Lavoro e professione
6° Healthcare Summit del Sole-24Ore/ L’innovazione salverà il Servizio sanitario nazionale
di Barbara Gobbi e Rosanna Magnano
Dopo la lunga e forse necessaria fase di spending review, le cure pubbliche si salveranno soltanto con una dose massiccia di innovazione e governance. Ma la seconda avrà una chance di successo soltanto con una regia forte e con un’ampia partecipazione degli stakeholder: imprese, Regioni, cittadini e aziende sanitarie. Ma è impensabile che tutto questo possa avvenire a costo zero, così come troppo spesso si premette nei documenti di programmazione (da ultimo, la manovra 2018): servono investimenti appropriati e ben allocati, possibili solo previa ricognizione dei fabbisogni presenti e futuri. Questo il quadro tracciato dal dibattito che si è svolto al 6° Healthcare Summit del Gruppo Sole-24Ore, il 25 ottobre scorso a Roma.
Dunque, «no, industria, no Pil, no finanziamento»: davanti al rischio della tempesta perfetta che incombe sul Servizio sanitario nazionale - tra definanziamento, vetustà delle apparecchiature e burocrazia - le imprese del farmaco e del biomedicale mettono in campo i numeri reali e le potenzialità del settore. «Gli investimenti in sanità hanno un effetto moltiplicatore pari a 1.3 e generano non solo benessere, ma ricchezza e occupazione. La spesa farmaceutica vale l’1% del Pil a fronte di un pro capite inferiore del 25% alla media Ue», premette il presidente di Farmindustria, Massimo Scaccabarozzi, intervenuto al Summit. Mentre per Massimiliano Boggetti, presidente di Assobiomedica, il settore device «va sottratto al fuoco incrociato di gare centralizzate al massimo ribasso, che fanno prevalere economie di scala impedendo cure personalizzate di qualità, e a un quadro di incertezza normativa che a partire dall’introduzione nel 2015 del payback, anche in questo comparto finalizzato a ripianare gli sforamenti di spesa sui dispositivi medici, rischia di affossare il settore e di creare distorsioni della concorrenza».
Cambiare rotta diventa quindi la priorità e «la risposta può arrivare - avvisa il Dg della programmazione sanitaria del ministero della Salute, Andrea Urbani - da una governance complessiva in grado di rilanciare investimenti e innovazione nel Sistema sanitario nazionale, passando da nuovi modelli di business e partnership pubblico-privati». «Ma trattandosi di strumenti contrattuali complessi - ha ricordato Veronica Vecchi, esperta di Public management dell’Università Bocconi - che richiedono investimenti a lungo termine dell’ordine di 300-400 milioni di euro, serve un salto di qualità nelle strutture sanitarie pubbliche: va messa in campo una pipeline di investimenti, che consenta di fare massa critica e risulti conveniente per i partner privati all’interno di quadro di regole chiare e trasparenti». «Non è escluso - prosegue Urbani - che in legge di Bilancio si possano trovare le prime leve. Ministero, Aifa, Isitituto superiore di sanità, Istat, Inps - che paga 30 miliardi l’anno per indennità legate a malattie prevenibili - e un panel di Università italiane stanno lavorando a un modello predittivo per immaginare come si evolverà il fabbisogno di prestazioni da qui a trent’anni».
È questa la premessa per ottenere una rivoluzione nelle cure “value based”, che consenta di valorizzare gli investimenti in farmaci e tecnologie. Non siamo all’anno zero: il nucleo di valutazione degli investimenti del ministero ha appena terminato la ricognizione per Regione dei fabbisogni in edilizia e tecnologie. La priorità è uscire dalla logica dei progetti pilota e delle best practice, che rischiano di rimanere cattedrali nel deserto. Ma come sempre negli ultimi anni la coperta corta delle risorse per la sanità non aiuta. «Ammontano a 10,5 mld i tagli alle risorse per la sanità certificati dalla Corte dei conti tra il 2015 e il 2018», ha ricordato il presidente della Fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta. Mentre il Fondo sanitario nazionale, che il prossimo anno dovrebbe crescere nominalmente di un miliardo, è di fatto già decurtato di 604 mln di contributo alla finanza pubblica chiesto dallo Stato alle Regioni. A rischio non è quindi non è solo la spesa farmaceutica ma, sottolinea il coordinatore del Tdm-Cittadinanzattiva Tonino Aceti, «l’erogazione dei Livelli essenziali di assistenza, dove la cronicità avrà sempre più la parte del leone. In finanziaria ci sono bonus per tutti - continua Aceti - manca il più importante: quello per la Sanità. Ed è una scommessa che non possiamo permetterci di perdere. Mancano all’appello, in manovra, le risorse per il rinnovo dei contratti, l’abrogazione del superticket e un Dm 70 per il rilancio delle cure sul territorio». E a candidarsi, in questo generale rilancio, è anche l’ospedalità privata. Per Gabriele Pelissero, presidente di Aiop, la roadmap è chiara: rimuovere il tappo del Dl 95, invertire i trend della ricerca biomedicale, estendere anche alle tecnologie sanitarie il superammortamento previsto dal Ddl di Bilancio per l’industria 4.0».
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