Medicina e ricerca
Parkinson giovanile: una disabilità invisibile
di Mirna Pacchetti, Aigp Onlus
24 Esclusivo per Sanità24
Quando si parla di Parkinson, nell'immaginario collettivo si pensa ad una persona anziana, di circa 80 anni e tremante. Quasi nessuno, a parte chi ne è affetto o ha un famigliare con questa patologia, sa che il Parkinson può colpire anche prima dei 40 anni.
Si stima che in Italia ci siano circa 300 mila persone affette da Parkinson, delle quali 75 mila con meno di 50 anni e 30 mila con meno di 40 anni, significa che un terzo dei malati ha il Parkinson giovanile. I numeri sono piuttosto importanti, ma il dato più significativo è che le previsioni indicano il raddoppio di casi entro il 2030. Eppure nessuno ne parla.
Le persone colpite da Parkinson giovanile affermano che la sofferenza, emotiva e psicologica, è molto forte e deriva dall'impossibilità permanente di rientrare nella normalità sociale, che implica avere un lavoro (e non una pensione d'invalidità), potersi prendere cura dei figli e vivere al meglio i 30 o 40 anni che ancora hanno di fronte a sé.
Il giovane parkinsoniano subisce il peso dell'equazione perdita della salute = perdita dell'approvazione sociale. In tale processo la persona sofferente viene lasciata sola con il suo dolore e con il peso della delusione di non essere all'altezza delle aspettative socio-culturali che vorrebbero l'individuo sempre in forma, sano, eternamente giovane, seducente e competitivo.
Un'altra forma di inadeguatezza vissuta dalle persone che soffrono di Parkinson giovanile sta nel non riuscire a mantenere i ritmi frenetici che la società e il mondo del lavoro impongono, in quanto il malato di Parkinson s'inserisce in un flusso temporale totalmente diverso e rallentato rispetto a quello degli altri.
Molto spesso quando una persona è colpita da una patologia degenerativa come il Parkinson, soprattutto a esordio giovanile, si sente disabile con il rischio di essere compatito, o peggio, emarginato nelle relazioni con gli altri.
Spesso la persona con Parkinson giovanile, si chiude in sè stessa ed evita contatti sociali che rischierebbero di diminure la stima nei suoi confronti, perché i sintomi della malattia (il tremore, i movimenti involontari, il camminare incerto) vengono scambiati per comportamenti di persone ubriache, drogate, perturbate o quanto meno sospette.
Se questa malattia cronica fosse più conosciuta, sarebbe meno difficile da sopportare e da accettare, ma lo stigma sociale è forte.
Partendo da queste premesse, l'11 giugno si è tenuto il Convegno “Le Disabilità Invisibili: focus sul Parkinson Giovanile”, che si è focalizzato su come far uscire i giovani parkinsoniani dall'invisibilità e come togliere loro lo stigma sociale, partendo dai risultati di un'indagine commissionata ad InTribe dall'associazione Aigp (Associazione Italiana Giovani Parkinsoniani) Onlus.
«Con questa analisi vogliamo portare all'attenzione della società cosa implica avere il Parkinson Giovanile» afferma Claudia Milani, Presidente di Aigp Onlus: «al fine di stimolare un'empatia collettiva che vada a beneficio di tutti e che consenta giovani parkinsoniani di sentirsi capiti e quindi accettati».
La scarsa percezione e conoscenza del Parkinson giovanile, in quanto malattia cronica, porta sovente ad una disattenzione da parte delle forze economiche, politiche e sociali. A causa di risorse limitate, viene data la prerogativa finanziaria a quei trattamenti efficaci a far ripristinare la funzione fisica entro un arco di tempo limitato, e quindi a favore di qualsiasi tipo di problema acuto ma non cronico.
Le scelte economiche relative ai fondi sanitari disponibili e le pratiche burocratiche distribuiscono quindi, nel tessuto sociale, iniquità nell'accesso alla cura. Il Giovane Parkinsoniano si trova a subire dei paradossi che limitano l'accesso a servizi sanitari che esulano dal sostegno farmacologico come, ad esempio, sessioni continuative di fisioterapia, logopedia, sostegno psicologico ecc.
L'indagine svolta è stata categorizzata nell'ottica del malato, al fine di creare uno strumento diagnostico nella comprensione del dolore dei malati, un dizionario che consente una più facile lettura di come il Parkinson giovanile viene vissuto, percepito e condiviso dalle persone affette da questa patologia.
Il concetto d'invisibilità assume, in questa analisi, una triplice faccia:
1.Invisibilità come incomprensione da parte della società
2.Invisibilità come omertà, scudo della famiglia attorno al malato o malato che si nasconde
3.Invisibilità, agli occhi dei medici, che molto spesso non vedono la persona nascosta dietro la patologia
Il cuore dell'analisi svolta è il Cultural Iceberg, uno strumento che fotografa il processo di costruzione dell'esperienza personale dei malati di Parkinson giovanile che sono parte di in un determinato ambiente socio-culturale.
Il concetto su cui si fonda questo strumento è che ciò che le persone comunicano deriva da valori culturali, credenze e convinzioni profonde. L'analisi quindi non può prescindere dai concetti di valori e di norme culturali, elementi indispensabili per determinare i comportamenti (volontari o involontari) causati dalla malattia.
Da questa analisi si evince come la cultura occidentale consideri la malattia come aspetto deviante e come tale da ripristinare, controllare e/o marginalizzare.
Le aspettative socio-culturali attribuiscono all'individuo la qualità ideale di decidere il proprio destino grazie alle capacità personali. Se, a causa di una patologia cronica, queste capacità vengono ridotte o annullate si è inadeguati: diventa quindi necessario cercare di rendere invisibile la propria malattia alla società.
In questo contesto i giovani parkinsoniani si sentono marchiati dalla malattia e, temendo che questo aspetto traspaia agli occhi degli altri, si ipermedicalizzano o giustificano costantemente i loro comportamenti anomali. Altri ancora, almeno in una fase iniziale delle relazioni, assumono atteggiamenti arroganti con una forte componente d'ira.
Nel corso dell'analisi e delle interviste è emerso come l'approccio alla malattia e la reazione emotiva dei familiari siano spesso diversi a seconda se il malato sia uomo o donna. Se l'uomo ha una maggiore possibilità di farsi carico della propria malattia e di trovare le strategie personali migliori per conviverci, la donna non abbandona mai, nonostante il Parkinson, il carico della famiglia e dell'eventuale lavoro.
Molte facce della medesima malattia: dalle differenze di genere, all'incomunicabilità con i medici, dalla perdita del lavoro al forte stigma sociale. La chiave di volta è racchiusa in una maggiore comprensione e accettazione del giovane parkinsoniano, come persona che ha le capacità di vivere una vita normale e appagante, come chiunque altro.
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