Dal governo

Contratti, all’esordio il nuovo assetto della dirigenza Pta

di Stefano Simonetti

Con la sottoscrizione del contratto quadro avvenuta il 5 aprile scorso è finalmente a regime il nuovo assetto dei comparti di contrattazione collettiva del pubblico impiego. È vero che quella sottoscritta è una “ipotesi” di contratto che - prima della firma definitiva - deve acquisire il parere favorevole da parte dei Comitati di Settore congiunti ed essere certificata per la compatibilità dei costi dalla Corte dei conti ma è altrettanto vero che plausibilmente il testo non subirà alcuna modifica. I comparti e le aree dirigenziali sono dunque quattro, esattamente il numero fissato come massimo dall’articolo 54 del decreto 150/2009.

Va detto subito che dal generale processo di accorpamenti esce totalmente indenne la Sanità che risulta essere l’unico comparto ad aver mantenuto le peculiarità e le identità degli ultimi venti anni. In realtà l’unica modificazione riguarda la dirigenza Pta (professionale, tecnica e amministrativa) che abbandona la ex Area III, nella quale si trovava assieme alla dirigenza sanitaria non medica, per confluire nella nuova “Area delle funzioni locali” unitamente ai dirigenti regionali, a quelli degli enti locali nonché ai segretari comunali e provinciali.

A titolo personale, ritengo che tale nuova configurazione della dirigenza Pta non potrà che generare effetti positivi per la categoria finalmente affrancata da un tavolo negoziale rispetto al quale le divergenze e le specificità rispetto alla dirigenza sanitaria erano evidenti. Un’altra grande novità è quella del riconoscimento - o, meglio, della fine dell’equivoco – della dirigenza delle professioni infermieristiche e tecnico-sanitarie all’interno dell’“Area della Sanità”, insieme a medici, veterinari, odontoiatri, biologi, chimici, fisici, farmacisti e psicologi. Si ricorda, a tale proposito, che fin dal Ccnl del 2004 fu disciplinato in via transitoria il trattamento economico dei “nuovi” dirigenti riferendosi a quello spettante alla dirigenza amministrativa. Tale scelta fu dettata da situazioni e circostanze contingenti che - per quanto dotate di una propria razionalità di natura “congiunturale” - sono tuttavia risultate del tutto incomprensibili ai diretti interessati.

I dirigenti infermieri e tecnico-sanitari sono assolutamente diversi dai dirigenti amministrativi non soltanto per le funzioni svolte e la collocazione nelle aziende ma, soprattutto, per le modalità di accesso dall’esterno e per alcuni aspetti peculiari del rapporto di lavoro legati alla continuità assistenziale e alle connesse responsabilità. Ora le peculiarità sono prevalse, anche alla luce della direttiva del ministro Madia del 12 febbraio 2016 laddove si imponeva come criterio direttivo l’«accorpamento sulla base delle maggiori affinità». È di tutta evidenza che tali affinità non si rilevano con la dirigenza amministrativa.

Nel testo dell’Accordo si rilevano alcuni aspetti che meritano una breve riflessione. Innanzitutto è curioso ritrovare nell’articolo 3 il Cnel che doveva essere soppresso e anche l’Aifa che, forse, sarebbe più coerente si trovasse nell’Area della Sanità. Per la prima volta vengono citate le aziende ospedaliere-universitarie con riferimento al decreto Bindi-Zecchino del 1999: desta però qualche perplessità la citazione perche le denominazioni erano transitorie e dovevano durare un quadriennio. Nell’articolo 6 troviamo il richiamo alle «aziende sanitarie, ospedaliere del Servizio sanitario nazionale», laddove - a parte la punteggiatura migliorabile - si perpetua una inesattezza che esiste fin dal primo contratto quadro e cioè quella di omettere l’aggettivo «locali» alle parole «aziende sanitarie», visto che per aziende sanitarie tout court si intendono da sempre “tutte” le aziende del servizio sanitario, siano esse Asl o ospedaliere.

Di maggiore sostanza appare invece l’aver ignorato le ormai numerose e diversificate realtà regionali. A parte l’ormai consolidata esistenza di enti quali Ares, Areu, Estar ecc., va ad esempio segnalato che in Lombardia da pochi mesi le vecchie asl sono denominate Ats (Agenzie di tutela della salute) e che nelle varie regioni le denominazione sono le più eterogenee. Bastava un richiamo generale alle denominazioni assunte dalle singole regioni per evitare possibili equivoci.

Un’ultima osservazione. Nell’articolo 10 relativo alle clausole speciali viene effettuato un evidente salvataggio tattico delle sigle sindacali che sono destinate a sparire in ragione degli accorpamenti e che non intendano fondersi con altre. Tuttavia tale ripescaggio è espressamente improduttivo di effetti visto che tali sigle non sono “ammesse” alle trattative ma sono semplicemente “presenti”. Il successivo comma 3 prescrive che non hanno diritto alle prerogative sindacali, con la conseguenza che non possono neanche partecipare alla contrattazione integrativa a livello di amministrazione.


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