Dal governo

Referendum in autunno su nuovo Senato e federalismo

di Emilia Patta

«Il percorso delle riforme terminerà ragionevolmente con il referendum costituzionale nell’autunno del 2016, e noi pensiamo che la legislatura arriverà alla sua scadenza naturale fino al febbraio 2018». Il giorno dopo lo «storico» sì del Senato alla riforma costituzionale che abolisce il Senato elettivo e riforma il Titolo V Matteo Renzi, durante l'informativa in Parlamento sull'imminente Consiglio Ue, ribadisce il cronoprogramma già stabilito: referendum confermativo ad ottobre 2016, elezioni politiche alla scadenza naturale della legislatura. Sembra dunque sfumata, anche se sempre accarezzata tra Palazzo Chigi e Largo del Nazareno, l'ipotesi di tenere il referendum sulla riforma costituzionale già nel giugno del 2016 assieme alle comunali nelle grandi città (Milano, Napoli e ora anche Roma).

I tempi
Visto che i tempi tra il via libera definitivo da parte delle Camere e il voto non sono comprimibili oltre i 5 mesi - come ricorda il costituzionalista Stefano Ceccanti - per celebrare la consultazione a metà giugno si dovrebbe chiudere tutto il percorso entro i primi giorni di gennaio... «Il referendum si farà in autunno, come ha detto ancora oggi lo stesso Renzi - dice il capogruppo del Pd a Montecitorio Ettore Rosato -. Ma anche per farlo in autunno è necessario che il passaggio a Montecitorio prima dei tre mesi di pausa previsti dalla Costituzione avvenga il prima possibile, entro l’anno». Referendum a ottobre-novembre 2016, dunque.

La legge elettorale
E dopo? In ambienti parlamentari, anche all'interno del Pd, si discute già delle possibili modifiche all'Italicum dopo le parole pronunciate in Aula martedì da Giorgio Napolitano («dare attenzione alle preoccupazioni espresse in materia di legislazione elettorale e di equilibri costituzionali»). Da Palazzo Chigi si continua a smentire l'ipotesi, e anche nella stretta cerchia renziana si ribadisce che la legge elettorale, approvata solo 4 mesi fa e per di più con la fiducia, non si tocca («che facciamo, diciamo scusate ci siamo sbagliati? e perché poi?»). Di certo Renzi difficilmente metterà in discusssione il premio alla lista invece che alla coalizione, una sua vittoria inaspettata ai tempi del patto del Nazareno, dal momento che il suo partito a vocazione maggioritaria non contempla coalizioni eterogenee e rissose. Ma la preoccupazione di Napolitano sembra fosse rivolta alla possibilità che a vincere il ballottaggio nazionale previsto dall'Italicum se nessuna lista raggiunge il 40%, in mancanza di premio di coalizione e di possibilità di apparentamento tra liste tra il primo e secondo turno, possa essere l’antieuropeo Movimento 5 stelle. Fermo restando il premio alla lista, il ragionamento è dunque sull'ipotesi di introdurre la possibilità di apparentamento tra liste tra primo e secondo turno in modo da poter meglio arginare una possibile onda grillina. Non a caso il pentastellato Danilo Toninelli, fiutata l'aria, mette le mani avanti: «Siamo di fronte a un'ipotesi di modifica fatta per danneggiarci, ben consapevoli che il M5S rifiuta qualsiasi alleanza raccogliticcia. Questi sono veri e propri eversori». In ogni caso, come ammette lo stesso Vannino Chiti, ex “dissidente” da sempre critico verso l'Italicum, è un ragionamento da affrontare tra oltre un anno, dopo la celebrazione del referendum confermativo e la chiusura del processo riformatore. E Anna Finocchiaro, presidente dem della prima commissione del Senato, chiosa: «Io penso che adesso non ci sono né le condizioni né le ipotesi per modificare una legge approvata dal Parlamento pochi mesi fa. Credo sia doveroso concentrarsi sulla conclusione del percorso della riforma costituzionale dal momento che ci sono ancora dei passaggi importanti». Ora non se ne parla, dopo chiassà. Eppure i renziani doc si dicono sicuri che l'Italicum non sarà toccato e che l'ipotesi di intervenire sulla possibilità di apparentamento è ventilata soprattutto per rassicurare gli alleati centristi. Perché il rischio che le coalizioni rissose che si fanno uscire dalla porta rientrino dalla finestra è altissimo: con lo sbarramento al 3%, tanto per fare un esempio, la sinistra del Pd potrebbe essere tentata dalla scissione in modo da poter condizionare il programma del futuro governo sfruttando proprio l'apparentamento tra primo e secondo turno.


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