Aziende e regioni
Aziende Ssn, non più rinviabile l’abolizione dell’imposta sui fabbricati ospedalieri
di Roberto Caselli
24 Esclusivo per Sanità24
Nell’ambito di un appello al nuovo Governo, in un servizio pubblicato il 7 novembre scorso per l’utilizzo dello strumento fiscale per la sanità pubblica, fu sottolineata l’urgenza di esonerare gli immobili ospedalieri pubblici (equiparandoli in sostanza a quelli privati) dalla tassazione della loro rendita catastale, che costituisce la quasi totalità della base imponibile Ires. La controversa tassazione degli immobili strumentali per le attività sanitarie, peraltro in linea con la posizione dell’Amministrazione finanziaria (espressa con la Risoluzione n. 244/E/1999) è stata confermata da alcuni anni dalla Corte di Cassazione, che dopo numerose sentenze di Commissioni tributarie, anche di secondo grado, favorevoli alle aziende sanitarie pubbliche, che ne chiedevano l’esonero nei primi anni duemila, ha emanato diverse sentenze sull’argomento (sentenze n. 28176 del 2008, 17089 e 28083 del 2009, 9875 e 12773 del 2011, 288 del 2012).
Ricordiamo che l’art. 74 del Tuir, al secondo comma, punto b), dispone che “ l’esercizio di attività assistenziali e sanitarie da parte di enti pubblici istituiti esclusivamente a tal fine, comprese le aziende sanitarie locali non costituisce esercizio di attività commerciali.”
Ebbene in questo articolo è contenuta una "condanna" nei confronti delle aziende ospedaliere, delle Asl e degli Irccs…
Infatti l’attività sanitaria è per sua natura un’attività commerciale che può produrre un reddito tassabile, ma questa cosiddetta "decommercializzazione", disposta dall’art.74, secondo la posizione dell’ Amministrazione finanziaria, non risulta affatto a favore delle strutture pubbliche, ma contro, in quanto comporta la tassazione degli immobili strumentali, dalla quale sono esonerate le imprese (art. 43 del Tuir). Gli effetti dell’art. 74 dovrebbero aver effetto, a parere di chi scrive solo per il reddito di impresa, altrimenti costituisce, anziché un'agevolazione, una vera e propria "penalizzazione".
Infatti, in un confronto fra il settore sanitario privato e quello pubblico, quest’ultimo ne esce, in certe condizioni, discriminato. Ipotizziamo un ospedale che svolga attività di ricovero, ambulatoriale, di laboratorio, che chiuda il bilancio economico in pareggio o in perdita; se tale ospedale è gestito da una struttura privata, questa non pagherà niente per l’Ires, non solo sul reddito di impresa, ma neanche sul reddito fondiario degli immobili strumentali , esenti ai sensi dell’art. 43 del Tuir.
La struttura pubblica, invece, nelle stesse condizioni, svolgendo cioè la stessa attività, secondo l’interpretazione dell’Agenzia delle Entrate, è tenuta a pagare l’Ires sul reddito fondiario degli immobili.
Le ragioni per cui questa posizione, dell’Amministrazione finanziaria e della Corte di Cassazione, non sono condivisibili, sono almeno due :
Primo motivo: il concetto di commercialità
L’art. 43 del Tuir esenta da imposta fabbricati "gli immobili relativi a imprese commerciali e quelli che per le loro caratteristiche non sono suscettibili di diversa utilizzazione senza radicali trasformazioni".
Ricordiamo, innanzitutto, che il concetto di commercialità è basato sulla natura delle attività e non sulle finalità perseguite (lucro o non lucro) e sulle destinazione degli eventuali utili, né sulla qualifica di un soggetto (pubblico o privato).
Ebbene, considerato che l’attività sanitaria ospedaliera rientra fra le attività che il codice civile definisce come commerciali e che gli edifici ospedalieri non potrebbero essere utilizzati diversamente, anche per il vincolo di destinazione stabilito nell’atto di trasferimento dalla Regione, l’esenzione non dovrebbe venir meno per effetto dell’art. 74, che prevede la "decommercializzazione" dei proventi realizzati con l’attività sanitaria, che ha
• l’effetto pratico dell’esonero dagli adempimenti contabili (ricordiamo che nell’ 86 –data del Tuir – le aziende pubbliche avevano la contabilità finanziaria e non quella economica, per cui una tassazione sul reddito eventualmente ricavato dall’attività sanitaria non avrebbe potuto avere riferimenti contabili di sorta)
• l’effetto benefico solo teorico sulla tassazione , considerando che le perdite sono costanti nelle aziende del Ssn, a causa dei meccanismi di finanziamento .
Sarebbe assurdo ipotizzare che il Legislatore abbia inteso penalizzare il settore pubblico rispetto a quello privato, violando così il principio di uguaglianza previsto dalla Costituzione. Non può- in sostanza - aver voluto togliere l’esenzione dall’imposta fabbricati alle aziende sanitarie pubbliche in cambio di una esenzione sulla tassazione teorica di un reddito inesistente.
Ricordiamo anche, che quando il testo unico attuale fu varato, nel 1986, gli edifici ospedalieri erano ancora di proprietà degli enti locali (che usufruivano di una esenzione dalle imposte sul reddito, comprese quelle sui fabbricati), per cui il problema dell’eventuale conflitto fra gli artt. 43 e 74 , per le strutture pubbliche, non esisteva.
Non è credibile ipotizzare che il Legislatore, in occasione della riforma della sanità promossa dal Dlgs 502/92 abbia inteso trasferire la proprietà degli edifici ospedalieri alle aziende ospedaliere, appena costituite con personalità giuridica, per ottenerne un gettito fiscale, fino a quel momento inesistente.
Quale logica avrebbe avuto esentare tali trasferimenti dalle imposte indirette (una tantum) e assoggettare a tassazione perenne il reddito fabbricati ?
Se il Legislatore si era preoccupato di non gravare, con il trasferimento degli immobili, le aziende del Ssn da oneri assai modesti e "una tantum", non poteva aver inteso penalizzare le stesse aziende con imposte dirette, che prima del passaggio gli enti locali proprietari non pagavano alcunché per espresso esonero soggettivo.
Certamente sarebbe stato opportuno che il legislatore, dopo il Dlgs 502/92, avesse aggiornato il Testo unico delle II.DD. per evitare dubbi nella sua interpretazione, ma non è la prima volta che questo non avviene, per cui la Cassazione anziché basarsi sulle disposizioni di Legge, avrebbe potuto interpretarla, sulla base delle finalità che la stessa intendeva perseguire.
Non mancano comunque sentenze di merito, anche passate in giudicato, come quelle della Ctr di Roma del 15.2.11, n. 229 e n. 230 che non si sono adeguate alle decisioni della Cassazione, affermando che: "È pacifico che l’attività ospedaliera, in quanto diretta alla 'produzione di servizi' ha natura commerciale e quindi va ricondotta nell’ambito di quelle indicate dall’art. 2195 c.c., e come tale il reddito fondiario degli immobili strumentali utilizzati per lo svolgimento di detta attività è esente dall’imposta, indipendentemente dal soggetto proprietario, pubblico o privato che sia, poiché non si potrebbe ammettere che il Legislatore abbia inteso manifestare la propria volontà di escludere dalla esenzione della tassazione i soggetti pubblici che svolgono attività sanitaria…"
Secondo motivo : la capacità contributiva
Affermare come ha fatto la Cassazione nelle varie sentenze, che il possesso degli immobili costituisca un indice di capacità contributiva cioè “rivelatore di ricchezza” (come intesa dall’art. 53 della nostra Costituzione), che dovrebbe assicurare l’idoneità del soggetto al prelievo fiscale, è da ritenere, a parere di chi scrive, completamente sbagliato in quanto gli immobili non sono stati acquistati con risorse proprie, né con mutui, , ma trasferiti, con il D.lgs. 502/92, potremmo dire "fiduciariamente" alle aziende ospedaliere, con vincolo di destinazione e di indisponibilità, per ragioni di tipo organizzativo, per consentirne cioè una gestione più efficiente e razionale. Gli immobili più recenti sono stati costruiti con contributi in conto capitale del Fondo sanitario nazionale.
Lo scopo che il Legislatore volle perseguire fu, evidentemente, oltre a quello di costituire una dotazione iniziale, quello di responsabilizzare le Direzioni di questi nuovi soggetti pubblici per la gestione e la manutenzione di un enorme patrimonio immobiliare, del quale facevano parte, oltre agli ospedali, le strutture ambulatoriali, le case di riposo, gli uffici e quant’altro utilizzabili per la propria attività istituzionale, anche immobili provenienti da donazioni e successioni, come appartamenti, negozi, terreni agricoli; fra questi anche immobili fatiscenti che gli enti locali non intendevano più gestire.
È noto infatti che la Legge istituiva del Ssn, per fornire una dotazione iniziale ad Aziende che continuavano le attività delle Unità sanitarie locali senza personalità giuridica, che utilizzavano immobili di proprietà degli enti locali (che li avevano ereditati per legge dai soppressi enti ospedalieri), aveva previsto che la proprietà di tutti questi immobili, oltre a quelli provenienti da altri enti pubblici soppressi, venisse trasferita, senza alcun onere di imposte di registro e ipotecarie alle costituende aziende sanitarie locali ed ospedaliere ed agli Irccs, con vincolo di destinazione sanitaria, ma evidentemente incorse nella lacuna di non prevedere anche l’esenzione dalle imposte dirette; non è infatti pensabile che il Legislatore avesse voluto questo trasferimento di proprietà per creare una nuova fonte di gettito per l’Erario.
È evidente come la proprietà di questo patrimonio immobiliare, alla luce dei principi costituzionali, non sia affatto un indice di capacità contributiva, ma costituisca anche l’origine di una grave violazione del principio di uguaglianza, pure sancito dalla Costituzione.
Fra l’altro non tutte le strutture pubbliche sono gravate dall’imposta fondiaria sugli immobili, ma solo quelle a favore delle quali il trasferimento della proprietà è avvenuto regolarmente. Ricordiamo le due aziende provinciali per i servizi sanitari (che corrispondono ad aziende sanitarie locali di estensione provinciale, come molte altre nelle varie Regioni) di Trento e di Bolzano, non sono proprietarie degli immobili in quanto li hanno ricevuti solo "in comodato" e così non debbono pagare l’imposta su tali fabbricati. È anche il caso di importanti ospedali, come ad esempio il Policlinico Umberto I di Roma, nel quale gli immobili sono ancora di proprietà dell’Università La Sapienza.
Il mancato trasferimento degli immobili previsto dal Dlgs 502/92, non ha comportato sanzioni a carico degli enti inadempienti, mentre, vengono penalizzate proprio le aziende nelle quali il trasferimento è stato effettuato correttamente, producendo uno squilibrio, non solo fra settore privato e pubblico, ma anche nell’ambito di quello pubblico.
Conclusioni
I motivi sopra illustrati, per cui l’esenzione dall’imposta fabbricati sarebbe giusto che venisse estesa anche alle Aziende del Ssn, dovrebbe indurre il Legislatore a provvedere in proposito con la riforma fiscale "in cantiere".
In fin dei conti, se si vuole intervenire, come recentemente affermato dal Presidente del Consiglio, sulle situazioni che si possono configurare come un'ingiustificata "caccia al gettito", questa è una opportunità da cogliere, sia per ragioni di equità fiscale, sia per venire incontro ad una sanità pubblica che esce stremata da una lunga pandemia, dalla crisi energetica e dalla mancanza di risorse finanziarie adeguate. Le considerazioni espresse a proposito della commercialità dell’attività e della capacità contributiva delle Aziende dovrebbero confortare il Legislatore in questa scelta.
Tutti i cittadini, in particolare quelli più fragili, ne trarrebbero giovamento, in quanto le Aziende del Ssn avrebbero maggiori risorse per soddisfare il loro diritto costituzionale alla salute.
A titolo di esempio, un’azienda ospedaliera di dimensioni medio-grandi, con circa 5500 dipendenti paga ogni anno per questa imposta, con l’aliquota agevolata, circa 300.000 euro e un’azienda sanitaria territoriale, pure di dimensioni medio - grandi, con 15.000 dipendenti, paga, con aliquota intera, circa 1.800.000 euro.
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