Aziende e regioni

Le Aziende Zero mostrano il fianco: ripartire dal "caso Piemonte" per rivedere ruoli e funzioni. Salvando i Lea

di Ettore Jorio

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24 Esclusivo per Sanità24

Le Aziende Zero stanno finalmente assumendo il valore che è pari alla loro denominazione numerica. Invenzioni tirate fuori dal cilindro di chi si è reso da decenni responsabile del declino di percezioni dei livelli essenziali di assistenza. Una idea balorda, assunta attraverso la megalomane idea di portare il sistema delle holding nella sanità che farà tanto male, più di quanto ne abbia fatto l’aziendalismo, alla esigibilità del diritto alla tutela della salute.
Gli organi preposti ai controlli, sino a oggi rivolti altrove, a cominciare dalla Corte dei conti, hanno cominciato ad alzare il dito di "presente" ma anche a stigmatizzare l’inadeguatezza delle previsioni, fatta per mera imitazione masochistica, da cinque Regioni. Ciò in quanto, ferma al palo, produttiva di costi manageriali, sprovvista di personale utile, pieno di funzionari in comando ovvero convenzionati messi lì. Ebbene, l’Anac ha messo tutte queste cose per iscritto eccependole all’Azienda Zero del Piemonte introdotta nell’ordinamento regionale sabaudo nel 2007. Per fare cosa, ancora non è dato di capirlo.
Ma se il Piemonte sul tema piange, le altre Regioni non ridono. Tutt’altro.
L’introduzione delle Aziende Zero nei sistemi regionali sociosanitari ha generato un clima di grande confusione produttivo di un forte peggioramento delle performance dei management aziendali. Ha posto infatti tantissimi interrogativi, tra questi: quale sia il loro compito specifico da esercitare nel concreto; che tipo di rapporto debbano mantenere con la burocrazia regionale salutare e come con le aziende della salute, siano esse territoriali che ospedaliere/universitarie; come faranno a non confliggere con l’autonomia imprenditoriale delle aziende sistema del aziendale ordinario.
A fronte di tutti questi dubbi, dalla cui soluzione dipenderanno le sorti di un servizio sanitario che ha dimostrato nell’evento epidemico tutte le sue debolezze, si avverte la necessità di pretendere dal legislatore di dettaglio - almeno fino a quando la legislazione sanitaria rimarrà una materia concorrente e dunque a maggior ragione dopo quando verosimilmente sarà integralmente assorbita dalle Regioni in applicazione dell’art. 116, comma 3, della Costituzione - una maggiore cura e certamente tolta la brutta abitudine, assunta da alcune, di copiare acriticamente ciò che le altre omologhe promulgano.
Al riguardo, alcune leggi regionali sono già continuamente in officina, nonostante la loro recente approvazione, attesa una loro non propria attenta stesura delle leggi di riferimento (in ordine cronologico: Liguria n. 17/2016, con la denominazione di "Alisa"; Veneto Lr n. 19/2016; Piemonte Lr n. 18/2007, per come modificata dalle Lr n. 26/2021 e n. 2/2022; Lazio Lr n. 17/2021; Calabria Lr n. 32/2021).
Troppi i dubbi da sciogliere e gli errori marchiani da correggere, infiniti quelli della Regione Calabria costretta in pochi mesi a sei importanti modifiche legislative riguardanti: l’attribuzione della autonomia imprenditoriale, piuttosto che le solite sei autonomie risalenti a prima del 1999; l’eliminazione dell’obbligo di rilascio di un inconcepibile visto di congruità da apporre su ogni genere di bilancio a cura del direttore generale del Dipartimento regionale alla Salute; la cancellazione dell’assurda sottomissione dell’esercizio delle sue funzioni al massimo burocrate regionale, subordinando così una azienda nata per fare meglio di quanto non ha funzionato.
Fatte queste considerazioni, il loro piatto forte è l'autonomia da chiunque e il contributo che esse debbano fornire ai decisori politici perché finalmente vengano esercitate e realizzate dignitose politiche sociosanitarie regionali.
Al riguardo, bene ha fatto in tal senso la Regione Veneto, che di sanità percepita è il migliore esempio da imitare, ad aggiustare ab origine l’utilità reale - quasi a dimostrare di volere concretizzare una sorta di Agenzia – rispetto a quanto avesse fatto tre mesi prima la Liguria (Lr 29 luglio 2016, n. 17 recante "Istituzione dell’azienda ligure sanitaria della Regione Liguria A.LI.SA. e indirizzi di riordino delle disposizioni regionali in materia sanitaria e sociosanitaria", Bollettino Ufficiale n. 15 del 30 luglio 2016; Veneto Lr 25 ottobre 2016, n. 19, recante "Istituzione dell'ente di governance della sanità regionale veneta denominato 'Azienda per il governo della sanità della Regione del Veneto - Azienda Zero'. Disposizioni per la individuazione dei nuovi ambiti territoriali delle Aziende Ulss', Bollettino Ufficiale n. 102 del 25 ottobre 2016).
Quanto alla loro introduzione, necessita rilevare che la vigente legislazione riferita alle anzidette sei Regioni è stata scritta nell’esercizio dell’abbondante "scopiazzatura" del modello Veneto, in modo tale da generare una confusione totale in relazione al loro essere esistenziale, al loro intrattenere i rapporti con le istituzioni regionali, siano essi decisori politici che organi burocratici, alla ineludibile collaborazione con il resto del sistema sanitario aziendale, al suo adempiere in materie e funzioni specifiche, delle quali non ne potrebbe assumere la competenza, almeno fino a quando rimangano vigenti i testi dei Dlgs 502/92, d.lgs. 165/2001, d.lgs. 118/2011. Ciò è accaduto a causa degli errati presupposti giuridici traditi da una concezione prevalentemente aziendalistica, portati avanti con troppa facilità e senza pensare affatto alla mission erogativa della salute ai cittadini.
Per rimediare a tutto ciò, si renderà necessario generare un serio confronto tra quanto esplicitamente espresso nei principi fondamentali sanciti dal legislatore statale (legge 833/78 e vigente d.lgs. 502/92) - in materia di assegnazione delle competenze istituzionali assegnate alle aziende sanitarie, territoriali e ospedaliere/universitarie conseguentemente regolate nel dettaglio nelle rispettive leggi regionali - e quanto disciplinato dalle Regioni nella istituzione delle Aziende Zero. La comparazione tra quelle vigenti pone, infatti, una serie di interrogativi riferibili, se non ben concepite, alle funzioni esercitabili da queste ultime, di sovrapposizioni più o meno apparenti, di conflittualità nell’assunzione di provvedimenti fondamentali, di incompatibilità sistemiche e di incomprensibili interessi unicamente diretti, peraltro su presupposti errati, alla tenuta della contabilità piuttosto che ad assicurare una buona assistenza sociosanitaria all’utenza. Ciò è accaduto nonostante il dramma Covid-19 che ha dimostrato con tutta la sua forza contrapposta alla debolezza del sistema salute l’inesistenza di un servizio pubblico, da rendere funzionante in regime di concorrenza amministrata con la rete degli accreditati/contrattualizzati, meglio gravemente affetto da una inefficienza, inefficacia e una diseconomia non riscontrabili ovunque.
Nel concludere il tema, ci si augura un celere massiccio rimbocco delle maniche per mettere riparo e ordine alle cose.
La comparazione tra le norme complessivamente vigenti pone, infatti, una serie di interrogativi riferibili: alle specifiche funzioni esercitabili; alle sovrapposizioni più o meno apparenti da più parti rilevate tra i compiti assegnati alle Aziende Zero e quelle tradizionali attribuite alle aziende della salute; alla conflittualità nell’assunzione dei provvedimenti di programmazione di competenza con i doveri del decisore politico (Regione ovvero commissario ad acta, ove presente); alle incompatibilità sistemiche e agli incomprensibili interessi che appaiono unicamente diretti alla tenuta della contabilità piuttosto che ad assicurare una buona assistenza sociosanitaria all’utenza.
Per intanto, come detto, sono sei le Regioni ad averla istituita (e tante altre in procinto di farlo) che, ancorché con l’esigenza di riportare, chi per un motivo chi per un altro, i rispettivi testi legislativi in officina, hanno la necessità di metterle in corsa, nel senso di renderle operative, così come ha fatto già abbondantemente la Liguria con la sua Alisa.
Stante l’esigenza quantomeno di renderle efficacemente attive, occorre contribuire a offrire una risposta ai due interrogativi più semplici.
Il loro maggiore problema sarà l’esercizio del ruolo di prima inter pares nella governance regionale finalizzata alla gestione del Ssr. Al riguardo, le loro direzioni generali dovranno necessariamente essere collaborate da un organismo consultivo e segnatamente partecipativo (esempio Veneto: Comitato dei Direttori generali di tutte le aziende della salute). Un organo aziendale strumentale alla definizione delle metodologie più idonee a rilevare i fabbisogni epidemiologici e a delineare la mappa dei rischi relativi presenti sul territorio regionale nonché a esprimere l’esito della verifica dei monitoraggi effettuati in materia contabile, di politiche degli acquisti e di personale, di relazione con il pubblico, sui quali ultimi temi dovrà esprimere, sotto la presidenza del massimo burocrate regionale in materia di tutela della salute, il proprio parere obbligatorio.
Una tale previsione è, di fatto, dimostrativa della non sovrapposizione, da taluni spesso immotivatamente lamentata, delle Aziende Zero alle aziende territoriali e ospedaliere/universitarie, componenti il sistema sanitario regionale, che mantengono tutta la loro autonomia imprenditoriale. Le stesse, senza sottoposizione alcuna alle Aziende Zero, saranno organizzate in ossequio all’atto aziendale, programmeranno le loro attività secondo strumenti di pianificazione locale ed eserciteranno le politiche assunzionali e di gestione del personale, del contenzioso, di acquisto di beni e servizi, di bilancio, sia preventivo che consuntivo e quant’altro. In buona sostanza, le medesime potranno contare, ciascuna sulla propria Azienda Zero di riferimento, quale ente tutorio - garante dell’unitarietà e egualitarismo erogativo dei Lea nonché della concentrazione dei bilanci - strumentale a concretizzare il passaggio ad una diversa configurazione del sistema della salute, eventualmente sempre più prossima alla agenzificazione.
Il regime di raccordo con la burocrazia regionale rimarrà, sempre che non venga legiferato diversamente da quelli in vigenza, tale e quale a quello mantenuto dalle aziende della salute, fatta eccezione per la riassunzione delle competenze in esclusiva della redazione del bilancio di previsione e consuntivo afferente alla Gsa e del bilancio consolidato preventivo e consuntivo del Ssr, da sottoporre entrambi all’approvazione della Giunta regionale e, ove esistente, dal Commissario ad acta. Ovviamente tutto dipenderà dai regolamenti che, previsti in quantità considerevoli, saranno ritenuti indispensabili per conseguire una maggiore efficienza, efficacia, economicità e utilità del sistema rispetto a quello preesistente.
Tutto questo, fermo restando il desiderio che il Servizio sanitario nazionale deve ritornare quello che il legislatore statale, dopo tante sofferenze parlamentari, decise con la sua introduzione perfezionata con la legge 23 dicembre 1978 n. 833. Un monolite giuridico preteso per rendere esigibile il diritto alla salute universalmente e uniformemente, così come sancito dal novellato art. 117, comma 2, lett. m), della Costituzione nell’identificazione dei Lea da assicurare su tutto il territorio nazionale. Due previsioni imperative che tali non sono state, tant’è che oggi si constata un Paese con l’assistenza a macchia di leopardo e una nazione in preda alle "fiere", nel senso di mettere a rischio la vita quotidianamente per assenza di una offerta sociosanitaria al di sotto dei minimi accettabili.


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