Dal governo
Il bambino al centro della ricerca clinica per trattamenti adatti a lui
di Aifa
Un recente report a cura di un centro di ricerca britannico, il Nuffield Council of Bioethics, ha analizzato il tema della sperimentazione clinica in età pediatrica, con il contributo di un gruppo di lavoro dedicato e oltre 500 diversi interlocutori, fra cui gli stessi bambini, gli adolescenti e i loro familiari, chiamati a discutere su aspetti etici e pratici della ricerca medica condotta sugli under 18. Un tema particolarmente sentito in ambito globale, come più volte evidenziato anche dall'Aifa che lo scorso anno ha infatti realizzato una campagna di comunicazione per sensibilizzare la popolazione generale sull'importanza di un uso corretto dei medicinali nei bambini e sulla necessità di studi clinici che li coinvolgano direttamente, per poter avere farmaci adatti alle loro diverse caratteristiche fisiche e metaboliche.
Il 50% dei farmaci commercializzati è testato su una popolazione adulta: il primo passo - come sottolinea anche il rapporto del centro di ricerca inglese - è rendere consapevoli genitori e gli stessi medici del fatto che l'impiego di medicinali non approvati per l'età pediatrica comporta un uso off-label, ovvero fuori dalle indicazioni autorizzate. Inevitabile in molti casi, per mancanza di studi su neonati, bambini e adolescenti. Questi ultimi, però, non sono “piccoli adulti”: presentano modalità di metabolizzazione dei medicinali molto diverse a seconda delle fasi della crescita, e costituiscono dei sotto-gruppi di pazienti con caratteristiche peculiari. Per questo è fondamentale che la ricerca medica li includa negli studi in modo attivo, per avere trattamenti più sicuri ed efficaci, a garanzia della loro salute.
Una sperimentazione clinica pediatrica disegnata su impostazioni solide, scientificamente ed eticamente valida, dovrebbe essere considerata come parte necessaria di un sistema sanitario, sottolinea il rapporto. Ma non è semplice trovare il giusto equilibrio tra la necessità di non esporre i minori, considerati una popolazione “vulnerabile”, ai rischi di una sperimentazione clinica e allo stesso tempo preservarli da quelli legati ad un uso di terapie su cui non ci sono dati esaustivi provenienti da studi pediatrici. Un grande ruolo è affidato ai ricercatori che disegnano i trial, afferma il report: a loro e ai medici - e alle agenzie regolatorie, aggiungiamo – va il compito di sostenere una ricerca chiara, che individui i risultati attesi in modo trasparente, che infonda fiducia e acquisisca la partecipazione consapevole dei piccoli pazienti e delle loro famiglie.
La ricerca clinica non deve essere fatta “sulla” popolazione pediatrica, ma “con” bambini, adolescenti e familiari in veste di partner attivi di iniziative che li vedono pienamente coinvolti, sottolinea il rapporto del Nuffield Council of Bioethics. In questo la responsabilità di ricercatori e medici riveste grande importanza, perché spetta a loro adottare una comunicazione aperta e semplice sulle sperimentazioni cliniche proposte e proteggere quanto possibile i soggetti partecipanti, spesso reclutati in condizioni svantaggiate, quando purtroppo un nuovo studio può costituire l'unica strada da seguire.
Il Gruppo di Lavoro autore della relazione individua a questo proposito tre possibili situazioni che caratterizzano il tipo di adesione che i piccoli pazienti possono dare alla ricerca medica condotta su di loro: bambini molto piccoli che non possono prendere decisioni consapevoli sulla loro salute; bambini che possono esprimere opinioni e desideri ma non in grado di formularli in decisioni indipendenti; adolescenti che hanno già la maturità di elaborare scelte sulla loro partecipazione a studi clinici, ma che non possono farlo in quanto legalmente minori. In questi scenari il ruolo dei genitori è particolarmente significativo: hanno infatti il compito di rispettare i propri figli come individui, riconoscendo loro autonome capacità decisionali e allo stesso tempo proiettando gli effetti di queste scelte sul loro sviluppo futuro come persone adulte. Non ultimo, è auspicabile che i familiari considerino i benefici che una sperimentazione clinica può sortire non soltanto sul singolo ma su un gruppo più ampio di piccoli pazienti, con evidenti ricadute positive sulla salute di molti altri bambini e adolescenti.
Il rapporto invita a individuare percorsi di ricerca più snelli e lancia una raccomandazione anche al mondo regolatorio, come più volte già auspicato: far sì che tutti i medicinali, non solo quelli di nuova commercializzazione, prevedano nei dossier autorizzativi la presenza di risultati di studi in età pediatrica per colmare quanto possibile quel 50% di farmaci che ancora non sono approvati in neonati, bambini e adolescenti.
L'invito è in realtà esteso a tutto il sistema sanitario inglese, e lo stesso può dirsi a livello globale: la promozione della ricerca clinica in età pediatrica è un compito demandato a tutti gli attori dei servizi di salute. Affidabilità, chiarezza e coraggio sono i principi che devono sostenere questa presa di coscienza condivisa nella promozione degli studi clinici pediatrici.
© RIPRODUZIONE RISERVATA