Aziende e regioni
Azienda Zero: un modello da ripensare e fare evolvere. Le tre priorità da affrontare subito
di Ettore Jorio * e Giuseppe Profiti **
24 Esclusivo per Sanità24
Il sistema della salute, con il proliferare delle leggi regionali introduttive delle Aziende Zero, sta vivendo un clima di grande confusione. La loro istituzione pone, infatti, dei seri problemi interpretativi in relazione al loro collocamento istituzionale, maggiore o minore a seconda delle regioni. La loro esistenza funzionale confliggerà o no con l’autonomia imprenditoriale del sistema aziendale ordinario. Questo e altri sono i tanti interrogativi che navigano con una certa frequenza tra gli addetti ai lavori e i sindacati.
La ratio di Azienda Zero
La rincorsa di target di efficienza e di produttività incrementali - imposta surrettiziamente ai sistemi sanitari regionali attraverso la combinazione di livelli di finanziamento negativi in termini reali e invarianza o incremento dei livelli di assistenza - ha definitivamente allontanato la lettura delle leve di governo delle politiche sanitarie dalle logiche e dai modelli a impostazione amministrativo–burocratica tipiche dell’organizzazione degli enti Regione.
L’evoluzione dello scenario e del quadro dei vincoli finanziari ha, quindi, fatto sì che le leve strategiche di governo dei sistemi sanitari riconducibili alla gestione dei fattori produttivi, alla funzione regolatoria e alla funzione di analisi e programmazione sanitaria venissero, in tutto o in parte, esternalizzate in soggetti posti al di fuori dell’apparato regionale e disegnati dalla legislazione regionale secondo assetti riconducibili a quelli a impronta aziendalistica propri delle aziende del sistema sanitario.
Se la nascita del modello Azienda Zero può essere ricondotta alla mera necessità di produrre per il sistema le economie di scala derivanti dalla centralizzazione di alcuni processi meramente operativi e gestionali trasferiti dal livello operativo delle singole aziende ospedaliere e territoriali, le modifiche apportate nel tempo a queste così come le Aziende Zero istituite successivamente hanno aggiunto a quelle originarie funzioni ulteriori assimilabili in pieno a quelle facenti capo alle holding dei gruppi imprenditoriali privati.
Con le differenze del caso rispetto ai gruppi imprenditoriali, più formali per terminologia che sostanziali per logiche, le aree identificabili nel modello Azienda Zero sono quelle tipiche riconducibili: (i) alla funzione pre-programmatoria, intesa come sintesi strutturale e funzionale dell’attività di analisi e comparazione tra fabbisogni e risorse nel medio lungo periodo; (ii) alla gestione del quadro regolatorio finalizzato a dimensionare e tipizzare i canali di offerta in ragione della tipologia della domanda; (iii) alla gestione unitaria dei fattori produttivi in modalità diretta, per le risorse a valenza omogenea di natura e impiego, e indiretta, per quelle caratteristiche dei fabbisogni specifici dei soggetti operativi del gruppo aziendale.
Nello schema degli assetti istituzionali del sistema sanitario regionale standard, l’ingresso di Azienda Zero occupa uno spazio necessariamente ampio tra il livello politico, che viene a trovare un interlocutore unitario nella funzione di traduzione dell’indirizzo politico sanitario in linee programmatiche fatte di obiettivi qualitativi di sistema e quantitativi di servizio e di risorse, e quello delle aziende sanitarie, ospedaliere e territoriali, la cui mission aziendale viene ad essere focalizzata in via prioritaria e prevalente sulle funzioni di produzione e di erogazione piuttosto che su quelle di gestione dei processi di acquisizione delle risorse.
È il modello di Azienda Zero, con una vision poggiata su un’autonomia imprenditoriale e una mission orientata, in parte, al ruolo di prima leva di attuazione delle politiche sanitarie e, in parte, a quella di soggetto di servizio agli attori del sistema, che l’ultima nata - quella della Regione Calabria – ha inteso realizzare per approssimazioni successive e completamento in progress della sua disciplina. Il tutto nella convinzione di dover risollevare un sistema penalizzato più dalla carenza di organizzazione e metodologie che di qualità delle risorse professionali, dotandosi di strumenti di governo forti e strutturati piuttosto che continuando ad adottare rimedi straordinari e contingenti.
Leggi in riparazione
Per intanto, è da osservare che tra le Regioni che le hanno istituite, solo la Calabria, in una prima fase imitativa della lettera della legge veneta n. 19/2016, è corsa ai ripari.
Lo ha fatto non solo in relazione alla propria legge (n. 11/2004), vecchia di 18 anni, che ha determinato, di fatto, una rovinosa disciplina per quasi un ventennio, proprio per questo oggi in rottamazione.
Lo ha fatto relativamente a ciò che non andava nella legge regionale n. 32/2021 che ha istituto nel dicembre scorso l’ente di governance, la sua Azienda Zero. Al riguardo, ha infatti legiferato: l’attribuzione della autonomia imprenditoriale, piuttosto che le solite sei autonomie risalenti a prima del 1999; l’eliminazione dell’obbligo di rilascio di un anomalo visto di congruità da apporre su ogni genere di bilancio a cura del direttore generale del Dipartimento regionale della Salute; la cancellazione della sottomissione dell’esercizio delle sue funzioni al vertice burocratico dell’ente Regione, evitando così ogni impropria subordinazione di una azienda nata per fare meglio di quanto non ha funzionato per decenni.
Il prodotto della sua autonomia da chiunque, quella del modello Azienda Zero-holding, è il tema forte da servire a tavola dell’organo politico di riferimento - gli organi regionali (presidente e giunta) e commissario ad acta se nominato per sostituire i primi ex art. 120, comma 2, della Costituzione - perché finalmente esercitino e realizzino valide ed efficaci politiche sociosanitarie regionali.
Bene ha fatto in tal senso la Regione Veneto, che di sanità percepita è il migliore esempio da imitare, a prevederne ab origine (2016) l’utilità. Anche se in proposito residua il dubbio se sarebbe stato meglio nella sua evoluzione successiva integrare i compiti assegnati, magari espansi, con quelli propri di una Agenzia pensata e realizzata in modo propedeutico al completamento del criterio dell’aziendalizzazione.
L’anomalia calabra
In proposito, ci sarà ancora tanto da fare da parte delle Regioni che le hanno istituite e di quelle che hanno in animo di farlo. Tante le conflittualità da dirimere con il vecchio apparato legislativo di dettaglio e numerosi i punti da regolare meglio, alla luce soprattutto delle grandi differenze che esistono tra regioni, in termini di qualità dell’offerta salutare.
Al riguardo, la Calabria ha deciso di parcheggiare in officina la disciplina regolativa del proprio sistema sanitario regionale dopo avere rimesso a nuovo quella istitutiva di Azienda Zero.
Ciò al fine di mettere in preparazione una legge organica che, tenuto conto della sua penosa condizione erogativa dei Lea e della incapacità a rendere i conti da decenni del proprio operato tanto fa meritare un commissariamento che complessivamente subisce da circa 15 anni:
-andasse a riparare le disattenzioni legislative passate funzionali a consentire accessi a carriere manageriali altrimenti negate; introdurre criteri abilitativi inauditi di nomine a direttori generali aziendali che consentivano (e consentono) di organizzarsi la propria carriera futura; generare confusione sull’offerta ospedaliera attraverso il tutto e il contrario di tutto; sancire facilitazioni di approvazione dei bilanci aziendali per silenzio assenso; correggere gli errori che riconducevano la norma di dettaglio a principi fondamentali dello Stato vecchi di 12 anni, già puntualmente modificati dal legislatore statale da cinque anni prima (1999); riparare alle trascuratezze dei contenuti dell’assistenza distrettuale e tante altre cose che non meritavano affatto la disattenzione di cinque legislature e di quattro commissari ad acta;
-si proponesse la predisposizione di un testo legislativo organico di regolazione del servizio sanitario regionale, includendo in esso il perfezionamento della disciplina afferente all’Azienda Zero, del novellato sistema assistenziale distrettuale e di quello rinnovato dell’offerta ospedaliera, rispettivamente, al lordo degli istituiti Case e Ospedali di comunità e delle Cot e dell’esito della prevista fusione per incorporazione dell’azienda ospedaliera “Pugliese-Ciaccio” di Catanzaro nella Azienda Ospedaliere Universitaria da perfezionarsi con la denominazione “Renato Dulbecco”.
Azienda Zero: un modello da ripensare e fare evolvere
A parte la storica trascuratezza legislativa della Calabria, cui la stagione politica attuale ha detto finalmente basta, l’Azienda Zero, come idea apparentemente rivoluzionaria, è nata proprio male ovunque. Ciò è accaduto a causa degli errati presupposti giuridici fantasiosamente traditi, nell’originaria versione veneta acriticamente ripresa ovunque, da una concezione prevalentemente aziendalistica, peraltro fondata su criteri non affatto strumentali all’obiettivo di accentuare il miglioramento qualitativo dell’offerta pubblica, portati avanti con troppa facilità e senza pensare affatto alla mission erogativa della salute ai cittadini.
Per rimediare a tutto ciò, si renderà preliminarmente necessario generare un serio confronto tra quanto esplicitamente espresso nei principi fondamentali sanciti dal legislatore statale (legge 833/78 e vigente d.lgs. 502/92) - in materia di assegnazione delle competenze istituzionali assegnate alle Asl (denominate oggi come dir si vogliono) e alle Ao/Aou, regolate nel dettaglio nelle conseguenti leggi regionali - e quanto disciplinato dalle Regioni nella istituzione delle Aziende Zero.
La comparazione tra le norme complessivamente vigenti pone, infatti, una serie di interrogativi riferibili: alle specifiche funzioni esercitabili da queste ultime; alle sovrapposizioni più o meno apparenti da più parti rilevate tra i compiti assegnati alle Aziende Zero e quelle tradizionali attribuite alle aziende della salute; alla conflittualità nell’assunzione dei provvedimenti di programmazione di sua competenza con i doveri del decisore politico (Regione ovvero commissario ad acta, ove presente); alle incompatibilità sistemiche e agli incomprensibili interessi che appaiono unicamente diretti alla tenuta della contabilità piuttosto che ad assicurare una buona assistenza sociosanitaria all’utenza.
Rimane di sapere cosa si fa, nel frattempo
Per intanto, sono cinque le Regioni ad averla istituita (e tante altre in procinto di farlo) che, ancorché con l’esigenza di riportare, chi per un motivo chi per un altro, i rispettivi testi legislativi in officina, hanno la necessità di metterle in corsa, nel senso di renderle operative, così come ha fatto già la Liguria con la sua Alisa.
Stante l’esigenza di renderle efficacemente attive, occorre contribuire, in una logica collaborativa, a offrire una risposta agli anzidetti interrogativi, specie a quelli più ricorrenti, cui dare comunque da subito adeguate risposte.
• Cosa dovranno fare concretamente e come si interfacceranno con le aziende sanitarie e ospedaliere/universitarie. Prioritariamente assumere l’autonomia imprenditoriale, inconcepibilmente trascurata nonostante sancita nel 1999 (d.lgs. 229) per tutte le aziende del Ssn. Poi esercitare, il compito di prima inter pares nella governance regionale finalizzata alla gestione del Ssr. Al riguardo, le loro direzioni generali dovranno necessariamente essere collaborate da un organismo consultivo e segnatamente partecipativo (esempio veneto: Comitato dei Direttori generali di tutte le aziende della salute). Un organo aziendale strumentale alla definizione delle metodologie più idonee a rilevare i fabbisogni epidemiologici e a delineare la mappa dei rischi relativi presenti sul territorio regionale nonché ad esprimere l’esito della verifica dei monitoraggi effettuati in materia contabile, di politiche degli acquisti e di personale, di relazione con il pubblico, sui quali ultimi temi dovrà esprimere, sotto la presidenza del massimo burocrate regionale in materia di tutela della salute, il proprio parere obbligatorio.
Una tale previsione è, di fatto, dimostrativa della non sovrapposizione, da taluni spesso immotivatamente lamentata, delle Aziende Zero alle aziende territoriali e ospedaliere/universitarie, componenti il sistema sanitario regionale, che mantengono tutta la loro autonomia imprenditoriale. Le stesse, senza sottoposizione alcuna alle Aziende Zero, saranno organizzate in ossequio all’atto aziendale, programmeranno le loro attività secondo strumenti di pianificazione locale ed eserciteranno le politiche assunzionali e di gestione del personale, del contenzioso, di acquisto di beni e servizi, di bilancio, sia preventivo che consultivo e quant’altro. In buona sostanza, le medesime potranno contare, ciascuna sulla propria Azienda Zero di riferimento, quale ente tutorio - garante dell’unitarietà e egualitarismo erogativo dei Lea nonché della concentrazione dei bilanci - strumentale a concretizzare il passaggio ad una diversa configurazione del sistema della salute, eventualmente sempre più prossima alla agenzificazione.
• Come si porranno nel rapporto con la burocrazia regionale salutare. Il regime di raccordo con la burocrazia regionale rimarrà, sempreché non venga legiferato diversamente da quelli in vigenza, tale e quale a quello mantenuto dalle aziende della salute, fatta eccezione per la riassunzione delle competenze in esclusiva della redazione del bilancio di previsione e consuntivo afferente alla GSA e del bilancio consolidato preventivo e consuntivo del SSR, da sottoporre entrambi all’approvazione della Giunta regionale e, ove esistente, dal Commissario ad acta. Ovviamente tutto dipenderà dai regolamenti che, previsti in quantità considerevoli, saranno ritenuti indispensabili per conseguire una maggiore efficienza, efficacia, economicità e utilità del sistema rispetto a quello preesistente.
• Come si comporteranno con i decisori politici regionali e, ove ci sono (Calabria e Molise), con i commissari ad acta. Questo è uno dei temi più centrali della problematica, atteso che le disposizioni in vigenza scoprono il nervo più debole: quello della rappresentanza e del raccordo tra l’esercizio delle attribuzioni assegnate agli organi di governo regionale e quelle assegnate alla dirigenza ovvero ai titolari degli enti incaricati della gestione.
In proposito: ai primi continuerà ovviamente a persistere la titolarità di esercizio delle funzioni politico-amministrativo, funzionali a determinare gli obiettivi e la programmazione nonché a svolgere l’attività di controllo sulla gestione degli indirizzi impartiti; ai secondi, intendendo per tali le Aziende Zero, le stesse perfezioneranno la sintesi della attività gestionale resa dalle aziende della salute, in quanto tale assumeranno un ruolo di fondamentale coordinamento, monitoraggio e verifica delle attività gestorie esercitate da queste ultime, confrontandosi sul tema con il decisore politico. Un ruolo che, ben inteso, non sottrae alcun grado di autonomia alle aziende della salute né tampoco di sovrapposizione ovvero sostitutivo, sempreché vengano mantenuti in capo ad esse i più generali compiti di valutazione del proprio operato, tra questo quello dell’estimo delle performance del personale dipendente e dei soggetti accreditati da contrattualizzare ex art. 8 quinquies del vigente d. lgs. 502/92.
Una particolare attenzione meritano le Regioni commissariate ex art. 120, comma 2, della Costituzione. Un tema che a oggi riguarda solo la Calabria, atteso che il Molise non ha istituito alcunché. Ebbene, il tema non viene a porsi se non nel verso della stretta collaborazione, che è indispensabile che venga a materializzarsi, tra il binomio di nomina governativa, commissario e sub commissario, per pervenire ad una maggiore sintesi gestoria da assumere routinariamente per verificare gli obiettivi specifici assegnati all’organo commissariale da parte del Governo, di accompagno al suo mandato sostitutivo degli organi regionali, da valutare periodicamente ai severi Tavoli romani di verifica e monitoraggio quanto alla puntualità degli adempimenti.
* Università della Calabria e consulente Presidente Regione Calabria
** Università di Genova e General Manager Azienda Zero della Calabria
© RIPRODUZIONE RISERVATA