Medicina e ricerca
L’ictus è un’emergenza europea: +34% nei prossimi dieci anni. Il ruolo delle Stroke unit
di Ernesto Diffidenti
L’ictus è tra le prime cause di morte in Europa, la seconda per deficit cognitivo nell’adulto e in assoluto la prima per disabilità a lungo termine. Nonostante gli sforzi sino ad ora compiuti dai Paesi europei nell’affrontare questa «catastrofe umanitaria», ci si aspetta un aumento del 34% dei nuovi casi nei prossimi anni, soprattutto per l’invecchiamento della popolazione. E’ quanto emerge dal volume «L’impatto dell’ictus in Europa», a cura dell’Osservatorio Ictus Italia in collaborazione con la Stroke Alliance for Europe (Safe).
«L’ictus cerebrale è una condizione che affligge milioni di persone e famiglie al mondo, trasformando la loro esistenza in una realtà di sofferenza e perdita di autonomie - afferma Nicoletta Reale, presidente dell’Osservatorio Ictus Italia -. Abbiamo voluto diffondere la versione italiana del rapporto, per rendere disponibili alla popolazione maggiori informazioni sulla portata e sull’impatto della patologia, ma anche sul valore dell’impegno e del supporto che un’associazione di volontariato come A.L.I.Ce. Italia può offrire».
Lo studio del King’s College di Londra ha dimostrato che è possibile un notevole miglioramento dell’indice di sopravvivenza all’ictus grazie all’implementazione delle “stroke unit” e all’uso del trattamento di trombolisi. Tuttavia, nonostante l’inclusione di queste strutture nelle linee guida europee e nazionali, si è stimato che solo il 30% dei pazienti europei affetti da ictus riceve assistenza adeguata.
Per questo, secondo Danilo Toni, presidente eletto dell’Italian stroke organisation (Iso), occorre moltiplicare sul territorio le strutture dedicate. «Il costo immediato per l’attivazione di una struttura del genere e per la sua gestione - spiega - è sicuramente più elevato rispetto a quello di un “normale” reparto. Tuttavia, la gestione di un paziente in una unità appositamente adibita fa risparmiare molto il sistema sanitario nazionale in termini di costi sanitari futuri. Pensiamo ad esempio alla riduzione del tempo e del numero delle ospedalizzazioni».
Le proiezioni indicano che entro i prossimi venti anni ci sarà un complessivo aumento del 34% del numero totale di casi di ictus nell’Unione europea, cioè un passaggio da 613.148 casi nel 2015 a 819.771 nel 2035. Nel 2015 solo i costi sanitari diretti della patologia sono arrivati a 20 miliardi di euro nella Ue, mentre i costi indiretti, dovuti tanto al costo opportunità dell’assistenza informale della famiglia e degli amici, quanto alla perdita di produttività, causata dalla patologia o dalla morte, sono stati stimati nell’ordine di altri 25 miliardi di euro. In Italia, al contrario, secondo Antonio Carolei, presidente dell’Italian stroke organisation il trend è più positivo. «Dal 1970 ad oggi - ricorda - i casi si sono ridotti del 42% coinvolgendo anche la categoria più a rischio, quella degli over 75». Merito, soprattutto, dell’assistenza e della prevenzione. «Ma si può e si deve fare di più - sottolinea Valeria Caso, presidente dell’European stroke organisation (Eso) - prendendo in carico il paziente anche dopo l’emergenza accompagnandolo in tutta la fase post ricovero».
Insomma, come sollecita Simona Giampaoli, direttore del Dipartimento malattie cardiovascolari dell’Istituto superiore di sanità «la prevenzione e la corretta terapia dell’ictus dovrebbero rappresentare la priorità assoluta dei Paesi europei». Ancora oggi, infatti, il 70% degli italiani è obeso o in sovrappeso e circa un uomo su due è iperteso. Attualmente il tasso di morte per ictus nei diversi Stati varia da 30 a 170 casi ogni 100mila abitanti, differenza che dipende dalla eventuale presenza di Unità neurovascolari funzionali sul territorio.
«L’Europa è il continente dove le cure per l’ictus raggiungono gli standard qualitativi più alti, ma in Italia purtroppo ad oggi non esiste una vera e propria strategia nazionale di politica sanitaria sull’ictus e i cittadini non hanno pari accesso né alle informazioni sulla patologia né alle cure necessarie per prevenirla - afferma l’europarlamentare Aldo Patriciello che ha supportato l’iniziativa -. La ricerca clinica degli ultimi 60 anni ha dimostrato che interventi di prevenzione e assistenza organizzata come le Stroke unit possono ridurre in maniera significativa l’incidenza della malattia e migliorare la qualità della vita di coloro che ne sono colpiti e delle loro famiglie. È quindi necessario che le autorità competenti italiane si impegnino in questa direzione, nell’ottica di superare le disparità di accesso alle cure e di trattamento dei pazienti presenti sul territorio».
Appello raccolto da Gianluigi Gigli, coordinatore dell’Intergruppo parlamentare sui problemi sociali dell’ictus cerebrale. «Il rapporto presenta una grande disomogeneità tra paese e paese nell’approccio alla malattia - sottolinea - . Purtroppo la stessa disomogeneità si registra anche tra le regioni italiani con la Lombardia all’avanguardia e il Sud ad inseguire. L’impegno delle società scientifiche, dell’Osservatorio e dell’Interguppo parlamentare è quella di premere sulle istituzioni perché venga riconosciuto l’impatto dell’ictus sulla società e di conseguenza siano trovate le risposte adeguate per garantire al meglio la salute dei pazienti». Impegno richiesto anche da Luca Casertano, direttore dell’Area integrazione percorsi clinico assistenziali dell’ospedale San Camillo-Forlanini di Roma «a partire dagli investimenti per la telemedicina che avvicinano i diversi presìdi sul territorio» e Luigi Frati, ex rettore della Sapienza e direttore scientifico Irccs Neuromed secondo cui «andrebbero premiate le realtà scientifiche e virtuose e non quelle elettoralmente utili». Un esempio da seguire già esiste ed in Spagna dove Miquel Gallofrè ha implementato il Catalan Acute Stroke Network. «Partiamo da una visione positiva - conclude -: l’ictus si può prevenire e curare ma il tema deve coinvolgere l’intera società mentre le istituzioni devono garantire l’accesso alle cure e diminuire le disparità sul territorio».
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