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Pronto soccorso promosso con riserva: quei gap da colmare tra organizzazione e cura del paziente. Indagine Tdm-Simeu
di Barbara Gobbi
24 Esclusivo per Sanità24
Oltre due giorni d’attesa nel 38% dei Dipartimenti di emergenza e accettazione di II livello (i più complessi) e nel 20% dei Pronto soccorso, per ottenere un posto letto. Attesa massima fino a 7 giorni (168 ore) in Osservazione breve intensiva, la più grande innovazione organizzativa degli ultimi anni nelle strutture d’emergenza, necessaria per stabilizzare e gestire i flussi di pazienti ma ancora presente solo per l’80% delle strutture monitorate al Nord e circa il 70% al Sud. Ancora: poca attenzione al tema del dolore, con appena il 60% dei pronto soccorso del campione (circa 100 su 660 totali in Italia) che dimostra oggi una reale attenzione al problema, con procedure standardizzate oppure addirittura con adozione di linee guida. Pochi spazi di attesa attrezzati per i bambini: sono a zero nei Pronto soccorso “semplici”, arrivano appena al 36% al nei Dea di I livello e scendono di nuovo al 29% nei Dea di Ii livello. Ancora: bagni per lo più in comune per uomini e donne, barriere architettoniche ancora insormontabili per gli ipovedenti e materiale informativo assente sulle prestazioni soggette a pagamento dei ticket e modalità di accesso, in circa una struttura su quattro.
Il Pronto soccorso made in Italy è lo specchio della sanità pubblica italiana. I pazienti giudicano nel complesso “buona” l’assistenza sanitaria ricevuta, ma restano grossi buchi sia dal punto di vista organizzativo che da quello dell’accoglienza. È quanto emerge dal rapporto “Lo stato di salute dei Pronto soccorso italiani”, presentato oggi all’Ospedale San Giovanni Addolorata dopo un’indagine condotta “a quattro mani” dal Tribunale per i diritti del malato di Cittadinanzattiva e dalla Società italiana della medicina di emergenza-urgenza (Simeu). La rilevazione è stata svolta tra il 16 maggio ed il 30 novembre 2015: attivisti di Cittadinanzattiva, referenti Simeu, pazienti e familiari, hanno contribuito su tutto il territorio nazionale a “fotografare” la situazione dei Pronto soccorso, attraverso un questionario rivolto a familiari e pazienti, diviso in due schede, una griglia di osservazione civica elaborata da Tdm, l'altra tecnica predisposta da Simeu, incentrato sull'organizzazione dei Dipartimenti di emergenza-urgenza, sulla presenza di servizi e di procedure formalizzate che mettano il cittadino al centro del sistema per una sempre più efficace umanizzazione delle cure. Il focus a 360° ha riguardato tutti gli ambiti con cui un ciottadino si confronta nel suo approccio all’emergenza: dall’attenzione alla privacy e alla riservatezza; dalle procedure di comunicazione tra struttura sanitaria, operatori e familiari a, come detto, l’attenzione al dolore in tutte le tappe del percorso. Fino alla presenza di percorsi dedicati per le persone fragili o di spazi dignitosi dedicati al fine vita. Altra nota dolente: gli spazi per malati terminali sono ancora fermi al 13% nei Ps, al 36% nei Dea di I livello e al 45% nei Dea di II livello. Un gap drammatico, venuto alla ribalta in questi giorni con il caso del paziente deceduto all’ospedale San Camillo-Forlanini di Roma «dopo 56 ore, passate interamente in pronto soccorso, nonostante fosse malato oncologico terminale, nella sala dei codici bianchi e verdi, ovvero i casi meno gravi», come ha denunciato il figlio in una lettera alla ministra della Salute Beatrice Lorenzin che ha inviato una task force per verificare la situazione.
Un tema su cui come su molti altri emersi dal Rapporto, bisognerà lavorare intensamente, anche dal punto di vista della formazione e del coinvolgimento attivo dei pazienti. «È di fondamentale importanza – dichiara Maria Pia Ruggieri, presidente Simeu - che medici, infermieri e pazienti con i loro familiari si sentano dalla stessa parte nella tutela e nella promozione dei servizi del servizio sanitario nazionale a partire proprio dall'emergenza, per il rafforzamento di una responsabilità collettiva verso il bene pubblico e di un forte senso di cittadinanza comune: questo è il significato ultimo del monitoraggio e della Carta dei diritti che abbiamo condiviso con il Tdm». Mentre il coordinatore nazionale del Tdm-Cittadinanzattiva Tonino Aceti ricorda che «il Pronto soccorso rappresenta per i cittadini un punto di riferimento irrinunciabile e nel quale nutrono fiducia. È necessario però investirci e migliorarlo per renderlo più accessibile e umano. Si inizi adottando in tutte le strutture la Carta dei Diritti al Pronto Soccorso e rispettando le leggi: va garantita in tutti i Ps l’attivazione di letti di Osservazione breve intensiva previsti dal Decreto 70 del 2015 sugli standard ospedalieri, ancora oggi non disponibili in tutti gli ospedali. C’è bisogno di una migliore e più trasparente gestione dei posti letto per evitare affollamenti, il sovraccarico del personale e garantire la dignità delle persone. È grave infatti che solo il 45% dei Dea I livello abbia conoscenza in tempo reale dei posti letto disponibili nei reparti di tutta la struttura. Chiediamo che la presenza del familiare sia un diritto e non un favore da chiedere di volta in volta. E si lavori ancora sui fondamentali che oggi scontati non sono: sapone, carta igienica, bagni separati e per le persone con disabilità, barriere sensoriali, informazione al paziente e ai suoi familiari, rispetto della riservatezza e della privacy, attenzione al dolore e alla sofferenza». Infine, un richiamo alle responsabilità del territorio sulla cui riorganizzazione, come ha ricordato il coordinatore degli assessori alla Sanità Antonino Saitta, «stiamo conoscendo una battuta d’arresto malgrado il riordino basato su Aft e Uccp previsto nel Patto per la salute del luglio 2014. Colpa, anche, di un federalismo “anarchico” e spesso mal interpretato. Dove le Regioni, come in Piemonte, si sono attivate con la piena applicazione del Dm 70 e con l’avvio delle Uccp, i pazienti al territorio si rivolgono».
«Siamo stupiti - ha chiosato Aceti - che la ministra Lorenzin alla vicenda del San Camillo abbia inviato gli ispettori solo nella struttura ospedaliera, che pure ha delle responsabilità, e
non invece sul territorio, dal momento che proprio la medicina territoriale, a partire dall'assistenza domiciliare, è risultata del tutto assente. Il punto è che un malato oncologico terminale in pronto soccorso non dovrebbe arrivarci proprio poiché dovrebbe essere preso in carico dall'assistenza domiciliare e dai servizi sul territorio. Il grande problema - ha concluso Aceti - è che c’è un’enorme inadeguatezza organizzativa e di gestioni dei servizi». Affermazione confermata dai dati emersi dal report: un cittadino su 4 viene inviato in Pronto soccorso dal Mmg (il 26% nei Ps, il 23% nei Dea di I livello, il 25% nei Dea di II livello).
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