Aziende e regioni
Perché alla sanità italiana serve un “buon padre di famiglia” e non una politica che lancia la palla in tribuna
di Ettore Jorio
24 Esclusivo per Sanità24
Un “buon padre di famiglia” al Governo. Andrebbero meglio tante cose. La sua tradizionale saggezza nell’amministrare il salario di famiglia aiuterebbe l’Esecutivo in ciò che dovrebbe essere e non è. Sul suo quadernetto: tanto per la pigione oppure per il rateo del mutuo, tanto per i libri dei figli, tanto per l’abbigliamento e le scarpe indispensabili per gli stessi stando bene attenta a passare quelli dei più grandi ai più piccoli, tanto per la rata dell’utilitaria ovvero per l’elettrodomestico rinnovato. Tanto per le cure dentarie dei figli rinunciando a quella propria. Quanto rimaneva - se rimaneva - destinato alla pizza ogni tanto.
Basta poco, un po’ di economia domestica
Quanto sarebbe bello avere un “buon padre di famiglia”, attento come i nonni di un tempo, a guidare il Paese con la loro saggezza con la supposizione che fare debito è peccato. E ancora. Non pagarlo (ripianarlo) è sacrilegio, perché ricadente sui nipotini e i loro figli, peraltro in decrescita numerica perenne.
È quanto sta accadendo con l’attuale Governo, con quattrini in meno degli altri. Ma non è che con quelli di prima (tutti) andasse meglio, tutt’altro. Due ci hanno provato meglio degli altri: quello presieduto da Giuliano Amato nel 1992/1993 e quello che vedeva premier Mario Monti nel 2011-2013, gli unici che hanno lavorato per il ripiano del debito pubblico con provvedimenti legislativi. Gli ultimi quattro, il peggio, con Giuseppe Conte maglia nera, per aver fatto l’esatto contrario del “buon padre di famiglia”, indebitando di oltre cento miliardi la Nazione per dare “paghette” settimanali esagerate ai figli, per comprare “profumi” per sé e balocchi a quintali (superbonus) per non fare piangere i bambini. Comportandosi così, ha fatto crescere tutti con l’aspettativa di un assistenzialismo strutturato, spesso ingresso per una vita non dignitosa e borderline.
Un poker di Governi a perdere la partita di tutti i tempi
È quanto accaduto e quanto sta accadendo ancora. Il salario governativo (il prodotto del suo sistema impositivo incrementato dalla valanga di soldi Ue con il Pnrr in testa) non solo è buttato via per aspettative elettorali ma investito per cose inutili. Così come farebbe il “buon padre di famiglia” se acquistasse un abito alta sartoria per andare a giocare a carte al bar con gli amici.
Un Pnrr costruito su programmi degli anni ’90, arricchito di interventi manutentivi delle solite cose del solito sistema autonomistico incapace a programmare e a spendere, con un sanità che ha assorbito meno del 50% di quanto le serviva per rinnovare il proprio patrimonio produttivo. Ciò in quanto “ricca” com’è di strutture ospedaliere vecchie di secoli, prive dei requisiti minimi per l’autorizzazione all’esercizio e di quelli ulteriori per accreditamento, e a rischio sismico elevato nonché attrezzata delle strutture territoriali nientemeno risalenti alle vecchie casse mutue. Per non parlare dei distretti sanitari realizzati in una ipotesi errata rispetto alla loro ideazione del 1978 (legge 833): prevalentemente generati con edificazioni inutili, scomposte, site secondo esigenze clientelari e propense esclusivamente a divenire documentifici. A tutto ciò aggiungasi la medicina di famiglia che, siccome produttiva di consenso à gogo, si è resa beneficiaria di agevolazioni retributive, di “condoni” sui disservizi assicurati all’utenza e di perdoni sulla inefficienza concretizzati ad ogni minaccia di scioperi.
Si pensa a dare speranza, forse con tanto cinismo tipico della politica
Ebbene a fronte di tutto ciò, troviamo un Governo tutto che lancia la palla in tribuna e promette il mondo. Insomma, fa politica: a) su un Ponte sullo Stretto che indebiterà enormemente, in termini di sottrazione di miliardi dal Fondo per lo Sviluppo e la Coesione, la Calabria e Sicilia; b) su una sanità che diverrà esempio di (in)efficienza nel mondo.
Insomma, riguardo a quest’ultima, per come funzionerà bene (Meloni, Fitto e Schillaci assicurano!) sarà due volte Natale e festa tutto l’anno.
Non più liste di attesa, che al massimo diverranno di durata inferiore a quelle aeroportuali. Case e ospedali di comunità ovunque (anche se è a tutt’oggi ignara la loro ubicazione certa), medici che usciranno dalle uova di Pasqua, indispensabili per riparare gli errori marchiani di programmazione universitaria, medicina di territorio sotto casa e ben distribuita tra i monti, telemedicina che porterà l’assistenza digitale in casa e un’assistenza domiciliare che, programmata a zero personale pubblico, sarà accaparrata dai soliti attrattori di budget, già divenuti collezionisti di accreditamenti ad hoc, rilasciati a “mano libera”. E tanto tanto altro: palla (e palle) avanti prescindendo dal costruire il gioco (il Ssn).
Il principe de Curtis, in arte Totò, al riguardo, vivendo gli attuali disagi della sanità che non c’è, avrebbe certamente urlato contro le attuali promesse da marinaio il suo sempre attuale “non diciamo sciocchezze”. A meno che il “buon padre di famiglia” - che però non c’è - assuma gli stessi poteri di chi ebbe la capacità di moltiplicare i pani e i pesci. Un po’ come sta tentando di fare, molto ingenuamente, il ministro Fitto con giochi di prestigio (di promettere a tante Regioni gli stessi soldi per la sicurezza degli ospedali) attraverso provvedimenti pensati così male da finire nel cestino (con tanto tempo perso) a cura della Corte costituzionale.
È altro il “da farsi”
Il “buon padre di famiglia” si sarebbe alzato le maniche per affrontare le cose seriamente nell’impegno della spesa. Certamente avrebbe fatto a meno di sottrarre 1,2 miliardi da investire sulla edilizia sanitaria che, per esempio, nelle regioni del Sud è rappresentata da manufatti fatiscenti risalenti anche a Vittorio Emanuele II, destinati a crollare al primo sisma di usuale intensità nella piattaforma meridionale. Lo stesso cui dovrà fare i conti il Ponte sullo Stretto che congiunge due Città distrutte dal terremoto, forza 7.2, nel 1908. Un precedente del quale però nessuno parla (neppure i siciliani e i calabresi con antenati falcidiati dai crolli).
Concludendo
In un periodo afflitto da un debito pubblico da ripianare e ricco di oltre 200 miliardi europei, dei quali 70 a fondo perduto, da potere destinare a investimenti infrastrutturali si registrano:
- una politica governativa che mette sotto il tappeto l’indebitamento, non sa correggere la programmazione errata del Pnrr dei precedenti esecutivi Conte, ma anche Draghi. Non solo. Non ama costruire ma dare per realizzato l’immaginario che paga nei confronti di una Nazione che da secoli si illude, salvo morire a causa delle liste di attesa e di una assistenza praticata da medici (cubani, argentino e panamensi) che neppure comprendono l’italiano, figuriamoci i dialetti sui quali costruire l’anamnesi indispensabile per le corrette diagnosi;
-una politica di opposizione che dimentica di auspicare ai buoni vizi del “buon padre di famiglia” e di stimolare la programmazione secondo scienza e conoscenza. Ciò in quanto le basta fare opposizione a quanto divenuto legge per suo merito;
- iniziative e ricerche tecniche, sia di appartenenza pubblica che privata, brave solo nel rendicontare i disastri causati sino ad oggi. Con questo, non propongono alcunché, privilegiando l’esercizio simile a quello di Cassandra. Ciò anche in tema di federalismo fiscale (che ricordiamolo è il criterio metodologico del 2001 che manderebbe a casa la spesa storica) da questi sempre confuso con il regionalismo rafforzato, del quale in troppi si occupano senza però avere studiato bene gli strumenti legislativi (tanti) che sono coinvolti sul tema.
La sanità, dunque, come focus degli investimenti pubblici. Punto e basta. Non chiacchiere, palle lanciate in avanti senza costruire gioco e invenzioni elettorali pericolose per gli effetti catastrofici che ne potrebbero derivare alle persone dal cambiamento del clima, con a rimorchio altre pandemie (si legga Bartoloni in IlSole-24Ore del 5 aprile scorso).
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