Dal governo
Nuovi Lea, tra federalismo e risparmi prevale il pessimismo della ragione
di Pina Onotri (segretario generale Smi)
24 Esclusivo per Sanità24
Pessimismo della ragione, questa la prima sensazione dopo un primo sguardo alla nuova proposta di Lea. Intanto, perché da anni assistiamo a interventi normativi, organizzativi (anche a causa di un malinteso federalismo che ha dato mano libera alle regioni) e tagli economici, che hanno minato l’essenza stessa di questo tipo di provvedimenti. Non ultimo: la grottesca vicenda dell’Atto di indirizzo e della Convenzione di medicina generale che contrastano con la vigente legge Balduzzi e con lo stesso Patto della Salute. Eppure, non ci vogliamo sottrarre da una disamina di una bozza che appare, però, ancora ispirata ad una logica prevalentemente centrata sulle attività ospedaliere e prestazionali.
Al di là della doverosa implementazione di alcuni screening e delle vaccinazioni, non si può non rimanere profondamente delusi dall’approccio culturale che nega diritto di cittadinanza al “problema dei problemi”: l’inedita ed epocale esplosione delle criticità connesse alle cronicità, questioni che non possono essere affrontate e risolte all’interno di un contenitore inadeguato quale quello dei Lea, che discende, appunto, dal Patto della salute.
D’altronde non ci si poteva aspettare altro: questa è l’ennesima concessione al pareggio di bilancio (!), ottenuta anche stavolta scaricando ulteriori costi sui cittadini, pur a fronte di nuove prestazioni. Derubricare i ricoveri ospedalieri dal day hospital al day service e infine a prestazioni ambulatoriali, significa porre a carico dei pazienti i conseguenti ticket per interventi che sino a ieri erano esenti perché effettuati in regime di ricovero. Così spingendo oltretutto il Ssn ad una ulteriore contrazione dei posti letto ospedalieri, a fronte di una inadeguata riorganizzazione: del territorio in grado di fare fronte all’emergenza, delle reti tempo-dipendenti e della continuità assistenziale.
Tutti temi affidati alla maldestra improvvisazione di apprendisti stregoni che ritengono di poterli affrontare all’interno del rinnovo dell’Acn dell’area convenzionata. Infatti, come in un dejà vu tutti i nodi delle cronicità vengono ribaditi nell’articolazione della complessità delle cure domiciliari (fino all’ospedalizzazione a domicilio) e ambulatoriali in una logica tutta prestazionale, a fronte di nuovi bisogni che richiedono ben altre soluzioni organizzative. E che dire infine della medicina predittiva e della diagnostica precoce: assenti, e che scontano inaccettabili differenze regionali che inficiano l’attesa di vita di cittadini con uguali patologie.
Odiose discriminazioni cui non si fa alcun cenno. L’attuale impostazione del Ssn sembra giunta al capolinea dopo quattro leggi nazionali di riforma e la deriva regionalistica di inizio secolo, ci si trascina stancamente nel pur lodevole intento di mettere in efficienza l’esistente, quando il quadro nosologico e i bisogni sanitari sono drammaticamente mutati.
Si è esaurita la spinta propulsiva che ha consentito l’istituzione del Servizio sanitario nazionale e gli stessi attori che l’hanno promosso, conseguendo, dopo anni di battaglie, un risultato storico che il mondo ci invidia, appaiono oggi stanchi e rinchiusi dentro la retorica della difesa acritica dell’esistente.
Va riscritto, e presto, un nuovo patto sociale tra cittadini e Stato che aggiorni l’offerta sanitaria ai nuovi bisogni, senza pregiudicare universalità ed equità del Ssn, che rischiano di apparire altrimenti soltanto parole vuote.
Ovviamente non sono i Lea lo strumento della programmazione: essi giungono a valle di decisioni assunte nei luoghi istituzionali (la conferenza Stato-regioni e il patto per la salute, da cui i Lea discendono), ma dopo 15 anni (tanti ne sono trascorsi) ben altro approccio sarebbe stato necessario. Forse impossibile visto l’attuale stato confusionale dell’assetto istituzionale
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