Medicina e ricerca

L’impatto sottovalutato delle infezioni fungine in ospedale

di Pierluigi Viale

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24 Esclusivo per Sanità24

Una vera emergenza sanitaria. Come sottolineato anche dall’Organizzazione mondiale della sanità, le infezioni fungine, specie quelle correlate all’assistenza, possono mettere a repentaglio la vita dei pazienti. Nonostante questo, sono spesso sottovalutate e il loro impatto non è sufficientemente compreso né dall’opinione pubblica né, spesso, dal personale sanitario. Si tratta di infezioni molto più frequenti di quanto si pensasse in passato e non confinate all’ambito dei pazienti gravemente immunodepressi; sono altresì difficili da diagnosticare sia dal punto di vista clinico sia microbiologico. Infine, il nostro armamentario terapeutico è piuttosto limitato e lo sviluppo allarmante di resistenze ai farmaci più comunemente usati, rischia di ridurne ulteriormente l’efficacia.
Da tutte queste considerazioni è nata l’esigenza di valutare la diffusione delle malattie correlate ai principali patogeni fungini circolanti nelle strutture ospedaliere italiane. Una prima valutazione viene dallo studio osservazionale retrospettivo Charter-Ifi condotto su un ampio denominatore di dati amministrativi relativi al periodo 2012-2023 realizzato da un gruppo italiano di ricercatori, con il contributo di Gilead Sciences e pubblicato su Mycoses. una delle riviste di settore più importanti.
I dati dimostrano che Cryptococcus neoformans, Aspergillus fumigatus, Candida albicans e più specie di Candide non albicans, i funghi indicati dall’Oms come maggiormente pericolosi, sono i più diffusi nei reparti di terapia intensiva italiana e contribuiscono all’aggravarsi delle condizioni dei pazienti. Lo studio ha il suo punto di forza nelle dimensioni: sono stati infatti analizzati oltre 185.000 ricoveri in terapia intensiva, riferiti a un campione di popolazione di 10.000.000 di residenti in un lasso temporale di meno di due anni. Pur trattandosi di uno studio retrospettivo su database amministrativo, metodologia che tende a sottostimare le dimensioni delle variabili ricercate, emergono valori di prevalenza molti significativi, a dimostrazione che il problema delle infezioni fungine invasive in terapia intensiva è tutt’altro che un argomento di nicchia.
I risultati dimostrano che candidiasi invasiva, aspergillosi e pneumocistosi sono le infezioni più diffuse fra i pazienti ricoverati in terapia intensiva, in accordo quanto riportato a livello europeo. A essere colpiti sono soprattutto pazienti di sesso maschile, con età media 68 anni, con fattori di rischio associati. Tra questi sono stati rilevati ipertensione, trattamento con antibiotici sistemici, tumori, diabete o malattia cardiovascolare. È emerso inoltre che l’infezione fungina allunga il tempo di ospedalizzazione e concorre al rischio di morte. Fra tutti i dati analizzati, quelli riferiti al periodo pandemico (2020-2022) evidenziano come una elevatissima percentuale di pazienti con Covid ricoverati in terapia intensiva abbia sviluppato una sovrainfezione da Aspergillus (Capa), che si è associata ad un prolungamento del tempo di ospedalizzazione e un aumento del rischio di morte. Questo dato è di particolare impatto clinico ed epidemiologico, perché ripropone il tema della associazione Aspergillosi invasiva e patologie respiratorie virale, recentemente dimostrata anche per l’influenza.
Lo scenario che emerge dallo studio indica quindi che il problema delle infezioni fungine invasive non è limitato alle grandi organizzazioni sanitarie e che l’attenzione a questi patogeni deve essere diffusa su tutto il territorio: ogni ospedale dovrebbe avere la possibilità di fare diagnosi, o direttamente o riferendosi a centri di riferimento, in un contesto organizzativo che dia a tutti la possibilità di accedere agli strumenti diagnostici, alla consulenza infettivologica e alle risorse terapeutiche migliori. Al momento combattiamo questo problema grazie a tre classi di farmaci (azoli, echinocandine e polieni) e un analogo proteico con indicazioni limitate (flucitosina); un numero veramente modesto se comparato alle risorse anti-batteriche. Vi è una ampia pipeline di farmaci in sviluppo, che speriamo possano essere disponibili nel prossimo quinquennio, a patto però che lo sviluppo clinico e i finanziamenti alla ricerca procedano con la celerità con cui tali infezioni stanno diventando un problema di sanità pubblica.

* Università di Bologna Sant’Orsola Malpighi


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