Medicina e ricerca

Rivoluzione social, togliere il cellulare ai ragazzi è come prendere la loro identità

di Giuseppe Lavenia (presidente dell’Associazione nazionale dipendenze tecnologiche, gap e cyberbullismo)

Che cosa sta succedendo ai nostri ragazzi? Se lo stanno chiedendo in tanti, anche a seguito dei recenti, tristi, fatti di cronaca. Non è lontano, infatti, il racconto di un'insegnante arrivatoci da Monserrato nel cagliaritano, che dopo aver rimproverato un alunno più volte perché stava utilizzando il cellulare in classe è stata picchiata dall'adolescente. Sono dovuti intervenire i carabinieri. Sempre nella provincia sarda, un diciottenne redarguito per l'uso del device in aula viene invitato a estrarre la Sim dal telefono e a metterlo in una cassetta, come tutti gli altri compagni, ma anziché adempiere al compito, minaccia la prof e tenta di danneggiare la sua auto fuori dalla scuola. La narrazione di episodi simili potrebbero continuare a lungo, ma non può condurre a facili giudizi preconfezionati. Sarebbero sterili e poco funzionali alla comprensione.

La domanda che dovremmo farci, allora, è: cosa ci sta comunicando il cambiamento a cui stiamo assistendo? È in corso una rivoluzione epocale: da utilizzatori di internet siamo diventati creatori del mondo in internet. Il web, la rete, i social non sono strumenti da demonizzare a priori, ma son mezzi che fanno parte in modo indelebile della nostra quotidianità e, se usati in modo adeguato, possono essere anche d'aiuto ad ampliare le nostre conoscenze e il nostro pensiero critico. Certo, bisognerà selezionare le fonti da cui si attinge. Anche in natura ne esistono di più o meno buone: serve conoscerle. Bisognerà essere consapevoli ancora del fatto che le parole e le immagini postate contengono un messaggio e che non finiscono solo dietro a un schermo, ma davanti agli occhi di qualcun altro e toccano la sua sensibilità. Chi ci starà leggendo? Serve attenzione e non impulsività. Il tempo è l'altro fattore da considerare. I ragazzi, come gli adulti, utilizzatori di social, impiegano ore e ore per nutrire le loro pagine con post e immagini: la rete esiste perché qualcuno la frequenta.

Gli adolescenti utilizzano il loro tempo su questi mezzi sia come anti noia sia per costruire la loro identità, che per forza di cose oggi passa dal virtuale. Viviamo in una realtà aumentata e chi ha a che fare con gli adolescenti deve comprendere che sottrarre loro il cellulare è come prendere una parte di sé, una parte della loro identità. Inevitabilmente fa arrabbiare, e in alcuni casi diventare violenti, esattamente come succedeva agli adolescenti pre-internet quando veniva vietato loro l'uso di qualcosa che consideravano importante. È cambiato l'oggetto di interesse, ma non il modo di reagire. Questo, però, non giustifica la violenza, in nessun caso. Cosa possiamo fare per i nostri ragazzi? Conoscerli, dare buoni esempi, stare loro vicini e comprenderli, che non vuole dire assecondarli in ogni cosa. Queste azioni iniziano prima di tutto a casa, già da quando i figli sono bambini: i genitori dovrebbero conoscere sempre di più il mondo virtuale in cui stanno tante ore, accompagnando i figli nei vari passaggi della crescita, come è sempre stato prima di internet. Molto spesso, però, chi si fa prendere la mano dagli strumenti tecnologici sono proprio i grandi, comunicando ai ragazzi, senza l'uso delle parole e stando con la testa inclinata sul video dello smarthphone, che possono seguire le loro orme. Prendiamoci dei momenti di detox dalle nuove tecnologie, diamoci delle regole e dei tempi per parlare vis à vis, per raccontare delle radici da cui arriviamo.

Una delle domande che dovremmo porre ai nostri ragazzi è, per esempio, “come hai passato la tua giornata online?”. Per farsi raccontare la loro vita virtuale, cercando di condividere informazioni su cosa hanno vissuto, cosa hanno appreso, più che per controllarli o per indagare. Non limitiamoci, quindi, a dire loro “passi troppo tempo davanti cellulare” senza dare un'alternativa da condividere insieme e, soprattutto, prima di dire che quel che fanno non va bene, informiamoci sulle emozioni che li attraversano.


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