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Diritto di cronaca, Garante privacy: «Garantire sempre la riservatezza del bambino malato»
di Ro. M.
Neanche il consenso dei genitori autorizza il giornalista a violare il diritto alla riservatezza di un paziente minore, che in ogni caso prevale sul diritto di cronaca. Quindi «no» a troppe informazioni che rendono identificabile un bambino malato e possono nuocere al suo sviluppo. Lo ha ribadito il Garante privacy nel definire un'istruttoria avviata d'ufficio a seguito della pubblicazione su alcune testate di diversi dati identificativi di una bambina (fotografie, il nome, il luogo di residenza, l'età, il nome e il cognome della madre, il nome della scuola frequentata), associati a precise indicazioni della patologia di cui soffre.
Nessuna conseguenza per le testate giornalistiche, comunica il Garante, «poiché le testate, appena avuta notizia dell'avvio dell'istruttoria, hanno eliminato gli
articoli dalla rete o oscurato i dati che rendevano identificabile la bambina».
«La vicenda descritta negli articoli affronta, a parere dell'Autorità, un tema di indubbio interesse pubblico - si legge nella newsletter del Garante - riguardando il dibattito in corso sul rapporto rischi benefici delle vaccinazioni. Nel riportare la notizia, i giornalisti devono però tener conto delle regole che disciplinano il rapporto tra attività giornalistica e protezione dei dati personali e delle garanzie poste a tutela dei più piccoli. In particolare, quelle del codice deontologico e della Carta di Treviso che considerano il diritto del minore alla riservatezza primario rispetto al diritto di cronaca e stabiliscono che in caso di bambini malati, il giornalista deve porre “particolare attenzione e sensibilità nella diffusione delle immagini e delle vicende” per evitare forme di sensazionalismo lesive della loro personalità».
Per il giornalista deve prevalere l’attenzione alla tutela del minore e il consenso dei genitori non fa la differenza . «Questo elemento - spiega l’Autorità - non è di per sé sufficiente a legittimare l'identificabilità del minore. Il consenso parentale non esime infatti il giornalista dal valutare il potenziale pregiudizio che può derivare dalla pubblicazione di informazioni così dettagliate. Il giornalista è chiamato ad adottare le cautele di volta in volta più opportune per tutelare il minore, senza per questo abdicare al ruolo fondamentale di denuncia e informazione della collettività». Un principio contenuto anche nella Carta di Treviso, secondo cui, «a prescindere dall'eventuale consenso dei genitori, il minore non va coinvolto in forme di comunicazioni lesive dell'armonico sviluppo della sua personalità».
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