Dal governo
Tasse di concorso: i dubbi sull’ “obolo” a carico dei Dg
di Stefano Simonetti
Nel testo del decreto delegato che istituisce l’elenco nazionale dei Direttori generali, approvato dal Consiglio dei ministri lo scorso 20 gennaio, ha destato l’interesse degli addetti ai lavori la previsione di un “contributo” di euro 30 a carico dei candidati per le spese necessarie alle procedure di selezione (articolo 1, comma 5). La novità costituisce una occasione per approfondire una problematica annosa e mai risolta. Molto spesso nei bandi di concorso per l’assunzione nelle aziende sanitarie capita di leggere tra le prescrizioni del bando il pagamento della tassa di concorso di importi variabili, ma sostanzialmente intorno ai 10-15 euro.
Per molti anni nessuna azienda sanitaria aveva ritenuto di ricorrere a una possibilità prevista nella legislazione sulla finanza locale. Verso il 2005, 2006 invece molte aziende hanno cominciato a prevederla, seppure con molte diversificazioni nella misura. La materia era nel caos completo ma non si può certo negare che in concorsi con migliaia di candidati (ad esempio, infermiere e Oss) poter contare su di un contributo agli ingenti costi di svolgimento del concorso era un’idea molto seguita.
In quegli anni, comunque, si era affermata una certa interpretazione negativa al riguardo. Tra tutte, ricordo il Difensore civico dell’Abruzzo che nella relazione al Parlamento del 31 marzo 1999 parla esplicitamente di illegittimità della tassa di concorso e la sentenza del Tar Emilia-Romagna - Bologna sez. I, n. 358 del 18 marzo 2011 che, nella specie, riteneva che il mancato pagamento non può dar luogo all’esclusione ma alla regolarizzazione.
Va in ogni caso segnalato che nessuna norma di diritto positivo consentiva a una azienda sanitaria di prevedere la tassa. I due decreti specifici (Dpr 483/1997 per la dirigenza e Dpr 220/2001 per il comparto) tacevano del tutto su questo aspetto; né peraltro era dato trovare qualcosa nella normativa generale di cui al Dpr 487/1994. In alcuni casi si faceva riferimento alla legislazione sulla finanza locale (articolo 27, comma 6, della legge 131/1983) e, in fondo, le vecchie Usl nate da appena due anni potevano senz’altro afferire alla legislazione degli enti locali.
Ma dopo l’aziendalizzazione del 1995 si è persa ogni possibilità di applicazione analogica delle norma sulla finanza locale. E che alla citata legge si facesse all’epoca rinvio implicito è testimoniato dalla circostanza che l’importo che ancora oggi si trova molto spesso nei bandi è di euro 10,33, cioè esattamente corrispondente all’importo massimo di lire 20.000 fissato dall’articolo 23 della legge 340/2000 in materia di tributi locali.
Dopo l’entrata in vigore della legge 183/2011 il problema sembrava risolto; infatti l’articolo 4, comma 45 recita: «Per la partecipazione ai concorsi per il reclutamento del personale dirigenziale delle amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del Dlgs 165/2001, e successive modificazioni, è dovuto un diritto di segreteria, quale contributo per la copertura delle spese della procedura. L’importo è fissato con il bando ed è compreso tra i 10 e i 15 euro. La disposizione di cui al presente comma non si applica alle Regioni, alle pubbliche amministrazioni, agli enti, di rispettiva competenza, del Servizio sanitario nazionale e agli enti locali».
Da che si deduce che le aziende sanitarie non possono imporre la tassa di concorso. Risolta in modo così chiaro la questione per i concorsi della dirigenza, resta il dubbio riguardo ai concorsi relativi al comparto ma credo che il principio esplicitato nella norma riportata sia più che sufficiente a consigliare di non prevedere la tassa, anche per evidenti motivi di opportunità e perequazione.
Molte aziende però continuano ad applicarla - soprattutto in Lombardia e Puglia - utilizzando formulazioni svariate (tassa di iscrizione alla selezione, tassa di partecipazione al concorso, tassa di concorso) e addirittura importi diversi. Ma, allo stato della vigente normativa, tale previsione non può essere considerata legittima poiché non trova fondamento in alcuna norma di legge e non può, pertanto, essere rimessa alla discrezionalità amministrativa delle Aziende trattandosi di materia coperta da riserva di legge.
Da come è scritta la norma della legge 183/2011 sembrerebbe peraltro possibile - vista l’esclusione esplicita - che la possibilità sia delegata a una legge regionale. Infatti l’esclusione è probabilmente dettata dalla necessità di non incorrere in un conflitto ex articolo 117 della Costituzione, visto che, non a caso, nel comma 2, la lettera e) parla di «sistema tributario e contabile dello Stato».
Una buona occasione per fare chiarezza si è presentata nel 2013 quando tutte le Regioni hanno diramato le proprie linee guida per le nuove selezioni per la direzione di struttura complessa sanitaria: ebbene, neanche una Regione ha disciplinato la possibilità di prevedere nel bando la tassa in questione. L’unica possibilità di prevedere un introito sicuramente utile senza violare la normativa vigente potrebbe essere reperita nell’articolo 43, comma 4, della legge 449/1997, laddove si prevede che «le pubbliche amministrazioni individuano le prestazioni, non rientranti tra i servizi pubblici essenziali o non espletate a garanzia di diritti fondamentali, per le quali richiedere un contributo da parte dell’utente, e l’ammontare del contributo richiesto».
L’espletamento di un concorso pubblico non rientra certo tra i servizi pubblici essenziali mentre maggiori perplessità sorgono riguardo alla circostanza che un concorso pubblico non sia espletato a «garanzia di diritti fondamentali»: è pur vero, tuttavia, che la Costituzione utilizza tale aggettivo esclusivamente nel caso del diritto alla salute di cui all’articolo 32.
Va in proposito ricordato che le aziende sanitarie, in base alla norma del 1997 citata, ben possono richiedere contributi quando svolgono prestazioni, anche sanitarie, che non sono ricomprese nei Lea (visite di controllo a lavoratori assenti per malattia, esami tossicologici richiesti dalla Prefettura, verifiche su impianti a pressione, disinfestazioni e derattizazioni) ovvero che non sono tenute a svolgere (il rilascio di certificati di stato di servizio o di copie di documenti).
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