Lavoro e professione

Indagine Faro, la medicina narrativa al servizio dei pazienti pneumologici

di Maria Giulia Marini e Valeria Gatti (Area Sanità e salute di Fondazione ISTUD)

Per la prima volta in Italia, un progetto di medicina narrativa coinvolge la penumologia.

Il progetto “FARO: Far luce Attraverso i Racconti di BPCO” (Broncopneumopatia Cronica-
Ostruttiva), realizzato da Fondazione ISTUD per Chiesi Farmaceutici è la prima ricerca a tre voci che raccoglie il punto di vista di pazienti, familiari e curanti in Italia. Lo studio si è svolto tra ottobre 2016 e luglio 2017: i partecipanti al progetto hanno compilato un'intervista con una traccia narrativa. Il progetto è stato supportato dalle principali società scientifiche nel campo della pneumologia (AIPO, SIP), della medicina di base (SIMG, FIMMG) e da Associazioni di cittadini e pazienti (ONLUS BPCO e Federasma e allergie).
All'indagine- 350 testimonianze- hanno aderito 235 pazienti, 55 familiari e 60 medici, per lo più pneumologi ma anche medici di medicina generale.
Dall'indagine FARO, dai tre punti di vista coinvolti, pazienti, familiari e medici, emerge un quadro complesso del percorso di cura e della consapevolezza che i pazienti e le loro famiglie hanno di questa condizione cronica.
In particolare, dai risultati emersi dall'analisi combinata delle narrazioni è emerso un tema comune a tutti e tre i punti di vista: nonostante secondo la World Health Organization (WHO) la BPCO sia la quarta causa di morte al mondo (ha mortalità più elevata perfino del tumore al polmone) 2 , il termine Bronco Pneumopatia Cronica Ostruttiva, come anche il suo acronimo BPCO, inducono molti pazienti e famiglie a sottovalutare la gravità della patologia. Se nella parte “razionale” dei racconti dei pazienti, ovvero la narrazione più descrittiva e fattuale, non emerge il rischio di morte per soffocamento, al contrario, nel linguaggio simbolico delle metafore, il subconscio avverte la paura di rimanere soffocati: “io chiusa in un sacchetto”, “uno tsunami che mi investe”, “un cuscino sulla faccia”.

Immaginare la malattia
Dunque, far leva proprio sulle immagini evocate quando il medico parla al paziente potrebbe essere la chiave comunicazionale per far comprendere più profondamente la gravità dei rischi a cui si può incorrere. Infatti, anche i medici sono pienamente consapevoli (89% degli intervistati) della difficoltà del nome “BPCO”, definito “incomprensibile”. Seppur con tutte le spiegazioni da parte del medico, questo termine tecnico però con difficoltà riesce a coinvolgere emotivamente il paziente alla diagnosi, almeno quando la malattia è ancora in fase lieve. Infatti, nella ricerca si è raccontato solo il 14% con BPCO lieve, probabilmente perché sfuggente ai controlli e non consapevole della minaccia della malattia. Ma la BPCO man mano che progredisce diventa sempre più invalidante “le attività sono ridotte a un lumicino”, “non è più come prima perché non posso fare niente in casa”, “essere limitato anche nel parlare e giocare con i nipoti”. Molti pazienti hanno dovuto interrompere attività quotidiane a causa della BPCO e presi nel complesso questi dati segnalano una forte perdita di autonomia.
L'ossigeno-terapia crea un cambiamento assai drastico della vita quotidiana: i pazienti spesso si ritirano in casa, annullando quindi quell'ultimo esercizio fisico, non osando più viaggiare per timore che la bombola finisca.
Poiché nei pazienti è evidente un progressivo indebolimento e inazione, la diretta conseguenza è spesso un eccessivo carico per la famiglia, che ricorre all'assistenza a pagamento solo nel 30% dei casi. La fatica infatti emerge dalle narrazioni dei familiari che si trovano limitati nella libertà d'azione «è molto pesante sia fisicamente che psicologicamente», «volersi bene è anche un grande sacrificio, mi chiama anche di notte alle tre…» .

Il fumo e la BPCO
Malgrado circa l'80% dei pazienti segua bene le cure e conosca i devices, il 20% dei pazienti ammette ancora di fumare, il 60% di aver smesso e il 20% di non aver mai fumato. Negli ex fumatori, il 78% ritiene oggi il fumo come l'elemento più nocivo a cui siano mai andati incontro nella loro vita, mentre ancora un 22% pericolosamente prova nostalgia della sigaretta perduta e perciò essi diventano una sottopopolazione da tenere in osservazione, e da supportare nel caso di eventuali eventi spiacevoli che possono spingere a consolarsi con la sigaretta. I familiari spesso odiano il fumo, poiché questa dipendenza è la causa della malattia, «il mio nemico, non sopporto le persone che fumano”, “troppo eccessivo, la causa di tutto, di ogni rovina”. Rispetto al fumo, nel 47% dei casi i medici assumono un atteggiamento sanzionatorio, a rischio dell'alleanza terapeutica, mentre altri optano per un atteggiamento più negoziale e di sostegno.
Un dato significativo relativo al “Carico della Malattia” spiazza le convinzioni che la BPCO sia solo una questione che riguarda gli anziani (dei 235 pazienti, solo il 26% ha avuto la diagnosi quando era già in pensione): il 49% ha subito modifiche lavorative sostanziali. “Era tutto prima, adesso non riesco neanche ad allacciarmi le scarpe”, “ho capito che era giunto il momento di smettere”.

25 giornate lavorative perse all'anno
Per i familiari il “Carico della Malattia” si rivela nei tempi di assistenza: il 57% dei familiari assiste il proprio familiare oltre le 3 ore giornaliere, il 16% dei rispondenti arriva a superare le 8 ore, un numero incompatibile con il lavoro.
Solo nel 48% le narrazioni dei pazienti mostrano accettazione della propria condizione: “prima riuscivo a fare le scale senza fiatone, ora fare una rampa di scale è la mia conquista”, “ora che vado più lentamente riesco finalmente a godermi il paesaggio”.
Il progetto FARO ha fatto luce sulla necessità di stabilire una relazione profonda e di fiducia con il proprio medico e con la possibile equipe: “Il cuscino sulla faccia” è un simbolo di una malattia “sordida”, che uccide per soffocamento. Proprio perché la BPCO è nascosta, anche da un linguaggio distanziante, è più complesso sviluppare una empatia emozionale e cognitiva tra medico e paziente. Il familiare risulta caricato di una fatica fisica e psicologica e non è sufficientemente aiutato nell'assistenza e nella lotta contro il fumo. Far luce significa trovare codici di relazione più efficaci sul rischio della malattia, che permettano un allineamento terapeutico tra i curanti, i curati e famiglie.


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