Aziende e regioni
Giornata mondiale Aids, così la residenzialità dà dignità di vita ai pazienti
di Elisabeth Cendra *
24 Esclusivo per Sanità24
La Giornata mondiale contro l'Aids accompagna gli operatori e le organizzazioni sanitarie nazionali e internazionali ormai dal 1987 come occasione ormai consolidata per parlare di terapie, di accoglienza, di cultura della prevenzione.
Personalmente - sono responsabile delle Case Alloggio per malati di Hiv della Fondazione Maddalena Grassi di Milano - ogni anno mi domando: quale sarebbe il modo migliore per vivere e condividere i temi della Giornata mondiale contro l’Aids? Quali risposte siamo in grado di dare alle tante persone che vivono la malattia oggi circondate ancora da stigma, diffidenza, isolamento?
Mi rispondo sempre: noi operatori in prima linea non possiamo far altro che fare nel miglior modo il proprio lavoro implicandoci come professionisti e come persone con i bisogni di chi ha contratto il virus Hiv. E questo può accadere, è la nostra esperienza in una Fondazione che opera ormai da 30anni in questo delicato settore, anche con lo sviluppo di forme e modalità assistenziali insolite e forse coraggiose, dove lo sguardo umano all'altro (unito alle competenze assistenziali) diviene il vero baricentro della risposta ai bisogni.
Tra i primi in Italia ad aver preso l'iniziativa nell'ambito complesso e fragile dell'HIV, siamo partiti nel 1994 con una Casa Alloggio ad alta intensità. La Mission delle nostre Case Alloggio è stata chiaramente esplicitata all’interno del nostro Statuto: “accogliere e condividere il bisogno di chi soffre a causa della malattia in qualsiasi sua manifestazione, attraverso la promozione di capacità e forme di assistenza sanitaria domiciliare e ospedaliera, in tutte le sue specificazioni, perché rispettose della persona nella sua totalità”. Da quella prima Casa, altre ne sono seguite, sempre in una logica di attenzione alla totalità della persona.
Il rispetto degli standard organizzativi e gestionali sono declinati nella Convenzione con ATS Monza e della Brianza, che ci permette di garantire l’assistenza adeguata in ogni Casa Alloggio. Ma oltre agli essenziali aspetti organizzativi, assistenziali e formali, di una cosa siamo sempre stati certi: i nostri ospiti non sono l’AIDS, ma hanno una malattia che si chiama AIDS. La maggior parte di loro porta con sé due problemi forse ancora più stigmatizzanti della positività: da un lato quello di convivere con la discriminazione sociale e con il diritto (spesso negato) ad una vita che possa offrire ancora delle opportunità; dall'altro (e questo è aspetto ben più drammatico) quello di superare un'apatia esistenziale, un'inerzia umana nei confronti del senso e degli scopi della vita.
Qui sta probabilmente il coraggio di una intuizione nuova: abbracciare tutta la persona con le sue fragilità e i suoi punti di forza. Nelle nostre esperienze residenziali abbiamo cercato di lavorare per creare un ambiente bello, piacevole da vivere e rassicurante, in cui costruire rapporti adulti e autentici. L’equipe multidisciplinare della nostra Fondazione – formato da Medico infettivologo, Educatore, OSS, Infermiere Professionale, Fisioterapista, Psicoterapeuta, ed anche Capellano - scandisce i tempi della quotidianità che sono dedicati sia alla cura della persona che alla cura del luogo. I PEI (Progetti Educativi Individuali) sono condivisi con i nostri ospiti e con i servizi territoriali invianti e insieme si costruisce un “contratto” che ci porterà a scoprire quale possa essere il desiderio di vita, gli obiettivi, le aspettative, i desideri di relazione, le speranze. In alcuni casi questa spinta è molto latente, in altri la scoperta accade strada facendo tra operatori e persone con Aids. Le dinamiche all’interno delle Case non presentano nessuna differenza con quelle di una “famiglia numerosa” in quanto si ripetono le stesse modalità e gli stessi approcci che ritroviamo nella nostra vita quotidiana accompagnata da una marcata professionalità.
Ma c'è una differenza che abbiamo osservato negli anni: l’andamento della malattia dalla fine degli anni '80 (gli anni del dramma) ha registrato una notevole modifica, dovuta al progresso delle terapie e questo ha permesso il prolungamento della prospettiva di vita. Una vita che per tante persone-pazienti era da ricostruire e da riscoprire. Nel corso di questi anni le nostre Case sono passate da essere luoghi dove trascorrere con gran dignità gli ultimi giorni di vita ad ambiti dove potere esperimentare una dignità personale che va ben oltre la malattia. Così nel 2014 la FMG ha inaugurato due primi appartamenti di semi-autonomia nel territorio di Seveso e ad oggi gestisce (in sinergia con la Cooperativa Esserci) altre 2 strutture residenziali ( 10 posti c/u), 6 posti diurni e 5 appartamenti in semi autonomia con 7 posti letto.
Dopo avere vissuto queste trasformazioni, la nostra Fondazione ha deciso di "rischiare" avviando un altro progetto di autonomia che potesse vedere i nostri ospiti al centro di una esperienza unica come la “ripresa della propria esistenza”: nel mese di dicembre infatti verrà avviata l'esperienza di un edificio completamente autonomo, composto di due bilocali su due piani all’interno di una villetta con giardino, per persone con Hiv nel territorio di Seveso. Dico "rischio" non perché le persone assistite vengono gettate allo sbaraglio: nessuna assistenza infatti è a loro privata. Il “rischio” è tutto della nostra Fondazione e Cooperativa Esserci perché tutti questi progetti di semi o totale autonomia non sono supportati da nessun riconoscimento né economico né istituzionale, ma è sostenuto con proprie risorse . Sarà uno dei primi esempi di quotidianità in totale autonomia per persone con Hiv, nell'assoluto rispetto dei protocolli assistenziali e sociali. Nella Giornata mondiale dell'AIDS questa è una piccola vittoria: persone, operatori e strutture che insieme disegnano una nuova socialità. Anche così si vince la paura. Anche così si costruisce il presente e non ci si rassegna di fronte alla malattia.
* Responsabile Case alloggio Hiv Fondazione Maddalena Grassi di Milano
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