Dal governo
Spending review sovrastimata, luci e ombre della stretta sulla spesa
di Marco Molinari
Quanto è stabile una legge che finanzia le spese con risparmi improbabili come quelli previsti dalla spending review e dalle Centrali di committenza?
Nel giro di qualche mese i risparmi previsti della spending review sono stati praticamente dimezzati passando da 10 miliardi a 5 miliardi. Invece quelli derivanti dagli acquisti centralizzati sono rimasti invariati essendo stati ormai assunti a postulato. Eppure è difficile trovare qualcuno disposto a scommettere che nel 2015 i risparmi derivanti dalla revisione della spesa e dalla centralizzazioni degli acquisti possano arrivare a 2 miliardi. Ciò nonostante migliaia di stazioni appaltanti, con un impegno non indifferente, hanno inviato ai loro fornitori di beni e servizi rientranti nella Tabella A, le lettere attuative delle disposizioni del Dl 78/2015, convertito in legge 125/2015, al fine di ridurre la spesa corrente su base annua del 5% del valore complessivo dei contratti in essere. Le Aziende sanitarie le hanno inviate anche ai fornitori di dispositivi medici per abbassare i relativi prezzi unitari del 3 per cento. Altrettante migliaia di operatori economici stanno rispondendo alle suddette sollecitazioni con non minor dispendio di tempo e di lavoro.
Nel caso di mancato accordo sulla riduzione dei prezzi unitari e/o sui volumi di acquisto di beni e servizi entro 30 giorni dalla proposta, le stazioni appaltanti possono recedere unilateralmente dal contratto passando a un altro fornitore che applica prezzi contrattuali più vantaggiosi.
Ma quale risparmio si può pensare di ottenere da fornitori che sono stati già oggetto di almeno un’altra precedente spending review con conseguenti tagli di prezzi e di prestazioni, visto che i contratti di appalto vengono normalmente aggiudicati per un triennio, con possibilità di rinnovo? Per di più, non va dimenticato che trattasi in buona parte di appalti aggiudicati avendo come base d’asta al ribasso i prezzi di riferimento di Consip, dell’Anac, delle Centrali di acquisto e/o degli Osservatori regionali... Inoltre, a fronte di un probabile comprensibile diniego a rinegoziare da parte dei fornitori, per quali e quanti contratti le stazioni appaltanti potranno permettersi di recedere, avendone trovato un altro a condizioni più vantaggiose, alla luce della sentenza del CdS sez. III, n. 4133 del 7 settembre 2015, che sembra fatta apposta per rendere impraticabile la spending review?
Infatti la suddetta sentenza ritiene possibile l’utilizzo di altri contratti più convenienti sotto il profilo economico, solo qualora prevedano la sostanziale omogeneità delle prestazioni richieste, poiché si tratta di una norma derogatoria che pertanto va applicata nei limiti ristretti indicati dal legislatore senza possibilità di interpretazioni estensive che sarebbero in contrasto con i precetti della normativa comunitaria per cui l’affidamento degli appalti deve avvenire solo a mezzo di apposite gare a procedura aperta. Pertanto, «il servizio che viene affidato senza gara deve essere identificabile con quello già messo a gara in altre stazioni appaltanti e non trattarsi di un servizio con caratteristiche diverse e aggiuntive tali da snaturarne l’essenza, in violazione della par condicio e dell’evidenza pubblica». Appare quindi evidente che difficilmente un tale affidamento risulterà in concreto fattibile, soprattutto nel settore dei servizi dove non ci sono pressoché mai due appalti eseguiti nello stesso modo.
In ogni caso, i primi dati sull’andamento della procedura di revisione della spesa non risultano in linea con le aspettative del legislatore. Infatti:
a) circa il 15% delle Ditte non rispondono o rispondono di vantare un credito in conseguenza del diritto alla revisione dei prezzi dovuta loro ai sensi dell’articolo 115 del Dlgs 163/2006 (strategia di bassa lega per proporre pari e patta alla richiesta di revisione);
b) oltre il 40%, dopo aver evidenziato l’illegittimità della norma ed il suo contrasto con i principi del diritto nazionale ed europeo, dichiarano l’indisponibilità a tagliare i prezzi perché gli ordinativi di fornitura e i servizi risultano già notevolmente tagliati rispetto ai volumi previsti originariamente (alcuni per principio, altri per aver già subito una o due spending review), concludendo poi con un perentorio corale invito, presumibilmente suggerito dalle associazioni di categoria: «Pertanto, anche al fine di evitare inutili contenziosi, Vi invitiamo a soprassedere nella richiesta»;
c) circa il 30% è disponibile a tagliare i quantitativi di fornitura e la spesa conseguente, ma solo decorrenza dalla data di perfezionamento della rinegoziazione. Quindi solo per gli ultimi 2 o 3 mesi del 2015;
d) circa il 10% è disponibile a tagliare i prezzi ma con percentuali irrisorie e comunque decorrenti dalla data di perfezionamento della rinegoziazione. Quindi solo per gli ultimi 2 o 3 mesi del 2015;
e) meno del 5% concede una riduzione dei prezzi per tutto il 2015, ma con percentuali e importi poco significativi.
Eppure, dopo ben 3 revisioni della spesa questo risultato non sarebbe neanche da buttare...
Certo è che se non si cambia logica, c’è da aspettarsi che con la prossima spending review per raggiungere il risultato ci si possa basare sul postulato: «Il volume degli acquisti delle 35 Centrali di committenza determinerà un abbattimento dei costi di beni e servizi del 5%».
Non a caso anche con l’articolo 41 del Ddl di Stabilità il legislatore attribuisce alle Centrali di committenza una funzione salvifica. Ma di questo se ne parlerà alla prossima puntata.
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