva potestà sull' “ordinamento civile”, con ulteriore clausola di prevalenza secondo la quale “nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato”.

La conseguenza nell'ambito del pubblico impiego del comparto sanitario è stata la non praticabilità di un autonomo livello regionale di contrattazione, oppure la censura della Corte rispetto a soluzioni delle autonomie regionali sulle norme di stabilizzazione dei precari. Viceversa la legislazione statale ha trovato sfavorevoli pronunce costituzionali quando ha emanato norme di dettaglio, incidenti sull'assetto organizzativo regionale del servizio sanitario, quantunque motivate per esigenze generali e superiori di “coordinamento della spesa pubblica” .

In sostanza negli ultimi 15 anni Stato e Regioni hanno colegiferato, tra alti e bassi, tra scelte sagge e scelte discutibili, comunque il Servizio Sanitario ha retto come sistema nazionale, per quanto a velocità e livelli di soddisfazione diversificati, come in vero è successo per altre aree di competenza concorrente, con ciò dimostrando che il problema non sta tanto nell'assetto costituzionale quanto nella stratificazione storica dei problemi irrisolti, tra i quali la questione meridionale, la distribuzione asimmetrica della ricchezza nazionale prodotta, come pure le asimmetrie di una imprenditoria privata che quando si dedica alla gestione di servizi pubblici, tra i quali la sanità, non sempre esprime il meglio di sé, preferendo un abbraccio con il ceto politico amministrativo, locale e nazionale, finalizzato ad “addomesticare” le regole del mercato, meglio se al riparo da dinamiche realmente concorrenziali.

L'abolizione della legislazione concorrente, come disegnata nella proposta riformatrice prossima, di cui al referendum 4 dicembre, viene giustificata con il costante conflitto di attribuzione che si forma alla Corte costituzionale sulla legislazione concorrente. Il dibattito sembra pure avere portato alla luce che circa nel 75% dei casi è lo Stato che ha impugnato le decisioni regionali.
La soluzione riformatrice proposta lascia pressoché invariato il comma 1 dell'art. 117, mentre vengono tassativamente ripartite le competenze esclusive. Tra queste lo Stato avoca al comma 2, punto g) le “norme sul procedimento amministrativo e sulla disciplina giuridica del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche tese ad assicurarne l'uniformità sul territorio nazionale” oltre alle “disposizioni generali e comuni per la tutela della salute” (comma 2, punto m). Viceversa alle Regioni spetta la potestà esclusiva su “programmazione e organizzazione dei servizi sanitari e sociali”, per quanto sempre comprimibile dal legislatore statale, in base alla nuova formulazione della cosiddetta “clausola di supremazia”, secondo la quale “su proposta del Governo, la legge dello Stato può intervenire in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell'unità giuridica o econo-mica della Repubblica, ovvero la tutela dell'interesse nazionale” (Comma 4).

Stante questa previsione riformatrice, secondo il principio generale della “reciproca esclusività” ci sono fondati motivi per prevedere nuovi conflitti tra Stato e Regioni, perché appare possibile che la potestà statale in tema di “disciplina giuridica del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche tese ad assicurarne l'uniformità sul territorio nazionale” potrà incidere, refluire sull'autonomia regionale in tema di “programmazione e organizzazione dei servizi sanitari e sociali”, come pure è ragionevole ipotizzare che le Regioni tenderanno a produrre una legislazione autonoma volta ad accentuare le già presenti differenze sul territorio nazionale circa i modelli organizzativi, mettendo a rischio l'uniforme esigibilità delle prestazioni stesse, inducendo il livello Statale a ricorre alla Corte Costituzionale, ovvero ad ovviare con decretazione delegata, ai sensi dell'art. 76 (invariato), invocando il comma 2, punto m) del 117 (riformato) ed avvalendosi del passaggio sul nuovo Senato, secondo le attribuzioni di cui all' art. 70.

Non si vuole peccare né di ottimismo né di pessimismo. Ad essere realisti si può ritenere che se passerà il disegno di riforma costituzionale lo scenario futuro per la sanità dovrà comunque seguire la strada tracciata autorevolmente dai giudici costituzionali che hanno indicato la via nel ricorso obbligato al procedimento delle intese “Stato – Regioni”, piuttosto che al semplice parere, quale soluzione politica, negoziale rispetto al conflitto di attribuzione e potestà legislativa. La discussa legislazione concorrente, espulsa dalla attuale proposta di riforma costituzionale dell'art. 117, potrebbe trovare una “seconda giovinezza” attraverso il rafforzamento con legge ordinaria dell'organismo paritetico di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281.


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