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Tavolo Dm 70 e 77/ Aceti (Salutequità): «Poche chance di concretezza se i "big" restano fuori»

di Barbara Gobbi

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24 Esclusivo per Sanità24

Non trova pace il tavolo tecnico di revisione degli standard ospedalieri (Dm 70/2015) e per le cure territoriali (Dm 77/2022), istituito con decreto a giugno presso l'Ufficio di gabinetto del ministero della Salute "per lo studio delle criticità emergenti" dall'attuazione di quelli che sono due architravi del Ssn. Ridefinito a partire dalle sacrosante proteste sulla mancata partecipazione femminile e ampliato con l'occasione fino a superare i 50 componenti tra "istituzionali", società scientifiche e ordini professionali (ma molti altri, come gli ingeneri clinici, continuano a bussare alla porta), il tavolo continua però a mantenere intatte le caratteristiche di "vaghezza" che l'avevano caratterizzato alla nascita. Tanto da prestare il fianco a critiche sul metodo - si può affrontare una materia tanto complessa e cruciale con l'ennesimo "tavolo"? - e sulle tempistiche, che fanno temere la più classica delle iniziative "lunghe una Legislatura" e quindi avviata verso l'inconsistenza.«Nel decreto istitutivo non è prevista una tempistica precisa, non c’è un orizzonte temporale per la chiusura dei lavori nè è specificato l'impatto atteso sull’eventuale revisione dei Dm 70 e Dm 77 - afferma il presidente di Salutequità Tonino Aceti -. Quale sia la "forza" di questo tavolo rispetto ai due decreti non è così chiaro e non c’è nulla neanche sulle modalità di accountability dei lavori: il decreto non chiarisce come il lavoro che sarà prodotto verrà reso accessibile a tutti. Senza contare che, quanto al Dm 70, la commissione che per legge dovrà concretamente rivederlo è un'altra, cioè quella che lo ha redatto per la prima volta, prevista ad hoc dalle norme anche nella sua composizione».
Ed è sempre sulla composizione del tavolo che, dulcis in fundo, secondo Aceti il tavolo continua ad avere "assenti illustri": «Lascia decisamente perplessi leggendo l'ultimo decreto di nomina - afferma - il fatto che siano stati lasciati fuori almeno quattro interlocutori indispensabili per l'analisi delle criticità dei due provvedimenti sugli standard: innanzitutto le aziende sanitarie locali con Fiaso e Federsanità, poi Anci - con i Comuni che invece avrebbero molto da dire sia sulla sanità territoriale in un’ottica di integrazione sia sugli ospedali - e il privato accreditato, cui l'ultima legge di Bilancio ha destinato anche fondi ad hoc per il recupero delle liste d'attesa. Sono "big" che non possono non partecipare e che andrebbero coinvolti, se davvero si intende dare al "tavolo" presieduto dal capo di gabinetto del ministro delle chance di concretezza». Mancano all'appello infine, ma non certo per ordine d'importanza, le associazioni di cittadini e pazienti: «Una svista anche questa macroscopica - prosegue Aceti - e ancor più notevole a valle dell’atto d’indirizzo sdoganato dal ministero della Salute a ottobre scorso e che regolamenta il loro coinvolgimento nelle decisioni sulla salute».


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