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Toscana: in crescita depressione e disturbi alimentari, a rischio anche le donne in gravidanza e i giovanissimi

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Depressione, ansia, disturbi dell’alimentazione (DA) come bulimia e anoressia nervosa, binge eating: anche in Toscana crescono i disturbi affettivi, in prevalenza fra la popolazione femminile. A rischio le donne in gravidanza e i giovanissimi, ragazzi compresi, esposti fin dall’età puberale a manifestare alterazioni delle abitudini nutrizionali. Un recente studio epidemiologico condotto proprio in Regione, posiziona il disturbo depressivo maggiore (17,0%) e il disturbo di panico (10,3%) fra le malattie psichiatriche più rappresentate nel corso della vita, con una prevalenza di genere, a svantaggio delle donne e una stima prospettica di casi in gravidanza fra 10 e 15%. Un “indotto” enorme con importanti ripercussioni per la donna, i nascituri e il sistema salute. Non va meglio per i disturbi dell’alimentazione, spie di problemi clinici e psico-emotivi importanti: da un aumentato rischio cardiovascolare ai (tentati) suicidi, fortunatamente ridotti in toscana a meno del 2% su una totalità di oltre 1.200 pazienti con disturbi alimentari, secondo un recente studio condotto dal centro di riferimento regionale per l’intera area metropolitana di Firenze. Sono alcune delle tematiche trattate nel corso dell’evento congiunto “I disturbi affettivi nell’era dell’imprevedibilità”, organizzato dalla Fondazione Onda (Osservatorio nazionale sulla salute della donna e di genere) e dalla Società Italiana di Neuropsicofarmacologia (Sinpf) con il contributo educazione e non condizionante di Viatris. Tra i temi affrontati anche la depressione e le comorbidità nelle donne e i riflessi lavorativi e socioeconomici che ne sono diretta conseguenza, i disturbi di personalità, i fenotipi femminili di disturbi dello spettro autistico e altre patologie di genere, con spunti oltre la medicina, come la lettura sulla rappresentazione dei disturbi affettivi della donna nel cinema che i cittadini toscani ricorderanno nel celebre film “La pazza gioia” di Paolo Virzì.
“Anche in Toscana – afferma Francesca Merzagora, presidente di Fondazione Onda – sono le donne le più colpite dai disturbi affettivi, in particolare in una fase della vita, quella legata alla gravidanza, che può provocare conseguenze anche sul nascituro. Fondazione Onda da anni è impegnata su questi temi, la pubblicazione in collaborazione con le principali società scientifiche di questo ambito, delle recenti Raccomandazioni nazionali per la presa in carico dei pazienti con depressione, declinate poi a livello regionale, per ora in Lombardia e Lazio, ne sono la testimonianza. In questo periodo storico di grande instabilità, è fondamentale accendere i fari sulla salute mentale delle donne italiane e toscane anche con campagne di comunicazione rivolte alla popolazione.” “I disturbi affettivi sono una delle principali cause di quella che noi chiamiamo ‘sindemia’ – prosegue Claudio Mencacci, co-presidente della Sinpf e direttore emerito di psichiatria al Fatebenefratelli di Milano –. Una sorta di mix tra gli effetti ‘fisici’ della pandemia e ciò che essa ha provocato, tra cui altre patologie, sanitarie ed emozionali, con un forte impatto di natura sociale, ambientale, relazionale, acuite oggi dall’incertezza dominata da uno scenario internazionale di guerra molto vicino a noi e che ha toccato la nostra quotidianità”.
“La gravidanza è spesso considerata uno dei periodi più emozionanti e pieni di gioia nella vita – commenta Andrea Fagiolini, responsabile del Dipartimento di Psichiatria, AOU Senese e professore ordinario del Dipartimento di Medicina Molecolare e dello Sviluppo si Siena – ma per alcune donne può invece essere un periodo di sfide emotive e psicologiche o di cambiamenti biologici, associati anche a eventuali malattie come la depressione che, in gravidanza, ha impatti negativi sulla salute materna e infantile. Tra queste complicazioni durante il parto o di disturbi emotivi post partum. È fondamentale che tutte le donne sappiano che la depressione è una malattia, non una scelta, e si sentano libere di esprimere le proprie emozioni senza timore di giudizio, accedendo a una presa in caso e a trattamenti tempestivi. L’obiettivo della nostra iniziativa è promuovere il maggiore sostegno possibile per le donne che affrontano la depressione durante la gravidanza e allo stesso tempo educare i professionisti della salute, inclusi gli operatori sanitari e gli ostetrici, a garantire l’identificazione e l’avvio precoce all’adeguato trattamento. La depressione in gravidanza, infatti, può essere influenzata da diversi fattori di rischio, tra cui la storia di depressione preesistente, situazioni di stress, problemi di salute fisica, mancanza di supporto sociale e altri fattori individuali”.
“I Disturbi dell’Alimentazione (DA) – dichiara Valdo Ricca, professore ordinario di psichiatria all’Università di Firenze – costituiscono un gruppo di sindromi psichiatriche caratterizzate da alcuni sintomi e indicatori specifici quali una persistente alterazione del comportamento alimentare e delle condotte connesse al cibo che portano alla ricerca costante della perdita di peso. Comportamenti che hanno forte ripercussione anche sull’autostima della paziente e che richiamano alla stretta relazione con problemi di carattere psichico. Spesso infatti correlano a disturbi dell’umore o a un disturbo ossessivo-compulsivo, come anche ad altre patologie internistiche. Complessivamente, dunque, i DA sono patologie gravi, con rischio di morte e disabilità particolarmente significativi che registrano una crescita sia nella popolazione adolescenziale e giovane adulta, come anche in età prepubere e nei soggetti di età superiore ai 50 anni. Il trattamento, in funzione delle diverse implicazioni, è complesso, lungo, e necessariamente multidisciplinare”.
“I disturbi di personalità – dichiara Stefano Pallanti, direttore dell’Istituto di Neuroscienze dell’Università di Firenze – caratterizzano uno stile di funzionamento sociale presente sin dall’adolescenza, i cui comportamenti, che sono costanti nel tempo, si discostano nettamente dalle aspettative della cultura dell'individuo, rendendo difficile l’adattamento e procurando difficoltà anche all’ambiente circostante. Le maggiori differenze tra i due generi riguardano i disturbi di personalità antisociali, ovvero lo scarso rispetto delle regole, che possono condurre anche a compiere crimini. Questi sono maggior appannaggio dell’uomo (5%), in cui vi è tendenza soprattutto alla ricerca di eccitazione, rispetto alla donna (1%), in cui prevalgono invece depressione, vulnerabilità all’ansia e allo stress”. Nei pazienti con disturbo borderline di personalità (BPD), le differenze di genere sono poco studiate sebbene potrebbero essere utili per definire i trattamenti (farmacologico e non) più appropriati. “Nei maschi vi è maggior frequenza di ricoveri involontari e un maggiore abuso di alcol e sostanze illecite rispetto alle donne – prosegue il prof. Pallanti –. Al contrario, le donne con BPD tendono di più all’abuso di farmaci, inclusi antidolorifici, ed il disturbo più frequentemente si associa anche a disturbi della condotta alimentare. In generale Un approccio integrato che consideri anche fattori biologici e socioculturali è fondamentale per un trattamento più efficace”.
Tra i temi trattai al convegno vi è anche la rappresentazione dei disturbi affettivi della donna nel cinema che i cittadini toscani ricorderanno nel celebre film “La pazza gioia” di Paolo Virzì, un esempio significativo di come il cinema può svolgere un ruolo cruciale nella rappresentazione dei disturbi mentali.
“La rappresentazione cinematografica di personaggi che soffrono di disturbi psichiatrici – spiega Matteo Balestrieri, professore di psichiatria all’Università di Udine e Co-presidente Sinpf – ha l'importante funzione di portare alla luce questioni spesso nascoste o malintese dal grande pubblico. Attraverso il racconto delle vite di queste donne, il film permette agli spettatori di entrare in contatto con le sfumature e la complessità dei disturbi mentali, offrendo uno sguardo empatico e profondo che va oltre i pregiudizi e gli stereotipi. La narrazione di storie personali, con i loro alti e bassi, può aiutare a costruire un ponte di comprensione tra chi soffre di disturbi psichiatrici e chi non ha esperienza diretta di queste condizioni. Un'accurata rappresentazione cinematografica può servire da contrappeso alle narrazioni sensazionalistiche o stigmatizzanti che troppo spesso emergono in altri media. Il cinema – conclude il prof. Balestrieri – può quindi svolgere un ruolo educativo e di sensibilizzazione, promuovendo una maggiore accettazione e un supporto più efficace per coloro che vivono con disturbi psichiatrici”.


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