Aziende e regioni

La sanità è un “bel gioco” per tanti ma è la reale tutela della salute che ancora manca all’appello

di Ettore Jorio

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24 Esclusivo per Sanità24

Nell’ultimo anno, con il confronto duro instauratosi sul tema della autonomia legislativa asimmetrica delle Regioni ordinarie, si moltiplicano i neo-sostenitori (!) di tre argomenti fondamentali per i diritti della persona: sanità, scuola e trasporti pubblici locali, limitandosi però a chiedere maggiori somme da vincolare ad hoc. Con questo, si urla quotidianamente la loro messa in pericolo a differenza di quanto si è fatto, invece (!), per rendere i diritti conseguenti ben esigibili nei decenni in cui tutti hanno governato. Invero, si trascura oggi di lottare altresì per i diritti afferenti all’assistenza sociale, che tuttavia in tanti non si sono addirittura accorti che è, dal 2001, materia residuale e che ha i suoi già Liveas entrati a fare parte dei Lea con il Dpcm 12 gennaio 2017.
Limitarsi a chiedere genericamente più risorse non è buona politica
A ben vedere, l’istanza politica generale è del tutto generica e ovvia: occorrono più quattrini trasferiti dallo Stato alle Regioni! Una sorta di scoperta dell’acqua calda, salvo che nessuno, tuttavia, pensi di riformare i sistemi, sino a renderli pronti ad affrontare il federalismo fiscale, ma soprattutto i Lep da erogare con il contributo della perequazione. Quell’introito di somme, non vincolate, cui il quarto comma dell’art. 119 attribuisce alle Regioni che hanno un gettito fiscale per abitante insufficiente ad assicurare la corretta erogazione dei Lep.
Questa è la fotografia di oggi. Con una tutela della salute alla disperazione assoluta, atteso che ovunque, con prevalenza del Mezzogiorno, è causa di sconforto sociale, di morti innocenti e di un inaccettabile esercizio di violenza privata da parte dei cittadini che subiscono la manomissione dei loro diritti assistenziali.
Insomma, così facendo si continua a esercitare una politica quasi allo stato ludico. Ove chi ha governato negli ultimi venti anni ha svolto il ruolo del croupier nella roulette più pericolosa al mondo, nella quale si gioca la salute e la vita delle persone, ove a perdere è stata la Nazione con il Sud in testa.
Il non fare nulla è stata la caratteristica del gioco che è divenuto un azzardo
E già. Con la sanità si è giocato tanto per oltre l’ultimo ventennio, con un saliscendi di esposizioni a pericoli vitali.
Basti pensare, oltre a tanto altro, le responsabilità trascurate riferite:
- a un Psn che non c’è più dal 2006, sostituito da un Patto della Salute governato dal peggiore organismo che abbiamo, la Conferenza Stato-Regioni, luogo di spartizioni di bottini di risorse gestito a danno delle Regioni più deboli;
-a un Piano anti-pandemico che non c’era mentre il Covid-19 invadeva il Paese e uccideva una parte consistente della Nazione;
-a un long-Covid rispetto al quale nessuno ha programmato i rimedi assistenziali, lasciando il deserto nell’assistenza territoriale con le case della comunità, gli ospedali della comunità e le Cot impresse solo sulla carta, peraltro scritta con tanta superficialità sul tema della medicina distrettuale;
-alla creazione di aziende dalla denominazione variopinta (soprattutto “Zero”) inventate dalle Regioni più creative e autolesioniste che hanno spaccato quel poco di coordinato assistenziale prodotte dalle aziende godenti di autonomia imprenditoriale, sottratta loro di prepotenza;
-alle Regioni lasciate libere di fare, nella sostanza, ciò che hanno voluto e vogliono, prova ne sono le “vergogne contabili” scoperte, nel corso del giudizio di parifica del rendiconto consolidato nella Regione Lazio, dall’attenta Sezione di controllo laziale (del 148/2023). Un atto di scienza e coscienza che ha messo in evidenza un artificio contabile per graziare erogatori privati da percezioni di extrabudget indebiti di circa un miliardo nell’ultimo triennio, con il verosimile sospetto di quanto sia stato reiterato in tal senso nelle annualità precedenti. Al riguardo, si attende l’esito dell’azione penale obbligatoria da parte dei titolari della Procura della Repubblica romana in relazione agli evidenti e reiterati falsi in bilancio dei manager delle annualità attenzionate delle Asl coinvolte nonché dei funzionari regionali e aslini incaricati di elaborare i bilanci consolidati, sia di ambito sanitario che regionale;
-alle Regioni in situazioni di piano di rientro - tra le quali c’era anche il Lazio che alla luce di quanto sopra non si comprende come possa essere stato de-commissariato – affidati ai Tavoli di verifica romani (Salute e Mef) delle quali, stante anche l’anzidetto risultato, non si riesce a comprendere l’utilità, stante la superficialità delle verifiche produttive negli anni di decisioni incomprensibili (su tutte vedi sopra) ma anche irragionevoli;
-a un sistema di commissariamento ad acta che ha fatto acqua da tutte le parti, affidato quasi sempre a tanti “commissari Basettoni”, spesso muniti di brillanti stellette ma che di gestione della sanità non capivano nulla.
L’omissione peggiore e un uso improprio del plurinominato art. 20
Ma tutto questo è solo una parte del gioco macabro, nel quale si è tenuta la sanità italiana. Nessuna riforma strutturale sul piatto. Nessuna riformulazione è stata individuata, proposta e resa operativa che desse ad essa, finalmente, la serietà erogativa che meritava. Si è mantenuta l’orrida spesa storica per la spesa corrente e si è passati da elargizioni fondate sulla base della trascorsa quota capitaria in conto capitale a quelle ex art. 20 della legge 68/88 concretizzati secondo volontà e ragioni politiche piuttosto che nell’esigenza di perequare le infrastrutture. Ciò ha determinato sviamenti clamorosi degli investimenti dall’interesse pubblico, atteso che in diverse regioni si sono finanziate edificazioni e arredi di Rsa date poi in locazione super convenienti per i locatari, a dispetto degli ignari Tavoli e dei costosissimi advisor dei quali non si comprende ancora l’utilità ma anche i compiti.
Si è arrivati alla reiterata inosservanza delle regole che l’ordinamento impone
È gravissima la disattenzione da venticinque anni (fatta eccezione una sola attenzione dimostrata dal Governo con il Dpcm del 31 gennaio 2013 ove si è riconosciuta l’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Salerno) a lasciare 29 aziende, erroneamente chiamate “policlinici”, inesistenti dal 1999, a esercitare come tali senza il possesso dei loro provvedimenti costitutivi (per l’appunto Dpcm) pretesi dall’ordinamento.
E ancora. Mantenere ovunque in esercizio presidi ospedalieri senza che gli stessi possedessero (e posseggano), a dispetto di quelli accreditati, i requisiti addirittura minimi per l’autorizzazione, per non parlare di quelli ulteriori dell’accreditamento, lasciati così senza tutela alcuna dagli eventi sismici.
Per non parlare, dell’attuazione mancata dei criteri agonistici recati dalla legge di concorrenza del 2021 (legge 118/2021), oggi in proroga, relativamente alla assegnazione degli accreditamenti e ai contrati dei privati accreditati, nel frattempo strumentalmente elusi da alcune Regioni pervenendo a procedure funzionali a superare gli obblighi delle procedure agonistiche rinnovando quelli esistenti nel più lungo periodo possibile, con l’unico obiettivo di favorire i clientes.
In definitiva, trascurando di approfondire tantissime regole del gioco e tanti trucchi da baro cui si affidano le sorti della sanità, è appena il caso di sottolineare le assolute convenienze di questo non sistema. Un tale “disordine” ha reso appetitoso e conveniente, ad alcuni importanti esponenti della politica del passato finanche già ministri, assumere ruoli di management nelle grandi imprese private esercenti nella sanità accreditata con budget di diverse centinaia di milioni.
Occorre che il Governo rinsavisca nel disporre le riforme occorrenti, garanti di minori sprechi e di una buona salute per la Nazione intera, senza distinzione alcuna, a cominciare con la prevenzione della bronchiolite, della brucellosi, della tbc bovina e della peste suina. Altrimenti, è davvero la fine.


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