Aziende e regioni

Spending review, il primo step per realizzarla è puntare sulla prevenzione. Che fa bene “alle tasche pubbliche e alla salute”

di Ettore Jorio

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24 Esclusivo per Sanità24

Si parla tanto, senza tuttavia realizzarla, di spending review. Difficile giungere in porto con risparmi di spesa corrente. I tagli fanno male nei settori più strategici, diventa un serio problema effettuarli sul personale, presentano anche difficoltà persino nella elargizione delle prebende diffuse e dei benefit oltre ogni ragionevole misura. Altrettanto problematico si presenta ogni taglio nelle retribuzione dei manager pubblici, con i più bravi difficili a trovarsi perché attratti dalla offerta privata che necessita dei migliori. In sanità neanche a parlarne, con personale medico che non si trova, a causa di una programmazione universitaria e sociosanitaria fatta con i piedi per decenni. Un errore gravissimo che ha costretto il Paese a ricorrere agli stranieri, utili ad assicurare la presenza fisica nelle corsie ma spesso autori di incomprensioni di lingua e di strafalcioni prescrittivi causati dalla loro non dimestichezza con il prontuario farmaceutico nazionale, avanzato rispetto a quello in uso nel loro Paese di provenienza.
Quindi, gli elementi per pervenire a una consistente minore spesa con il massimo del risultato sono tutti da impiegarsi nel lungo periodo. Guai a pensare diversamente. Il primo è quello di individuare in una profonda riforma strutturale del Ssn, che prioritariamente sottragga alla sua organizzazione erogativa lo stato di incapacità attuale a rendere esigibili i Lea ovunque, dal 2017 comprensivi anche dei già Liveas. Il secondo, ma da perfezionarsi nella contestualità del primo, riguarda la scesa in campo del federalismo fiscale con i Lea da rivedere in progress, i costi e i fabbisogni standard compensativi per le Regioni più deboli funzionali a mandare a casa la spesa storica. Il terzo, ma da applicare da subito, è mettere in campo una spending review ’double face’, la spending review regina: la prevenzione. Uno strumento nel quale investire tanto, e non già il 5% dell’obsoleto Fondo sanitario nazionale, rappresentativo del più grande errore di ipotesi dell’assistenza alla Nazione.
Eh già, perché la prevenzione è la protagonista del film scritto sulla Costituzione con le penne dei De Gasperi, dei Togliatti, dei Pertini, dei Nenni e di quelli che rappresentarono i politici intellettuali che tirarono fuori il Paese dai danni alla persona che produsse il fascismo. Scrissero l’art. 32, tutto imperniato sulla «tutela della salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività». Un diritto allo star bene da garantire a tutti, dunque oltre il requisito della cittadinanza. Un diritto al suo recupero, in presenza di patologie, assicurato gratuitamente agli indigenti. A ben vedere, su tutto regna la profilassi e quindi la difesa dalle malattie. Di conseguenza, il ripristino delle condizione di salute, anche attraverso un attento intervento riabilitativo.
Prevenire a sistema significa pertanto tutto, sia in termini di salute consolidata della Nazione intera, al lordo della popolazione immigrata priva della cittadinanza, che in termini economici, fatti di impegni considerevoli nell’immediato e negli anni con un ritorno positivo oltre l’immaginabile.
Il prodotto economico-finanziario della prevenzione rappresenterà l’elemento di maggiore risparmio e di riqualificazione della spesa sociosanitaria, che andrà via via a comprimere quella determinata dalla cultura dominante ospedalocentrica. Una visione errata che ha causato una assistenza a imbuto, rappresentata dall’ospedale come indicazione e dirottamento di una medicina di famiglia, per molti versi impropria perché pronta a scrollarsi di dosso i problemi specie in prossimità dei fine settimana, e da un senso di fiducia dei cittadini a ricorrere ai pronto soccorsi sfiduciati da ogni genere di alternativa.
Tutto questo ha generato il corto circuito che, con una errata politica universitaria, ha finito per realizzare l’assenza di personale specifico utile alla spedalità, surrogatoria di quella territoriale trascurata ad ogni livello.
Un saldo negativo di servizio sociosanitario, evidenziato da chiunque e ovunque, cui necessita opporre una rivisitazione dell’assistenza alla persona, privilegiando il territorio dando un serio contenuto erogativo alle Case della salute, a tutt’oggi vittime della più totale incertezza sul piano erogativo. Basti pensare ai ritardi, ben rendicontati nel 6° Rapporto Gimbe, relativamente alle strutture alternative al ricovero regolate dal DM77/2022 e finanziate con risorse del Pnrr. Soltanto nr. 187/1.350 Case di comunità, molte della quali riciclate da altre tipologie strutturali; nr. 77/600 COT; nr. 76/400 Ospedali di Comunità.
Ebbene, investimento nella prevenzione significa pure offrire opportunità strategiche anche all’assistenza territoriale di partire come necessario, contribuendo anche negli ambiti generativi di salute, quali: la scuola, l’ambiente, l’alimentazione, l’assistenza sociale, alle tutele da garantire sul lavoro e alla educazione mentale dei giovani. Basti pensare al riguardo al peso che assume nella formazione intergenerazionale la nutrizione corretta, rappresentativa di un veicolo generatore di salute in termini di prevenzione a malattie altrimenti invasive nella società civile, del tipo l’obesità e il diabete.
Tradotta in economia pura, una siffatta attenzione all’investimento massivo sulla prevenzione e promozione della Salute andrà a generare ben oltre qualche miliardo di risparmio nella spesa destinata a cura, a riabilitazione e a previdenza non contributiva (pensioni di invalidità e assegni di accompagnamento).
Un tale genere di spending review è, dunque, l’unica forma a “fare bene alle tasche pubbliche e alla salute”, dando così ragione a una considerazione del compianto Bob Kennedy del 18 marzo 1968. Mettendo in correlazione il valore del Pil con le esigenze della Nazione, l’allora vincitore delle elezioni primarie in California e nel Dakota disse, con particolare riferimento al Welfare State: il Pil non misura ciò che rende la vita degna di essere vissuta.


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