Dal governo
Come salvare il cuore dell’articolo 32 della Costituzione
di Raffaele Calabrò (Prof. Ordinario Cardiologia SUN – Napoli, deputato Area popolare)
24 Esclusivo per Sanità24
A dispetto delle etichette, non mi sento un tecnico “prestato” alla politica, ma un politico che porta con sé il proprio vissuto professionale che si è trasformato, ma non si è smarrito, rappresentando parte del substrato dell’azione politica. Un cardiologo resta tale anche quando nella sua quotidianità non ci sono cuori da curare, né battiti e pulsazioni da misurare, il metodo e l’occhio clinico restano. Come rimane insita la conoscenza delle dinamiche della realtà ospedaliera, l’importanza dei concetti di rete e di appartenenza ad un’équipe, l’ascolto del paziente. Esperienze e metodologie che trasferite nella vita politica si declinano in capacità di ascolto dell’elettorato, in necessità di assumere decisioni e responsabilità, in abitudine ad inquadrare la diagnosi e a indirizzare la terapia per una rapida soluzione. E su tutto il dovere di far prevalere l’interesse del bene comune.
L’outcome di ideali e battaglie. Ideali e battaglie diventano una sorta di pazienti difficili che non puoi abbandonare fino a quando l’outcome non è quello che ti aspettavi. Il gap tra il nord e il sud in particolare nell’assistenza sanitaria, una formazione medica universitaria all’insegna della meritocrazia, dall’accesso alla facoltà fino alla formazione post laurea, l’approvazione di una legge sulla responsabilità professionale del personale sanitario, sono diventati i miei assistiti che curo quasi con accanimento terapeutico, pur di rimetterli in piedi. Per uno strano destino, il mio arrivo in Parlamento e l’incarico come consigliere per la sanità del Presidente della Regione Campania sono coincisi con l’adozione dei piani di rientro e il commissariamento della sanità di gran parte delle regioni meridionali, che hanno finito per stimolare gran parte della mia attività politica.
Non c’è dubbio che i disavanzi sanitari andavano ripianati, che ci sia stata in passato una gestione allegra dei conti economici, ma è anche vero che una politica sanitaria, imposta dall’alto, troppo attenta ai bilanci ha, spesso, reso difficile per le regioni meridionali garantire i Lea e una sanità di qualità in un momento in cui cambiavano le condizioni epidemiologiche, i livelli tecnologici e gli obiettivi di salute.
In questi anni si sono creati condizioni che hanno avvantaggiato il Nord a scapito del Sud che ha dovuto fare i conti con le carenze di organico per il blocco del turn over, un criterio di riparto del finanziamento sanitario tutt’altro che favorevole, una decurtazione eccessiva dei posti letto, una mobilità sanitaria spesso basata su inappropriatezza ed alimentata da una strategia di marketing sanitario delle strutture sanitarie settentrionali. Con il risultato che il Sud, nonostante abbia invertito la rotta e ripianato gran parte dei deficit, si ritrova ancora sottoposto a vincoli, lacci e lacciuoli che non consentono il recupero totale dell’organismo e che, tra l’altro, non sempre sono supportati da motivazioni di risparmio economico. Si pensi al blocco del turn over, l’origine della gran parte dei mali della sanità che ha inciso negativamente sulla qualità dell’assistenza sanitaria senza consentire i risparmi attesi a causa dell’eccessivo ricorso allo straordinario, eppure inspiegabilmente non sono ammesse deroghe maggiori. E’ un po’ come sottoporre un malato terminale a un protocollo farmacologico sperimentale che ha più effetti collaterali che benefici: qualcuno se ne avvantaggerà, ma non certo il paziente né la scienza.
La terapia contro il rischio-infarto. In questi anni, ho dovuto tristemente constatare che il servizio sanitario nazionale, ed in particolare quello delle regioni meridionali, è fatto passare per un malato, affetto da diabete e da grave obesità per eccesso di stravizi degli anni precedenti e che necessita di un regime alimentare da fame, pur essendo appena sopra il peso forma. La terapia è stata sempre la stessa: risparmiare, tagliare, contenere gli sprechi, a volte con tagli lineari privi di una logica che tenesse contro dei bisogni di salute. Insomma cambiare per efficientare, perché in fondo l’efficienza è più importante della qualità, perché la politica sanitaria è diventata un’appendice di quella economica.
Ogni proposta di cambiamento sembra andare in questa direzione come la proposta del doppio canale che prevede due percorsi formativi tra i giovani che si prepareranno nelle scuole di specializzazione secondo l’attuale sistema di rete formativa, e quelli che saranno contrattualizzati negli ospedali come quarto livello del comparto sanitario. Spacciato come un sistema capace di incrementare l’occupazione giovanile tra i medici, in realtà ha come principale ed unico risultato quello di reperire forza lavoro a basso costo per sopperire al blocco del turn over e alla carenza di personale, con il risultato finale di aumentare il precariato e di dequalificare la preparazione professionale.
E’ vero, le coronarie del servizio sanitario nazionale sono malate. Il rischio di un infarto è sempre più alto: occorre portare il “paziente” in emodinamica per un’angioplastica di urgenza e scongiurare così una necrosi del cuore dell’art. 32 della Costituzione.
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