Aziende e regioni
Il sistema sanitario post pandemia? L'innovazione produce risparmi ma servono più risorse
di Francesco Cognetti *
24 Esclusivo per Sanità24
Ogni euro investito in studi clinici su farmaci innovativi ne genera quasi 3 (2,77) in termini di benefici per il Sistema sanitario. È il cosiddetto "effetto leva", determinato dai costi evitati per l’erogazione a titolo gratuito delle terapie sperimentali alle persone arruolate nei trial, interamente a carico delle aziende sponsor. Senza dimenticare le minori spese per ospedalizzazioni e il contributo che questi pazienti possono continuare a offrire al lavoro e alla società. L’innovazione terapeutica ha permesso di cronicizzare, migliorare la sopravvivenza e, in alcuni casi, di ottenere la guarigione in molte malattie, dai tumori alle patologie cardiovascolari, che fino a poco tempo fa erano prive di opportunità di cura. Ma i trattamenti delle malattie croniche più gravi stanno subendo un grave rallentamento per i ritardi nelle cure causati dal Covid-19. E lo stop più consistente si è registrato nei più anziani: nel 2020, rispetto al periodo pre pandemia (2019), il consumo di farmaci oncologici è diminuito del 7,2% negli 80-84enni e del 18% negli over 85. Ancora più rilevante il calo delle terapie attive sul sistema cardiovascolare (-10,9% negli 80-84enni, -21,2% negli over 85).
Il Covid-19 ha tenuto lontano per troppo tempo i cittadini, soprattutto anziani, dagli ospedali per timore del contagio, ma ora è concreto il rischio di annullare i progressi ottenuti in questi anni. La ricerca clinica è motore di sviluppo economico e sociale, con un contributo importante al recupero dell’attuale crisi sanitaria ed economica grazie alle potenzialità di partnership tra settore pubblico e privato. Ecco perché è necessario investire più risorse nell’innovazione, che è un cardine del "sistema Paese", soprattutto oggi alla luce delle conseguenze del Covid-19.
Al Sistema sanitario in Italia nell’era post pandemica e al ruolo dell’innovazione per ripartire è stato dedicato, al Senato, il convegno nazionale organizzato da Foce (Federazione degli oncologi, cardiologi e ematologi) e da Fondazione Insieme contro il cancro, con gli interventi, fra gli altri, di Giorgio Palù (Presidente Aifa) e Antonio Gaudioso (capo della segreteria tecnica del ministero della Salute), con il supporto incondizionato di BeiGene.
Il Pnrr, il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, prevede di riservare solo l’8,3% dei fondi alla sanità (18,6 miliardi su 222): 8,6 miliardi per l’aggiornamento tecnologico degli ospedali e la ricerca scientifica, sette per il potenziamento dell’assistenza sanitaria territoriale, uno per la telemedicina, uno per la sostituzione delle apparecchiature sanitarie, uno per la costituzione degli Ospedali di comunità. Questo non basta. È necessario investire su professioni spesso non valorizzate, tecnologie, discipline mediche e su una profonda revisione della governance. L’innovazione deve includere anche gli ospedali, finora non considerati dal Pnrr. La vita media di moltissimi nosocomi ha superato ogni limite plausibile. La modernizzazione ospedaliera richiede nuove tecnologie e apparecchiature, oltre ai sistemi di telemedicina già previsti dal finanziamento del Pnrr, che riguardino non solo gli Irccs ma l’intera rete dei grandi nosocomi.
Come ha affermato Saverio Cinieri (Presidente Aiom, Associazione Italiana di Oncologia Medica), in soli sei anni (2015-2021), in Italia, si è osservato un calo complessivo della mortalità per cancro del 10% negli uomini e dell’8% nelle donne, grazie alle nuove terapie e ai programmi di screening. Anche le persone vive a un quinquennio dalla diagnosi sono aumentate, oggi sono il 65% nelle donne e il 59% negli uomini. Negli anni Novanta questi valori erano pari, rispettivamente, al 55% e al 39%. Le patologie oncoematologiche spesso hanno fatto da apripista a terapie innovative, che sono state poi applicate anche in altri ambiti: oggi il 70% dei pazienti colpiti da tumori del sangue è vivo a 10 anni dalla diagnosi o può essere considerato guarito.
Da inizio pandemia (marzo 2020) a gennaio 2022, in Italia, l’eccesso di mortalità totale, rispetto alla media 2015-2019, è stato di 178 mila decessi, con gran parte del sovrannumero del 2021 osservato nel primo quadrimestre, quando la copertura vaccinale era ancora molto bassa (Istat-Iss).
Due terzi dei pazienti con mortalità da Covid hanno anche concomitanti malattie oncologiche, cardiologiche o ematologiche. L’emergenza causata dalla pandemia ha mostrato tutti i limiti del nostro Sistema Sanitario, evidenziando la carenza di posti letto di terapia intensiva e di degenza ordinaria e del numero complessivo di specialisti nei nostri ospedali nonché dei finanziamenti complessivi al Sistema sanitario nazionale, parametri tutti inferiori rispetto ai valori medi europei ed enormemente più bassi rispetto ai Paesi di maggiore rilevanza, come Francia e Germania. La sanità italiana negli ultimi decenni è stata falcidiata da tagli trasversali irrazionali ed irresponsabili. Tutti questi fattori sono stati determinanti nel favorire il tracollo delle attività ospedaliere in conseguenza della pandemia. E i dati sulla mortalità lo confermano. Nel 2020 il totale dei decessi per il complesso delle cause è stato il più alto mai registrato nel nostro Paese dal secondo dopoguerra: sono stati 746.146, 100.526 in più rispetto alla media 2015-2019. Dati allarmanti da ricondurre anche al progressivo rallentamento nell’assistenza ospedaliera causato dalla pandemia.
Nel 2021 il totale delle morti è risultato in diminuzione rispetto al 2020, anche se è rimasto su livelli molto alti: sono state 709.035, 37mila in meno rispetto al 2020 (-5,0%), ma 63 mila in più rispetto alla media 2015-2019.
Come ha spiegato Francesco Romeo (Segretario Foce e Presidente della Fondazione italiana cuore e circolazione Onlus), i ritardi accumulati nel 2020 sono stati solo in parte recuperati nel 2021, per questo si stanno annullando gli ottimi risultati ottenuti nella gestione delle malattie croniche, con conseguenze molto gravi, che già registriamo in patologie tempo dipendenti come quelle cardiovascolari. In un quarantennio (1980-2017) la mortalità per malattie ischemiche del cuore si è ridotta di quasi il 70%, quella per patologie cerebrovascolari di oltre il 70% e il contributo dei nuovi trattamenti è stato quello che più ha influito su questa tendenza. L’innovazione è la chiave di volta per ritornare ai livelli pre pandemia, ma servono interventi urgenti anche rivolti agli ospedali.
Come ha evidenziato Fabrizio Pane (Tesoriere Foce e Past President Società italiana di ematologia, Sie), l’ematologia oltre 20 anni fa ha aperto la strada all’oncologia di precisione con la prima terapia mirata, che ha cambiato la storia della leucemia mieloide cronica. I tumori del sangue più frequenti sono i linfomi, le leucemie e il mieloma multiplo, che ogni anno in Italia fanno registrare circa 30mila nuove diagnosi. Nella leucemia linfatica cronica, la forma di leucemia più frequente, oggi vi sono terapie mirate che consentono di controllare anche la malattia grave. E possiamo parlare di guarigione in neoplasie del sangue che, fino a poco tempo fa, avevano poche possibilità di cura, come il linfoma non Hodgkin aggressivo. Risultati ottenuti grazie alla frontiera più avanzata dell’immunoterapia, rappresentata dalle cellule Car T e dagli anticorpi bispecifici.
In oncologia, dove da aprile-maggio 2021 si era osservato un forte recupero delle diagnosi e degli interventi chirurgici posticipati, da dicembre 2021, con l’incremento dei contagi, si è assistito a una nuova e significativa riduzione delle nuove diagnosi (-8% 2021 rispetto al 2019), dei ricoveri per interventi chirurgici (-3%) e delle terapie (-13%), a causa della difficoltà di accesso agli ambulatori e ai reparti. Come ha affermato Pierfranco Conte (Presidente di Fondazione Periplo e Professore di Oncologia medica all’Università di Padova), oggi osserviamo tumori in stadi più avanzati, con un carico tumorale maggiore, cioè metastasi diffuse, e quadri clinici che non vedevamo da tempo. Vanno affrontate anche le conseguenze del blocco e del lento riavvio degli screening: gli esami effettuati tra gennaio 2020 e maggio 2021 si sono ridotti, rispetto al 2019, del 35,6% per il tumore della cervice uterina, del 34,3% per il colon retto e del 28,5% per mammella. E sono oltre 3558 le diagnosi mancate per il carcinoma del seno, circa 1376 quelle per il colon-retto (7763 adenomi in meno) e 3504 le lesioni precancerose della cervice uterina non individuate.
Il contributo più rilevante all’eccesso di mortalità del 2021, rispetto alla media del periodo 2015-2019, è dovuto all’incremento delle morti negli anziani: in totale sono decedute 455.170 persone di età pari o superiore a 80 anni (circa 46mila in più rispetto alla media del quinquennio 2015-2019). Come ha spiegato Roberto Bernabei (Presidente di Italia Longeva), un terzo degli over 65 utilizza 10 o più farmaci contemporaneamente. Ma il Covid ha fatto segnare un netto rallentamento dell’adesione alle terapie. Le conseguenze in termini di ospedalizzazione e mortalità durante le prime fasi della pandemia sono state estremamente serie per gli anziani. Il decremento maggiore nell’utilizzo di farmaci è stato osservato negli ultraottantenni, che hanno incontrato le maggiori difficoltà ad accedere alle cure. Le nuove prescrizioni, invece, hanno subito la contrazione maggiore fra i 65-69enni, perché è questa la fascia d’età in cui più spesso vengono formulate le nuove diagnosi di malattie croniche e intrapresi nuovi trattamenti farmacologici.
* Presidente di Foce (Federazione degli oncologi, cardiologi e ematologi) e di Insieme contro il cancro
© RIPRODUZIONE RISERVATA