Aziende e regioni

Il «caso» edilizia sanitaria paradigmatico di un Governo che al Ssn (malgrado i proclami) non concede né risorse né innovazione nelle infrastrutture

di Ettore Jorio

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24 Esclusivo per Sanità24

Non ci siamo affatto. Ma per nulla. Tutti decidono (male), rivendicano (peggio) e criticano, senza tenere conto che il tema del finanziamento pubblico sta cambiando. A proposito, sembra di essere su ’scherzi a parte’, tenuto conto che è stato rimesso in moto il federalismo fiscale. Quella metodologia che prevede, oltre alla sostituzione della spesa storica con costi e fabbisogni standard, il più importante degli strumenti solidali: il fondo di perequazione per le Regioni. Uno strumento che è garante dell’esercizio ovunque della corretta erogazione della tutela della salute. Ma non finisce qui. Ciò in quanto esistono le risorse aggiuntive (comma 5 dell’art. 119) destinate alla rimozione degli squilibri sociali e a favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona. Al riguardo, una domanda che sorge spontanea: esistono diritti della persona più importanti della tutela della sua salute? È davvero difficile pensarlo, ma anche immaginarlo.
Quindi, oltre alla perequazione ordinaria destinata a rendere uguali nell’esigibilità dei Lea, necessita quella infrastrutturale che è utile a mettere le regioni povere in condizioni di partire con la qualità e quantità di ospedali & Co. pressoché vicine a quelle ricche, altrimenti a voglia di bloccare l’emigrazione produttiva di mobilità passiva che uccide i bilanci già deboli per suo conto.
A voglia di rendere giustizia alle persone nel renderle percettori dei diritti sociali in prossimità della loro residenza! Non facendo ciò - e pare che la stessa cosa si stia facendo con le case e gli ospedali di comunità che appaiono essere più simili alle solite chiacchiere di sempre - le persone continueranno a morire nel sud con la speranza di trovare un approdo salvavita nel nord del Paese.
Per fare la spesa occorrono i soldi . E proprio di quattrini destinati alla sanità pare che il Governo non abbia voglia e capacità di sganciarne.Ne avevo già scritto il 16 marzo scorso della “rapina” di 1,2/1,5 miliardi sottratti dal Piano nazionale complementare, con la promessa di soddisfare le pretese attraverso quel vecchio e obsoleto meccanismo dettato dall’art 20 della legge 67/88, uno strumento antiquariale non affatto idoneo a soddisfare il fabbisogno emergente, utile da sempre alla politica per spartire quattrini con i suoi soliti metodi clientelari piuttosto che colmare le reali deficienze assistenziali.
Al riguardo due eventi dall’effetto devastante: un incontro Governo-Regioni andato oltre il peggio, con un ministro che esercita prepotenze, a danno dei cittadini con un fare che va ben oltre l’arroganza, e un altro inascoltato, all’esito del quale si è ufficializzato quanto sopra; una memoria della Corte dei Conti che dice tanto e bene sulla trascuratezza della sanità e sui pericoli di mantenerla tale. La Corte dei conti rileva l’impropria procedura decisa dal Governo con il D.L. 2 marzo 2024 n. 19, recante “Ulteriori disposizioni urgenti per l’attuazione del Piano nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr)”. Nell’occasione sottolinea che la opzione politica dell’Esecutivo sia la solita, quella di lanciare la palla avanti per evitare il tackle dal quale uscire invece vincenti. Ciò nel senso di assicurare una sostanziale crescita della condizione dell’offerta di salute oramai a livelli minimali, anzi al di sotto dell’accettabilità. Si tolgono i quattrini per 1,45 miliardi (al lordo delle risorse destinate alla Campania e alle Province Autonome di Trento e Bolzano) per prometterli, attraverso il rimpinguamento del solito fondo dell’edilizia sanitaria di cui all’art. 20 della legge 11 marzo 1077 n. 67. Quello si tira sempre fuori per fare sperare che le cose vengano fatte. La salute e la speranza mal si conciliano, se non con remissione alle religioni che tuttavia hanno poco a che fare con la doverosa programmazione. Quella fatta così male che a tutt’oggi fa scrivere al Giudice contabile che “al 31 dicembre 2023 le risorse non ancora utilizzate attribuite all’articolo 20 sono pari a 9,9 miliardi e che esse sono state ripartite tra le regioni, il loro utilizzo effettivo è subordinato alla indicazione in bilancio di importi spendibili compatibilmente con gli obiettivi di finanza pubblica”.
Tutto questo non solo allontana il ragionamento dal federalismo fiscale, ma si capisce che sono in pochi a comprenderlo come si deve. Con esso si tifa per la permanenza della spesa storica e per le diseguaglianze dettate da un riparto eseguito esclusivamente con ragioni e convenienze politiche piuttosto che di soddisfacimento del fabbisogno sociosanitario reale. Ma la cosa che è più grave si dimentica che per partire uguali con i costi e fabbisogni standard necessitano due cose: la costituzione del fondo di perequazione di cui al comma 3 dell’art. 119 della Costituzione, per finanziare i Lea, e la previsione della perequazione infrastrutturale, eseguita con i fondi di cui al comma 5 dell’art. 119, rispettivamente disciplinati dal d.lgs. 68/2011 e dal d lgs. 88/2011, quest’ultimo assistito dal Dm del 26 novembre 2010, nascosto nei cassetti ministeriali.
Il risultato dell’incontro Governo-Regioni è davvero un autentico esempio di come la politica si preoccupi degli spot (il Ponte sullo Stretto in primis) e poco, molto poco, dei diritti fondamentali e della vita della Nazione, alla quale l’Esecutivo fa tante e continue, ma inutili, dichiarazioni d’amore.


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