Aziende e regioni
Lea e Leps "separati in casa": gli effetti nefasti di un legislatore la cui mano sinistra non sa cosa faccia la destra. La lezione del Clep sul welfare assistenziale
di Ettore Jorio
24 Esclusivo per Sanità24
Quando si dice che il difetto del legislatore è quello di non sapere cosa faccia la sinistra quando scrive con la mano destra e viceversa, si afferma una verità (quasi) assoluta. Tutto questo impedisce una regolazione organica delle materie, anche di quelle fondamentali per la vita della persona. È il caso della tutela della salute, nei confronti della quale il legislatore si è approcciato solitamente allo scopo di guadagnare una estemporanea bella figura, salvo non rendersi conto che stesse peggiorando strutturalmente le condizioni erogative.
Rispetto dunque a una legge che brillava di luce propria, la riforma del 1978 istitutiva del Ssn, ha cominciato a cedere le armi supponendo che con l’aziendalismo del 1992 avrebbe risolto tutto. Ha piuttosto peggiorato le condizioni dell’universalità, dell’uguaglianza, della uniformità e della socialità dell’assistenza.
Le conseguenze della movida legislativa
Azienda, in quanto tale correttamente munita di autonomia imprenditoriale (1999), che in linea al suo essere preposta al delicato compito della salute della collettività ha conseguito esiti diversi sulla base di: "in quale regione operasse"; "in quale area della regione specificatamente"; "quali manager si avvalesse"; "quanti debiti avesse accumulato il sistema della salute regionale e la azienda medesima nel particolare", "quale patrimonio strutturale godesse", "come fossero stati abili i decisori regionali cessati e quelli che in avvicendamento al governo della Regione non fossero così malvagi da fare un uso politico della organizzazione sanitaria", "che peso dessero alle tecnologie", "che valore attribuissero alla formazione del personale" e quant’altro.
La politica della norma "a piacere" è il dramma dell’ordinamento
Ritornando alla regolazione, è stata da 22 anni trascurata, meglio omessa. Nessuno è riuscito dal 2001 a intervenire con la definizione esaustiva dei quelli livelli essenziali di assistenza sociosanitaria. Di tutto questo nessun esame, ogni Regione lasciata a se stessa e male accompagnata da attività consulenziale di suggerimento istituzionale. Il tutto con un coordinamento di fatto scaricato a valle, meglio de-istituzionalizzato in quanto riassunto in capo all’Agenas, che ha prodotto una profonda deregulation divenendo egemone piuttosto che essere cancellata dall’ordinamento così come molte volte ventilato in occasione delle già leggi finanziarie. Una idea che appariva ragionevole messa da parte per un sedicente interesse generale della salute pubblica.
Ma si sa, per fare riforme strutturale ci vogliono tre cose: idee chiare, coraggio politico e essere scevro da interessi. Requisiti non sempre rintracciabili.
La relazione finale del Clep
Una bella lezione di come si debba massimamente qualificare il welfare assistenziale ci perviene dalla relazione depositata dal Clep a fine ottobre. Più esattamente, dal Capitolo II del documento finale redatto il 23 ottobre scorso dal titolo afferente a «LA MATERIA “SALUTE” IN SENSO STRETTO», assegnata al Sottogruppo n. 5, le cui conclusioni hanno di fatto integrato quelle rappresentate nella relazione del 2 agosto scorso, redatte dalla dal Sottogruppo nr. 5 l’antecedente 19 luglio.
Il Clep ha ivi ribadito i propri convincimenti sulla definizione dei Lea, sostanzialmente confermando quelli ridefiniti da ultimo con il Dpcm 12 gennaio 2017, non sottacendo tuttavia lo stato di confusione e di difficoltà che ha ossessionato la materia specifica dal 2001 ad oggi. Dalla sua iniziale individuazione dei Lea, pensata (ahinoi) a mo' di prontuario terapeutico, delle prestazioni riguardanti esclusivamente la sanità - lasciando da parte per sedici anni i cd. Liveas, inerenti alla assistenza sociale – si è passati al loro insediamento nei Lea nelle 71 pagine di cui si compore l’anzidetto Dpcm del 12 gennaio 2017.
Puro masochismo legislativo
Non solo. Si è arrivati oggi a trovare una ulteriore invenzione legislativa che ha messo in crisi la circoscrizione dei livelli essenziali di assistenza sociosanitaria.
Lo ha fatto con due leggi:
- la prima che è la n. 208/2015 che istituisce una Commissione presso il ministero della Salute, quale unico organo normativamente deputato a proporre modifiche dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di assistenza socio-sanitaria. Proporlo a chi, è facile dirlo dal momento che legittimato a deciderlo è il Governo con Dpcm, in barba a tutte le contrapposizioni sulla efficacia di un siffatto genere di provvedimento ad essere considerato strumento di legislazione esclusiva dello Stato. E ancora. Una tale regolazione sottrae di diritto la competenza del Clep a «proporre riduzioni dei Livelli delle prestazioni indicate da tale Commissione né a "semplificarne" la definizione, individuando a monte di essi altri Lep di natura più generale (o "Superlep") o distinguendo tra Lep primari e secondari»;
- la seconda che è la nr. 33/2023 con la quale il Parlamento, che ovviamente era a conoscenza delle competenze della Cabina di regia che ha poi istituito il Clep, ha delegato il Governo a individuare i Leps, ovverosia i diritti delle persone anziane rilevanti in materia sanitaria, da declinarsi con appositi decreti delegati. In buona sostanza, anch’essi dei Lea, però trattati da quella mano sinistra del legislatore che non sa mai cosa faccia la mano destra.
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