Aziende e regioni
L'eccellenza del Ssn e quelle "vergogne" su cui correre ai ripari: Parte terza
di Stefano Simonetti
24 Esclusivo per Sanità24
È passato un po’ di tempo dall’ultima volta che ho segnalato gli episodi di cui vergognarsi ma certamente non perché nel frattempo mancassero episodi e vicende degne della citazione. I "magnifici sette" casi che propongo qui riguardano, i primi quattro, vicende contrattuali sia del comparto che della dirigenza, mentre gli altri tre si riferiscono ad aspetti generali della quotidianità della Sanità pubblica.
IL RINNOVO DEL CCNL DELLA DIRIGENZA SANITARIA - DEF 2021
È sotto gli occhi di tutti che i medici e, in generale, i dirigenti sanitari stanno attraversando un momento di assoluta criticità da ogni punto di vista. Il loro contratto collettivo ancora attualmente applicato in regime di proroga è scaduto da 42 mesi e quello di cui non si vede traccia di rinnovo è già scaduto da 6 mesi senza che nemmeno siano iniziate le procedure previste dalla legge. In ogni caso, qualora partisse la trattativa del rinnovo, questa si baserebbe sul riconoscimento dell’Ipca relativo al triennio di riferimento – cioè non più del 4% a regime - quando siamo in questi giorni toccando l’8% di inflazione. Orbene, a fronte di tutte le dichiarazioni di intenti e di tutte le promesse di intervento, può essere utile leggere quello che davvero pensa il Governo – o, sarebbe più giusto dire, il ministero dell’Economia – sul contratto della dirigenza sanitaria. Nel Documento di Economia e Finanza (Def) 2021, nella Sezione II - Analisi e tendenze della finanza pubblica, si legge chiaramente a pag. 28:
"I rinnovi contrattuali per il triennio 2016-2018 sono stati sottoscritti definitivamente eccetto quelli della Presidenza del Consiglio dei ministri che verranno chiusi nel 2021. Per i rinnovi contrattuali del triennio 2019-2021 si prevede che gli stessi saranno sottoscritti definitivamente nel 2021 per le carriere diplomatica e prefettizia mentre quelli del comparto Sicurezza-Difesa e Soccorso pubblico e dei comparti Aran saranno sottoscritti nel 2022. Nel 2023, infine, si ipotizza che verranno siglati i restanti contratti afferenti alle Aree Aran". Non credo ci sia bisogno di aggiungere altro.
L’INDENNITÀ DI PRONTO SOCCORSO
Per rispondere a evidenti motivazioni, il legislatore con la legge di bilancio 2022 ha previsto una specifica indennità per chi lavora al pronto soccorso nella misura complessiva di 63 mln per il comparto e di 27 mln per la dirigenza sanitaria (comma 293 della legge 234/2021). Lo stanziamento è indistinto e la legge non precisa altro se non che è "una specifica indennità di natura accessoria da riconoscere, in ragione dell'effettiva presenza in Servizio"; per cui la disciplina di dettaglio deve ovviamente essere definita dai rispettivi contratti collettivi. La recente Preintesa per il comparto ha previsto tale beneficio all'art. 107, comma 4. Tuttavia la stesura della clausola contrattuale è del tutto anomala tanto che in 27 anni di contrattazione non si era mai visto nulla di simile. L'importo della indennità infatti viene stabilito in 40 euro mensili "a titolo di anticipazione" e l’importo effettivo sarà stabilito da ciascuna azienda in base a quanto sarà assegnato da parte della propria Regione delle risorse indicate nella tabella G allegata al contratto. Per esemplificare: alla Regione Toscana vengono assegnati 3.813.526 euro in totale che devono essere suddivisi tra le sette aziende sanitarie le quali, a loro volta, dovranno individuare il personale operante nei servizi di pronto soccorso ed erogare finalmente l’importo definitivo. Il rischio è che nelle sette aziende si utilizzino criteri e modalità del tutto differenti e la materia non è nemmeno indicata tra quelle su cui deve formarsi il confronto regionale perché questo, ai sensi dell’art. 7, comma 1, lettera f), si esprime sul piano di riparto e non sui criteri e modalità di individuazione dei beneficiari.
La soluzione adottata dalle parti negoziali ha qualcosa di vergognoso qualunque sia stata la motivazione che ha suggerito di prevedere, per ora, solo un acconto. La causa più banale potrebbe essere che non si conosce ancora il numero esatto dei destinatari ma anche che tale numero non si riesce a perimetrare perché "non si sa" chi sono i destinatari. In entrambe le ipotesi la soluzione è inaccettabile. Se in sei mesi le Regioni non sono riuscite a rilevare e comunicare all'Aran tale numero, è ovviamente grave ma se invece la questione versa su quali sono i profili e le condizioni oggettive per avere diritto alla indennità, allora forse è anche peggio, perché si tratterebbe di una sorta di assalto alla diligenza che i sindacati non sono riusciti a governare. Il vero nodo da sciogliere credo sia proprio questo anche perché la dizione "servizi di pronto soccorso" è molto ampia e lo stesso contratto specifica che spetta al "personale di tutte le aree e di tutti i ruoli". L’unica cosa certa è che un infermiere che è assegnato al pronto soccorso vedrà in busta paga l’indennità nella misura definitiva verosimilmente nei primi mesi del 2023 mentre la legge aveva stanziato le risorse nel dicembre 2021.
LA QUESTIONE DELL’INQUADRAMENTO DEGLI OSS
Il rinnovo del CCNL del comparto doveva risolvere, tra le altre, la questione dell’inquadramento degli Operatori sociosanitari che si aspettavano qualcosa dalla lunga e complessa vicenda della loro terza “esse” nonchè dall’istituzione del ruolo sociosanitario avvenuta nel luglio 2021. Il contratto collettivo non poteva però intervenire su di un profilo coperto da riserva di legge. Nonostante ciò il Ccnl "doveva" dire pur qualcosa, anche se di natura meramente programmatica. Qualcosa tuttavia ancora non quadrava e all’ultimo momento è stata inserita la precisazione nel comma 2 dell’art. 21. Dico "all’ultimo momento" perché nel testo oggetto di esame presentato inizialmente nelle ultime riunioni conclusive di giugno la precisazione in questione semplicemente non c’era. La impellente volontà di chiudere e la necessità di prevedere in ogni modo qualcosa per gli Oss ha prodotto un disallineamento evidente perché chiunque legga senza riserve mentali il testo del Ccnl non può plausibilmente capire come si possa conciliare il periodo aggiunto alla fine del secondo comma dell’art. 21 con l’Allegato A – laddove non esiste il profilo di Operatore sociosanitario senior (cosa vuol dire "denominazione"?) - e con la dichiarazione congiunta n. 6. Tant’è, e le tecniche di negoziazione e le reciproche esigenze delle controparti ci hanno abituato nel tempo a ben altro. Resta però il fatto che sarà ben difficile che qualche azienda si azzarderà a effettuare una progressione di area applicando la clausola di cui si parla. Il tempo che passa per giungere alla firma definitiva si spera serva a completare il percorso per l’istituzione del nuovo profilo che – sarà anche lungo, burocratico e indietro con le esigenza organizzative – ma è l’unica strada per risolvere la questione.
L’AUDIZIONE IN SENATO DELLA CAPO DIPARTIMENTO DELLA RGS
Lo scorso 14 luglio si è svolta una audizione presso le Commissioni Igiene e Sanità e Bilancio del Senato (5^ e 12^ congiunte), di un alto dirigente del Mef sulla situazione finanziaria del Servizio sanitario nazionale. La registrazione dell’intera audizione – ben 55 minuti di dibattito - è disponibile sul sito del Senato. Uno dei temi toccati nel corso dell’audizione è stato quello del personale dove la responsabile del dipartimento a una precisa domanda della senatrice Boldrini ha ricordato "il livello di finanziamento è stato però consolidato" e quindi ha sostanzialmente riferito che non sono previste nuove risorse per il personale in quanto «mi sento di dire che anche con l’ultima manovra (deroga al tetto di spesa per 1 mld per assunzioni sul territorio in applicazione del Dm 77, ndr) sia stata data adeguata risposta alla tematica del fattore lavoro». Queste dichiarazioni hanno generato molti commenti e si potrebbero opporre parecchi elementi oggettivi in un ipotetico - quanto inimmaginabile - contraddittorio sulla questione. Il primo e inequivocabile argomento di polemica come ha puntualmente rilevato Claudio Testuzza, è che l’Italia, secondo i dati Ocse, fa registrare una spesa pro-capite in sanità pari a 2.473 euro e si tratta di una cifra decisamente inferiore a Paesi come Francia e Germania che si attestano rispettivamente sui 3644 euro e i 4504 euro pro-capite. Ciascuno deve rispettare il ruolo rivestito e da un dirigente della RGS ci si deve aspettare che parli di conti in ordine e questioni di finanziamento. Però la relazione dovrebbe limitarsi a illustrare la situazione finanziaria e non dovrebbe esprimere giudizi che appaiono francamente forzati e non richiesti. In base a quale criterio è stato affermato che "è stata data adeguata risposta"? Lo si vada a dire ai medici dei pronto soccorso, lo si vada a dire ai direttori generali che vedono andare deserto ogni concorso che bandiscono, lo si vada a dire a tutte le aziende che vedono quotidianamente fuggire medici e infermieri nel privato o all’estero. L’aggettivo "adeguato" esprime una valutazione di merito di natura politica che non dovrebbe essere utilizzato in sede tecnica. Se fosse stato affermato asetticamente che il livello del finanziamento del fabbisogno sanitario nazionale standard cui concorre lo Stato è stato portato a 124.061 mln per il 2022, in base alle norme adottate nelle sedi competenti, e che non sono previsti, allo stato, incrementi, poteva essere tecnicamente accettabile ma che il fondo sanitario sia giudicato "adeguato" non si può ammettere.
LA SENTENZA GIUDICE DEL LAVORO DI FIRENZE SUL REINTEGRO DELLA PSICOLOGA NO VAX
Molti sono già intervenuti sul decreto d’urgenza con il quale una giudice del Tribunale civile di Firenze ha sospeso il provvedimento dell’Ordine che vietava a una psicologa di esercitare perché non vaccinata. Dal Ministro Speranza al Presidente della Fnomceo Filippo Anelli sono stati espressi giudizi severissimi sul contenuto della decisione. Quello che mi sento di aggiungere al dibattito riguarda un atteggiamento che non di rado assumono i giudici in materia sanitaria che, a mio parere, travalica i poteri della Magistratura ed entra in campi che ad essa dovrebbero essere interdetti. Esistono diversi precedenti molto noti – dalla multiterapia inventata da Di Bella al cosiddetto metodo Stamina – fino a sentenze meno conosciute come quella che obbligò la Asl di Pistoia a pagare centinaia di migliaia di euro per garantire a un assistito la terapia Dikul per anni finchè una pronuncia della Cassazione affermasse che non esisteva una minima validità scientifica della terapia.
Tornando alla sentenza di Firenze – peraltro non unica perché era accaduto anche a Padova, Sassari, Velletri, Roma e, recentemente, ad Ivrea – l’originalità (se vogliamo definirla così) della pronuncia è proprio nelle affermazioni perentorie relative alle evidenze scientifiche mentre, ad esempio, il Giudice del lavoro di Ivrea aveva prudentemente esaminato solo l’aspetto del danno economico della sospensione e, senza avventurarsi in valutazioni scientifiche, aveva imposto alla Asl la reintegra perché non era stato valutato l’obbligo a carico del datore di lavoro. di altra, diversa collocazione. Le reazioni alla sentenza di Firenze sono al contrario generate dal fatto che non rientra nelle competenze di un magistrato affermare ufficialmente che i vaccini sono "trattamenti iniettivi sperimentali talmente invasivi da insinuarsi nel Dna alterandolo in un modo che potrebbe risultare irreversibile", cioè una affermazione che può essere fatta solo nelle sedi scientifiche deputate in presenza di contraddittorio, dibattito e prove di ogni tipo. Tra l’altro sulla natura dei vaccini e sulla letteratura scientifica correlata, il Consiglio di Stato con la sentenza della sez. III n. 7045 del 20.10.2021 aveva già espresso in 93 pagine di motivazioni tutta la corretta impostazione che la Magistratura deve avere nei confronti della letteratura scientifica ufficiale.
L’ACCESSO AGLI ATTI DELL’AIFA SULL’EFFICACIA DEI VACCINI
La trasparenza e l'accessibilità agli atti delle amministrazioni pubbliche sono istituti da considerare tra i pilastri di un sistema democratico. Nel tempo, fin dalla prima stesura della legge 241/1990 per giungere al FOIA di qualche anno fa, sulla documentazione formata dalle amministrazioni pubbliche insiste il diritto di accesso, limitato solo da tassative e oggettive eccezioni. Tuttavia, tale diritto non può e non deve travalicare i confini della ragionevolezza e diventare un modo per effettuare un controllo generalizzato dell'operato delle pubbliche amministrazioni (come precisa la stessa legge 241) ma neanche costituire uno strumento surrettizio per battaglie ideologiche fini a se stesse. È il caso di cui si sono occupati i Giudici amministrativi che hanno rigettato il ricorso contro l’istanza di accesso di una associazione Odv nei confronti dell’Aifa relativa ai "documenti, dati e informazioni relativi alle segnalazioni provenienti dalla farmacovigilanza attiva" per i vaccini anti Covid-19. La sentenza del Tar Lazio, sez. III quater, n. 9358 dell’8.7.2022 ha ritenuto che la richiesta era stata soddisfatta dalla Agenzia del Farmaco con l’indicazione dei link dove sono pubblicate sul sito istituzionale dell’Agenzia stessa. Il Tar ha proseguito affermando che "per mera completezza si precisa che, se parte ricorrente avesse inteso richiedere l’accesso alle singole schede di segnalazione, queste non sarebbero state (né sarebbero) ostensibili attraverso una istanza di accesso civico generalizzato. Ciò, invero, richiederebbe l’estrazione di tutte le singole schede e l’oscuramento di tutti i dati riservati ivi indicati determinando, alla luce delle oltre 117.920 segnalazioni di sospetta reazione avversa registrate al 26 dicembre 2021, un eccessivo onere all’evidenza suscettibile di compromettere il normale svolgimento dell’attività dell’Agenzia". Ineccepibile la decisione, ma c’è da chiedersi cosa sarebbe accaduto qualora i Giudici avessero sancito l’accesso a tutte le schede e quanto tempo quella Associazione di volontariato avrebbe impiegato per leggerle: a spanne, una lettura accurata ad effettivi fini scientifici, pari a 5 minuti per scheda, avrebbe comportato 9.750 ore di analisi (cioè più di 400 giorni senza pause) per cui la richiesta era orientata solo a fare propaganda.
L’IRES A CARICO DELLE ASL
L’imposta sui redditi delle società - nota come Ires – costituisce da anni un doloroso argomento per i bilanci delle aziende sanitarie locali territoriali perché le Asl non possono essere ricomprese tra gli "enti ospedalieri" beneficiari dell'agevolazione corrispondente al 50% delle somme versate a titolo di Irpeg/Ires, atteso che le stesse svolgono compiti che vanno al di là di quella attività specifica. Inutili ricorsi alle Commissioni tributarie non hanno mai smosso i termini della questione che, oggettivamente, sono deliranti. Finalmente qualcosa – ma proprio "qualcosa" – è cambiato in forza dei chiarimenti che sono stati forniti dalla circolare numero 15 del 17 maggio 2022 dell'Agenzia delle Entrate riguardo ai casi in cui si può beneficiare della riduzione del 50% dell’Ires. Ma leggiamo direttamente le determinazione dell’Agenzia: "Alla luce delle norme succedutesi a partire dalla riforma del 1978, si deve ritenere che la disciplina di cui all’articolo 6, comma 1, lettera a), del d.P.R. n. 601 del 1973 conservi la propria efficacia limitatamente alle “aziende ospedaliere” e ai "presidi ospedalieri" delle Aziende sanitarie locali di natura pubblica, nei quali sono confluiti i vecchi "enti ospedalieri", così come definiti dall’articolo 2, comma 1, della richiamata legge n. 132 del 1968”. Quindi, il passo avanti si riferisce alla possibilità di estendere la riduzione anche alle Asl ma solo relativamente ai presidi ospedalieri, per cui, esemplificando, la gigantesca Asl Toscana Centro potrà beneficare dello "sconto" per i suoi 13 ospedali ma dovrà continuare a pagare l’Ires intera sulle centinaia di altre strutture in cui eroga l’assistenza sanitaria. Vale la pena di segnalare tuttavia che nella stessa circolare si legge una conclusione a dir poco bizzarra e cioè che "alla luce del parere tecnico acquisito, resta confermata la riconducibilità della generalità degli Irccs nel novero dei soggetti beneficiari della riduzione a metà dell’Ires di cui all’articolo 6 del d.P.R. n. 601 del 1973": con le parole "generalità degli Ircss" si è voluto intendere che la legge istitutiva non faceva alcuna differenziazione tra quelli di diritto pubblico (21) e quelli di diritto privato (30) affermando quindi la unicità di tutti i 51 istituti. Tradotto in italiano, vuol dire che gli Irccs privati beneficiano della riduzione mentre continua a essere negata alle strutture pubbliche non riconducibili al concetto di "presidio ospedaliero" sancito da una legge di 50 anni fa.
Ma per il Ssn le tematiche fiscali sono rigorosissime e senza sconti e, in tema di cose di cui vergognarsi, va ricordato che le aziende sanitarie (tutte) pagano l’Irap, l’Imu, la tassa di concessione governativa sui cellulari, l’Iva al 22% su alcuni beni e, infine, non hanno le agevolazioni energetiche concesse all’industria. Esemplare la vicenda della Asl di Pistoia che nel 2014 si è vista recapitare dal Comune una cartella di quasi 300.00 euro per l’Imu di quell’anno, costringendo l’azienda a fare ricorso alla Commissione tributaria.
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