Aziende e regioni
Fondi integrativi, serve un riordino
di Nino Cartabellotta (presidente Fondazione Gimbe)
Laspesa sanitaria si compone di due macro-categorie: spesa pubblica e spesa privata che include quella intermediata, da fondi sanitari integrativi (Fsi) o da polizze assicurative, e la spesa out-of-pocket, direttamente sostenuta dai cittadini. In linea con queste categorie di spesa il Dl 502/1992 aveva individuato tre pilastri per sostenere la sanità: il Ssn, basato sui princìpi di universalità, equità e solidarietà; la sanità collettiva integrativa e la sanità individuale, attraverso polizze assicurative.
Questo modello era basato su tre assunzioni fondamentali: il finanziamento pubblico garantisce i livelli essenziali di assistenza, la sanità collettiva integrativa copre solo prestazioni non essenziali e ogni cittadino è libero di stipulare polizze assicurative individuali. Nell’ultimo decennio, tuttavia, la combinazione di fenomeni concomitanti ha sancito il fallimento di questo modello: infatti, il primo pilastro è stato fortemente indebolito dalla progressiva e imponente riduzione del finanziamento pubblico, con erogazione dei Lea insufficiente e non uniforme a livello nazionale; il secondo pilastro non è stato adeguatamente rinforzato; infine, complice una governance inadeguata del terzo pilastro, l’espansione delle assicurazioni private aumenta le diseguaglianze sociali, minando le basi di un Ssn pubblico, equo e universalistico.
Pertanto, se oggi il modello universalistico del Ssn vive una profonda crisi di sostenibilità e il Def 2017 non lascia alcuna speranza sul possibile incremento del finanziamento pubblico, è indifferibile reperire risorse dal secondo e terzo pilastro senza compromettere il modello di un Ssn pubblico per evitare di scaricare interamente sui cittadini le minori tutele pubbliche.
In tal senso, l’immobilismo legislativo ha generato un inaccettabile paradosso: se i riferimenti normativi non permettono al secondo pilastro (Fsi) di coprire prestazioni incluse nei Lea per non entrare in “concorrenza” con il Ssn, molte di queste prestazioni oggi possono essere sostenute dal terzo pilastro (polizze assicurative), che si sta insinuando tra le incertezze istituzionali e le minori tutele pubbliche, rischiando di trasformare silenziosamente, ma inesorabilmente, il modello di un Ssn pubblico, equo e universalistico in un sistema misto.
A fronte di questa minaccia, il riordino normativo della sanità integrativa e la governance su scala nazionale dell’intermediazione assicurativa continuano a non rappresentare una priorità politica, mentre occorrerebbe intervenire urgentemente visto che l’attuale legislazione frammentata e obsoleta ha generato una totale deregulation che contribuisce a minare il Ssn. Ecco perché è arrivato il momento di avviare una discussione costruttiva mettendo da parte timori ingiustificati (ritorno alle mutue, rischio di aumentare il consumismo sanitario, introduzione di elementi di sperequazione sociale) e ripartendo da un punto fermo: per rallentare l’aumento inesorabile della spesa out-of pocket e la rinuncia alle cure da parte delle fasce più deboli, è necessario ridurre le prestazioni incluse nei Lea secondo una logica evidence - & value-based e reperire al tempo stesso risorse dalla sanità integrativa. Questo richiede inevitabilmente la definizione di un Testo Unico per tutte le forme di sanità integrativa, volto a superare una legislazione frammentata e obsoleta e a creare un impianto regolatorio capace di garantire a tutti gli operatori del settore le condizioni per una sana competizione, ma soprattutto di assicurare una governance nazionale e tutelare il consumatore e, evitando derive consumistiche e di privatizzazione.
A tal fine, nel 2° Rapporto sulla Sostenibilità del Ssn, la Fondazione Gimbe ha formulato specifiche proposte finalizzate ad avviare un confronto costruttivo tra le varie categorie di stakeholders:
- ridefinire le tipologie di prestazioni, essenziali e non essenziali, che possono essere coperte dalle varie forme di sanità integrativa, evitando duplicazioni e consumismo sanitario;
- realizzare un pilastro unico di sanità integrativa, la cui attuale distinzione è diventata anacronistica per varie ragioni: innanzitutto, il rischio di impresa dei Fsi è gestito in oltre il 40% dei casi da assicurazioni private; in secondo luogo, il campo d’azione dei Fsi è limitato solo a prestazioni non essenziali (extra-Lea), mentre di fatto le polizze assicurative possono coprire tutte le prestazioni; infine, i benefici fiscali tra secondo e terzo pilastro sono estremamente diversi e i loro costi vengono spalmati sulla collettività, anche se i beneficiari sono gruppi limitati di lavoratori;
- definire un’anagrafe nazionale unica di Fsi e assicurazioni private, identificando requisiti di accreditamento validi su tutto il territorio nazionale e rendendone pubblica la consultazione, sia a fini di analisi dei dati, sia per offrire ai cittadini in maniera trasparente le opportunità offerte dalla sanità integrativa;
- regolamentare sia il rapporto tra finanziatori privati ed erogatori privati accreditati, sia le campagne pubblicitarie delle assicurazioni, al fine di evitare pericolose alleanze e derive consumistiche nell’offerta delle prestazioni sanitarie;
- affidare anche agli enti pubblici (Regioni, Inps) la gestione della sanità integrativa per offrire a tariffe calmierate e competitive un range di servizi socio-sanitari garantiti ed erogati sotto la vigilanza e la responsabilità pubblica;
- coinvolgere forme di imprenditoria sociale, cogliendo tutte le opportunità offerte dalla riforma del terzo settore.
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