Dal governo

Via libera del Governo al Ccnq su nuove aree e comparti, Cosmed: «Importante successo sindacale. Sanità resta autonoma. Ora recuperare il valore del servizio pubblico»

Il Consiglio dei ministri di ieri ha aggiunto un tassello mancante per l’avvio della nuova stagione contrattuale del pubblico impiego, autorizzando la ministra per la semplificazione e la pubblica amministrazione Maria Anna Madia ad esprimere il parere favorevole del Governo sull'ipotesi di Contratto collettivo nazionale quadro (CCNQ) per la definizione dei comparti di contrattazione collettiva e delle relative aree dirigenziali per il triennio 2016-2018, firmata il 5 aprile 2016.

«Si dà, in tal modo, attuazione alla riforma operata dal d.lgs. n. 150 del 2009 - spiega il comunicato di Palazzo Chigi - riducendo il numero dei comparti e delle aree di contrattazione».

Quattro i comparti di contrattazione collettiva: comparto delle Funzioni Centrali; comparto delle Funzioni Locali; comparto dell'Istruzione e della Ricerca; comparto della Sanità. A tali comparti corrispondono anche le aree di contrattazione collettiva anche per la dirigenza.

«Il via libera del Governo alle aree negoziali è un importante successo sindacale – commenta il Segretario Generale Cosmed, Giorgio Cavallero – costato anni di lavoro.
Siamo riusciti a mantenere l'autonomia della sanità, che avrà un contratto separato rispetto ai restanti settori del pubblico impiego, Scuola, Stato, Enti locali, e non dovrà omogeneizzare contratti diversi, a differenza delle altre aree. Grazie alle nuove aree la rappresentanza sindacale, oggi troppo frammentata rispetto alla gravità del momento, sarà semplificata».

Una svolta positiva quindi ma che non consente facili entusiasmi vista l’esiguità delle risorse in campo. «L'approvazione del Governo giunge alla vigilia dei ballottaggi. Se fosse un calcolo politico - continua Cavallero - significherebbe che il Governo si è accorto dell'esistenza di oltre tre milioni di dipendenti pubblici che hanno sostenuto il peso economico della crisi e che sono senza contratto dal 2009. Tuttavia, la situazione generale e l'entità degli aumenti contrattuali ad oggi prevedibili non lasciano spazi a particolari entusiasmi».

Il pubblico impiego in questi anni ha pagato cara la crisi e i tagli: «La pubblica amministrazione - spiega la Cosmed - dal 2010 ha perso oltre 300.000 posti di lavoro, con un calo del monte salari (cioè le retribuzioni lorde complessive) di 10,8 miliardi di euro e i precari, oltre 100.000, in crescita costante. I tagli al salario accessorio rendono gli stipendi attuali perfino più bassi di 6 anni fa. Malgrado numero e retribuzioni medie dei dipendenti pubblici in Italia siano tra i più bassi dei Paesi Ocse, per il pubblico impiego, oggetto di leggi speciali punitive rispetto al privato, in materia previdenziale e perfino fiscale, la crisi non finisce mai».

Per la Cosmed vanno poi fatte delle considerazioni politiche. «L'aumento economico proposto per il triennio 2016-18 è pari a 6 euro medi netti al mese - sottolinea Cavallero - dopo che sono stati cancellati i contratti precedenti senza recupero economico, nonostante il pronunciamento della Corte Costituzionale. Il finanziamento, risibile e provocatorio, in realtà è una scelta politica. Nei prossimi anni la pubblica amministrazione si ridurrà ancora di numero per il blocco del turnover e gli inevitabili pensionamenti che riprenderanno con ritmo regolare dopo il blocco della “legge Fornero”. All'interno del sistema si libereranno molte risorse come mai è avvenuto, ma i Governi dell' ultimo decennio hanno destinato i cospicui risparmi (10,8 miliardi annui per gli stipendi e oltre 30 miliardi per le pensioni) per sostenere i settori privati».

«Per questo la questione è strettamente politica - conclude la Cosmed - esistendo un pregiudizio ideologico contro il lavoro pubblico, e la volontà di ridurre ulteriormente servizi e dipendenti pubblici in favore del privato. Poco importa se oltre 11 milioni di italiani rinunciano alle cure sanitarie, razionate come non mai, e che la vita media nel 2015 si è ridotta, cosa che non accadeva dalla seconda guerra mondiale. Dopo decenni di privatizzazioni disastrose sarebbe ora di ripensare al modello di sviluppo e uscire dallo slogan ormai retorico “meno Stato e più privato”. A cominciare dalla prossima legge di stabilità, occorre recuperare i valori di fondo del servizio pubblico oggetto di un attacco senza precedenti, per evitare declino e residualità».


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