Lavoro e professione

Tecnici o dirigenti sanitari: necessaria una legge organica e strutturata sul personale delle Arpa

di Stefano Simonetti

S
24 Esclusivo per Sanità24

L’Agenzia Regionale per la Protezione dell‘Ambiente (in acronimo ARPA) è un ente con personalità giuridica di diritto pubblico, dotato di autonomia tecnico-scientifica, amministrativa e contabile, costituito e operante in ciascuna delle Regioni italiane. Le 19 ARPA regionali, le due APPA delle province autonome di Trento e Bolzano e l’ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) compongono attualmente il Sistema Nazionale per la protezione dell’Ambiente (SNPA) istituito dalla legge 132/2016. Le ARPA contribuiscono a garantire l’erogazione dei LEPTA (i LEA per l’ambiente), in conformità all’art. 117, comma 2, lettera m) della Costituzione. Le ARPA fanno parte del comparto del personale del S.s.n. fin dal CCNQ del 2.6.1998 (norma transitoria nell’art. 6, comma 2, con la quale al personale delle neonate ARPA veniva applicato il contratto della Sanità).

Le ARPA sono state istituite a seguito di uno degli 8 referendum abrogativi del 18 e 19 aprile 1993, riguardante alcune parti della legge n. 833/1978. Alla domanda se i cittadini volevano che dell’ambiente non si occupasse la USL (allora non ancora trasformata in azienda) gli italiani risposero praticamente con un plebiscito: percentuale di SI = 82,57% con una affluenza del 76,85%. Con il senno di poi quella stagione di ossessivo ricorso allo strumento del referendum abrogativo ha insegnato parecchie cose sulla affidabilità della volontà popolare.

Di conseguenza e in applicazione della decisione referendaria, venne approvata la legge n. 61/1994, di conversione del terzo decreto-legge 496/93, che istituiva l’ANPA e demandava alle Regioni l’istituzione di “apposite Agenzie” per la tutela dell’ambiente. Contestualmente avvenne la traslazione degli ex Presidi Multizonali della Prevenzione, a loro volta ex Laboratori Provinciali di Igiene e profilassi. La ricordata ANPA è successivamente divenuta APAT e, finalmente, ISPRA nel 2008.

Si detto che dal punto di vista della contrattazione collettiva le ARPA sono collocate nel comparto del S.s.n. ma, rispetto al personale delle aziende ed enti del Servizio sanitario nazionale, alcune clausole contrattuali e interi istituti normo-economici risultano difficili da applicare per la peculiarità delle Agenzie e per la loro non del tutto completa assimilazione alle altre amministrazioni presenti nel comparto. In particolare, sono presenti due profili – uno nella dirigenza e uno nel comparto – che da anni non riescono a trovare una sistematizzazione che sia coerente, da un lato, con le esigenze funzionali e organizzative delle Agenzie e, dall’altro, con le regole contrattuali generali. Si tratta del Dirigente ambientale e del Collaboratore tecnico-professionale con lauree di matrice sanitaria. La prima figura ha subito delle vicende paradossali nella tornata contrattuale 2016-2018, con equivoci e strumentalizzazioni di ogni tipo. Allo stato, tuttavia, un minimo di chiarezza esiste: il Dirigente ambientale fa parte del ruolo tecnico e, unitamente agli altri 7 profili dei ruoli professionale, tecnico e amministrativo, è collocato nell’Area delle Funzioni locali, sezione specifica per la dirigenza PTA. Questo non vuol dire che per il Dirigente ambientale non sussistono problemi – l’art. 72 del CCNL del 17.12.2020 non disciplina praticamente nulla - ma almeno un “minimo” di linearità è stata raggiunto. La seconda figura è invece tuttora nel caos e le soluzioni contrattuali e istituzionali vengono di continuo aggredite da una costante giurisprudenza. Per comprendere meglio le criticità di questo profilo è necessario ripercorrere la sua genesi.

Quando nel 1999 le parti negoziali introdussero nel contratto collettivo all’interno della Categoria D i nuovi profili del Collaboratore tecnico-professionale e del Collaboratore amministrativo-professionale intendevano perseguire diverse finalità. Da un lato lo split operato sulla figura del tradizionale Collaboratore amministrativo consentiva una copertura più qualificata e specifica di molte attività istituzionali che negli anni avevano subito una evoluzione complessa e profonda. E così, secondo le esigenze organizzative e funzionali delle aziende ed enti, il primo profilo afferiva ai settori tecnico, informatico e professionale mentre il secondo poteva essere individuato - oltre che nel settore amministrativo - anche nei settori statistico, sociologico e legale. Il secondo obiettivo, più latente ma sicuramente perseguito, era quello di una razionalizzazione della spesa perché nei settori sopra citati non sempre risulta indispensabile assumere un “dirigente” quando l’attività lavorativa richiesta è squisitamente professionale: era il caso dell’avvocato, dell’ingegnere, dell’architetto, dell’informatico, del sociologo che risultavano indispensabili alla line aziendale senza però la configurazione giuridica e le prerogative della dirigenza, alla stregua del rapporto esistente da sempre tra Dirigente amministrativo e Collaboratore amministrativo.

Come appare evidente, nelle declaratorie allegate al citato CCNL del 7.4.1999 non si fa riferimento ad un “settore sanitario” per il semplice motivo che le nuove denominazioni del Collaboratore mutuavano gli aggettivi dai ruoli professionale, tecnico e amministrativo ma non citavano il ruolo sanitario in quanto per le professioni sanitarie era ben presente e radicata la dirigenza sanitaria articolata in otto profili: medico, veterinario e odontoiatra (nella ex Area IV) e biologo, chimico, fisico, psicologo e farmacista (nella ex Area III). Ciò non di meno molte sono state da allora le assunzioni di biologi ed altre professioni sanitarie nel profilo di Collaboratore tecnico-professionale, motivate senz’altro dalla seconda delle ragioni che ho sopra ricordato. Tale anomalia si è riscontrata, più che nelle aziende sanitarie, negli altri enti del comparto del S.s.n. e, soprattutto, nelle ARPA. Infatti, l’art. 50, comma 2, del CCNL del 20.9.2001 costituisce proprio una “Norma speciale per le ARPA” in cui si afferma che: “con riferimento ai profili di collaboratore tecnico professionale e di collaboratore tecnico professionale esperto le A.R.P.A., in relazione ai propri settori di attività e tenuto conto dell’autonomia regolamentare in tema di reclutamento del personale, possono prevedere, tra i requisiti di accesso, anche ulteriori corsi di laurea oltre quelli indicati per i succitati profili dalle declaratorie allegato n. 1 al presente contratto”. Ed esattamente così è stato fatto, cioè si sono assunti centinaia di collaboratori con lauree diverse in piena ottemperanza alle clausole contrattuali che, peraltro, non fornivano indicazioni vincolanti nemmeno per le lauree afferenti agli altri settori.

Nelle Agenzie per la protezione dell’ambiente, esiste ormai dal 2018 un contenzioso fra tutti i lavoratori inquadrati come Collaboratori tecnico-professionali, in particolare i laureati chimici, fisici e biologi che sono, per la legge 3/2018, cosiddetta “Lorenzin”, professioni sanitarie e non tecniche. Sulla base di numerosa giurisprudenza consistente in almeno 10 sentenze favorevoli, ma soprattutto delle sentenze del Consiglio di Stato, sez. IV, n. 5167 del 7 luglio 2021, n. 5195 dell’8 luglio 2021 e la successiva n. 126 del 12.1.2023, il giudice amministrativo ha ribadito più volte che l’inquadramento contrattuale dei CTP sanitari nelle ARPA è illegittimo. Queste le parole precise utilizzate dai Giudici di primo grado, confermate in appello: “la disciplina di legge e la contrattazione collettiva relative al Comparto sanità - di cui fa incontestabilmente parte il personale delle ARPA - annoverano la figura professionale del biologo all’area della dirigenza sanitaria; non è più configurabile il profilo di collaboratore tecnico professionale - biologo - categoria D, in quanto, a seguito della riforma introdotta con il d.lgs. n. 502 del 1992, la contrattazione collettiva non prevede più, nell’allegato I, recante le Declaratorie delle categorie e profili, nella categoria D, collaboratori professionali sanitari, personale tecnico sanitario, la figura del biologo”. La problematica riguarda circa 1.500 dipendenti per i quali, allo stato, non esiste soluzione.

Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 5167/2021, ha annullato un bando di concorso pubblico per titoli ed esami a n. 1 posto di collaboratore tecnico professionale – biologo – categoria D, indetto dall’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente della Basilicata (ARBAB). Il ricorso è stato presentato - e vinto – al TAR in primo grado dall’ANAAO, sindacato medico nel quale nel 2010 è confluito lo SNABI, lo storico sindacato professionale dei biologi. Sostanzialmente la ricorrente iniziale ritiene che per l’assunzione di laureati in biologia l’unico profilo da utilizzare sia quello di dirigente biologo del ruolo sanitario, soprattutto alla luce delle disposizioni introdotte dalla legge 3/2018.

Il punto di maggiori perplessità, a mio parere, è quello del sillogismo tra l’appartenenza ad una professione sanitaria e il riconoscimento automatico del profilo dirigenziale, basato soltanto sulla circostanza che la legge Lorenzin “ha espressamente annoverato i biologi fra le professioni sanitarie, confermando l’esistenza di un inquadramento a livello della legislazione primaria che non può essere disatteso né dalla contrattazione collettiva né tanto meno da atti amministrativi”. Non esiste in tal senso una sola disposizione legislativa inequivocabile che faccia ritenere che lo svolgimento della professione di biologo o chimico comporti automaticamente l’attribuzione della qualifica dirigenziale; certamente non l’art. 16-quinquies del d.lgs. 502/1992, richiamato dalla giurisprudenza amministrativa.

Venendo ai contenuti della sentenza 5167/2021, ad esempio, mai nella pronuncia del Consiglio di Stato si accenna alla circostanza che, quando venne provvisoriamente istituito nel 2005 il profilo di dirigente ambientale, il profilo di dirigente sanitario biologo o chimico è stato collocato ad esaurimento, con la conseguenza che attualmente le Agenzie per ricoprire le funzioni specifiche devono assumere dirigenti ambientali non essendo più consentito – come affermato acriticamente nella sentenza - il ricorso alla figura del Collaboratore tecnico professionale del Comparto. Tuttavia, se si passa ad esaminare il profilo del Dirigente ambientale, si rilevano notevoli problematiche, tutte ad oggi irrisolte.

Non a caso lo stesso Consiglio di Stato ha riconosciuto “che la presente controversia scaturisce da una sorta di “disallineamento” del quadro normativo generale a seguito dell’istituzione delle Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente e del loro scorporo dal Servizio sanitario nazionale”. Non si può, inoltre, non rilevare come i Giudici abbiano affermato una inesattezza perché le ARPA non si sono mai “scorporate” dal S.s.n. per il semplice fatto che non ne hanno mai fatto parte. Un’altra inesattezza è quella in cui si afferma che “la contrattazione collettiva non prevede più …. nella categoria D, collaboratori professionali sanitari, personale tecnico sanitario, la figura del biologo”, banalmente perché non l’aveva prevista nemmeno nel 1999. E, in punta di precisione, la sentenza contiene un ulteriore abbaglio allorquando nel punto iii) del paragrafo 8.4 (che, in realtà, se si conta correttamente è l’8.6) sostiene che “a questa nuova dirigenza si applicano le norme del d.lgs. n. 29 del 1993 e specificamente l’art. 26”, norma che è riservata ai dirigenti dei ruoli professionale, tecnico e amministrativo e non al ruolo sanitario. In conseguenza dei giudicati amministrativi i concorsi per CTP nel comparto sono stati sostanzialmente bloccati ma pochi mesi fa due ARPA hanno bandito ugualmente dei concorsi, nonostante la giurisprudenza piuttosto consolidata.

Insomma, tutti sono stati solleciti e zelanti riguardo a “quello che non si deve fare” ma nessuno – a nessun livello istituzionale - prende fattivamente l’iniziativa rispetto a “quello che si deve fare”, cioè una legge organica e strutturata sul personale delle ARPA che è l’unica soluzione praticabile, anche in relazione al necessario rifinanziamento. La problematica è nata male ed è proseguita peggio e su di essa insistono troppe riserve mentali, troppe intenzioni opportunistiche da entrambe le parti, troppi insormontabili macigni finanziari (per dirne uno, l’indennità di esclusività del rapporto). La riprova di questa confusione ricorrente è lo stesso ultimo CCNL del 2.11.2022 del comparto, laddove è stata del tutto elusa la direttiva del Comitato di settore che nel proprio Atto di indirizzo del 2.8.2021 concludeva nell’ultimo capoverso che “Il contratto dovrà, infine, individuare le migliori soluzioni, anche considerando i lavori della commissione paritetica per la revisione dei sistemi di classificazione professionale costituita in sede Aran, al fine di cogliere le specificità delle Agenzie per la protezione dell’ambiente”. Le parti negoziali hanno ottemperato a questa indicazione con la norma di cui all’art. 37 che – oltre ad avere una collocazione impropria - non entra minimamente della problematica e lascia ancora una volta irrisolta la questione.

Verosimilmente l’indicazione del Comitato di settore è stata ignorata perché proprio il giorno della sua redazione è stata depositata la sentenza del Consiglio di Stato più volte citata in questa sede. Le questioni sopra rappresentate sono estremamente complesse e a confondere ancora di più le idee è arrivato il Comitato di Settore che il 6 ottobre 2022 ha diramato l’Atto di indirizzo per il rinnovo del contratto 2019-2021 dell’Area della Sanità. Nel paragrafo 5 viene citato il Dirigente ambientale, tematica assolutamente incomprensibile in quel contesto perché tale figura appartiene al ruolo tecnico ed è disciplinata nell’art. 72 del CCNL dell’Area delle Funzioni locali.

L’inquadramento normo-economico dei CTP biologi, chimici e fisici sembra, come ampiamente descritto, una babele normativa, con l’aggravante che nella quotidianità delle funzioni svolte da questo personale si rilevano specifici e delicati aspetti di criticità, come i seguenti:

•Un primo elemento di confusione è sicuramente dato dalla assoluta indeterminatezza dei mansionari sia riferibili ai ruoli sanitari o tecnici in stretta correlazione alle specifiche contenute nelle sezioni A e B di cui al DPR 328/2001. Con la mancanza di mansionari certi con le corrispondenti responsabilità (ed i relativi inquadramenti giuridici) sembrerebbe che, nell’ambito operativo delle ARPA, le attività siano praticamente tutte interscambiabili;

•spesso il CTP, nelle attività di valutazione di dati analitici o nella redazione di pareri o contributi istruttori, si trova ad essere inserito in un servizio operativo dove il responsabile che firma l’atto è un dirigente tecnico che può essere un ingegnere o un geologo.

Teoricamente, la firma del dirigente tecnico sovraordinato solleverebbe il CTP dalla responsabilità tecnica dell’atto ed annullerebbe la conseguente autonomia professionale ed intellettuale necessaria alla redazione dell’atto stesso e, pertanto, anche la rivendicazione di un adeguato inquadramento;

•un paradosso si può poi cogliere nel fatto che l’art. 348 del c.p. specifica che la mancata iscrizione all’ordine di appartenenza comporta il reato di esercizio abusivo della professione, in modo particolare per le professioni sanitarie secondo la novella introdotta dalla legge 3/2018. Ma le ARPA hanno inquadrato tutti i professionisti sanitari nel ruolo tecnico; inoltre, non esistendo un mansionario che specifichi gli ambiti di competenza del CTP non è dato sapere cosa sia autorizzato e cosa non sia autorizzato a fare il professionista.

Questo dovrebbe essere un approccio censurabile per un ente di controllo che commina sanzioni od obblighi ad altri enti pubblici e privati;

•Il personale esercente professioni sanitarie (in realtà, l’art. 16-bis del d.lgs. 502/1992 parla di “operarori sanitari”) è obbligato ad acquisire i prescritti crediti ECM e la corretta acquisizione è la condizione per la copertura assicurativa e la partecipazione alle selezioni interne di qualsiasi tipologia. Ma quanto detto riguarda i CTP biologi, chimici e fisici ?

•infine, si rileva una vera e propria lesione del principio di uguaglianza tra dipendenti pubblici, visto che ai CTP è preclusa la mobilità verso qualsiasi altra amministrazione pubblica, anche del SSN, per l’inesistenza del profilo corrispondente; ma anche la richiesta di mobilità tra ARPA ed ARPA deve avvenire per equivalenza di “profilo”, cioè, chimico con chimico, biologo con biologo e fisico con fisico, rendendo, in tal modo, minime le possibilità di attivare una mobilità.

Sembra davvero che sussistano tutte le condizioni impellenti per un intervento legislativo che possa eliminare tutte le disfunzioni segnalate cioè il “disallineamento” già rilevato dal Consiglio di Stato.


© RIPRODUZIONE RISERVATA