Aziende e regioni
Liste d’attesa, nel “pacchetto Schillaci” un “déjà vu” che non induce all’ottimismo
di Claudio Testuzza
24 Esclusivo per Sanità24
Il previsto decreto per la soluzione delle liste d’attesa ha avuto un marcato ridimensionamento essendo stato modificato in due disposizioni: una per aspetti ritenuti più urgenti, il decreto legge vero e proprio, e un disegno di legge di più largo respiro che avrà bisogno di un iter parlamentare. Nell’ambito del decreto una novità importante è rappresentata da una modifica fiscale che dovrebbe aiutare la produttività del personale sanitario a favorire lo smaltimento delle liste d’attesa. Si tratta della flat tax al 15% sugli straordinari svolti al fine di un più attivo fronte delle attività ambulatoriali.
Il provvedimento scatterà subito per i criteri di “necessità e urgenza”, però le coperture partiranno soltanto dal 2025. È quanto si legge nell’articolo 7 aggiunto nel testo finale del decreto, che appunto introduce l’imposta piatta sostitutiva a fronte dell’attuale imposta prevista al 43% per i redditi superiori ai 50. 000 euro annui che raggiunge e supera il 45% se si considerano le addizionali comunali e regionali. Le cifre autorizzate dal Mef per i medici, sono 175,4 milioni per il 2025, 116,7 milioni per il 2026 e 116,3 mln per il 2027; e per gli infermieri e altro personale del comparto, l’autorizzazione di spesa è pari a 22,7 mln per il prossimo anno, a 15,4 mln per il 2026 e a 15,4 mln per il 2027. Nel complesso, 462 milioni in un triennio. Un evidente vantaggio per i sanitari interessati a queste attività, ma di cui resteranno privi di effetto alcune specialità quale gli anestesisti-rianimatori, gli addetti alle direzioni sanitarie, e alcuni servizi predisposti solamente al ricovero. Rileviamo che compensi a fisco ridotto, peraltro giustamente, non si considerano concorrenti all’imponibile per l’esonero sulla quota dei contributi previdenziali.
Altre disposizioni sono rappresentate dall’istituzione di una piattaforma nazionale per liste attesa presso Agenas, l’agenzia delle Regioni, che serve ad avere i dati regionali e dal Singla, il Sistema nazionale di governo delle liste di attesa, della cui validità sarà il tempo a dirne la validità.
Tutto il resto è solamente un “déjà vu” con cui si riempiono gli articoli del decreto ma che non annoverano nessuna sostanziale novità.
Nel Dl si chiede la realizzazione dei Cup, centri di prenotazioni, regionali e infraregionali, dove siano visibili anche le agende del privato convenzionato.
I Cup regionali erano già stati previsti nel 2016, ai sensi dell’art. 54 comma 4, lett. b) del D.Lgs. n. 50/2016, successivamente nel 2018, quando vennero anche stanziati 400 milioni di euro e elencate le modalità di prenotazione.
Le Regioni per avere l’ultima tranche di finanziamento, a ottobre 2021, dovevano tra l’altro dimostrare di avere a Cup tutte le agende del pubblico e del privato. Ma ancora tutto è in alto mare e la stessa regione Lombardia, la più incisiva nella loro attuazione ha prodotto un bando nel 2023 e spera di poterlo realizzare nel 2025.
Viene evidenziata l’importanza della procedura per disdire le prenotazioni, almeno entro due giorni dall’appuntamento. E chi non si presenta, ha ribadito Giorgia Meloni, paga. Divieto anche di agende chiuse. Si tratta di misure già indicate nelle linee guida nazionali del sistema Cup, che risalgono al lontano 2009.
Poi, se i tempi sono lunghi, si afferma che si debbano garantire al cittadino la prestazione ricorrendo alla libera professione intramoenia o ai privati accreditati.
Sarebbe la novità più importante, ma ha un problema: non prevede risorse economiche e quindi non è chiaro come le Regioni dovranno pagare l’attività in più. Schillaci ha detto che ci sono ancora soldi non spesi tra i 500 milioni l’anno messi dal governo nel 2022 e 2023 per le liste di attesa e confermati dalla ultima manovra. In verità l’unico stanziamento attuale è indirizzato all’aumento del tetto dei privati accreditati. Privati che a detta, dell’Area studi di Mediobanca, hanno visto aumentare del 5, 5per cento i ricavi ma solo dell’1,7 per cento la spesa accreditata (i pagamenti statali per gli istituti convenzionati) con la differenza, ovviamente, a carico dei cittadini.
Le visite diagnostiche e specialistiche, dice il dl, si faranno anche sabato e domenica.
Anche per queste attività, già previste da anni e anni da varie Regioni, come Veneto, Emilia, Campania, Lombardia non c’è copertura per cui bisognerà trovare fondi fra le cifre dei bilanci degli anni passati ancora non spese.
Che, poi, il medico non debba lavorare più in intramoenia rispetto l’attività svolta per servizio era un assioma introdotto dall’allora ministro della sanità Bindi quando fu introdotta tale condizione.
In particolare, l’abolizione dal 2025 del tetto sul personale coinciderà con la piena applicazione delle nuove regole sulla valutazione puntuale del fabbisogno di personale. Si dà mandato, ancora una volta dopo tanti anni di reiterati appelli, al direttore generale dell’azienda di verificare che i tempi siano rispettati. Ma siccome si è dubbiosi che questo ulteriore appello abbia i suoi frutti, viene creato un sistema di monitoraggio con un organismo di verifica e controllo che dipende dal ministero della Salute.
Basteranno queste iniziative, e le loro riproposizioni, a garantire ai cittadini una sanità forte dell’universalità, solidarietà e uniformità delle cure?
Ce lo auguriamo, ma restiamo pessimisti.
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