Lavoro e professione
L’aborto tardivo e i problemi irrisolti della legge 194
di Mario De Curtis (docente ordinario di Pediatria, Università di Roma La Sapienza, membro del Comitato Nazionale per la Bioetica)
Nel 1978 quando fu introdotta la legge 194 sull'interruzione volontaria della gravidanza la soglia di sopravvivenza dei neonati prematuri era a 24-25 settimane di età gestazionale. Oggi, grazie al miglioramento delle conoscenze mediche e delle tecnologie, questa soglia si è progressivamente abbassata a 22 settimane. Questo cambiamento ci impone nuove problematiche bioetiche di difficile soluzione.
La legge 194, infatti, prevede all'articolo 6 che “l'interruzione volontaria della gravidanza può essere praticata dopo i primi 90 giorni: a) quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna; b) quando siano accertati processi patologici, tra cui quelli relativi a rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna”.
Inoltre l'art 7 recita: “Quando sussiste la possibilità di vita autonoma del feto, l'interruzione della gravidanza può essere praticata solo nel caso di cui alla lettera a) dell'articolo 6 e il medico che esegue l'intervento deve adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita del feto”.
Nella legge non si fa mai riferimento all'età gestazionale. Oggi, in molti centri italiani, la sopravvivenza nei nati a 22 e 23 settimane è mediamente del 23% e del 32% (dati 2013 dell'Italian Vermont Oxford Network). In questi nati estremamente pretermine è molto alta l'incidenza a distanza di disabilità. Il problema che si pone è il seguente: il nato da un aborto tardivo, spesso affetto da malformazioni gravi, ha quasi sempre un'attività cardiaca e generalmente muore poco dopo la nascita. Il neonatologo che viene chiamato in sala parto che cosa deve fare? Deve assisterlo come un nato da parto spontaneo? Deve applicare solo cure palliative? Se lo assiste viene riconosciuto come nato vivo e quindi viene aperta una cartella clinica. In caso di decesso andrà poi compilato il certificato di morte, che costringerà i genitori ad occuparsi del conseguente funerale.
Le ripercussioni psicologiche sono rilevanti, soprattutto per la donna. Nel Lazio, nel 2015, ci sono state 9617 interruzioni di gravidanza (circa il 10% di tutte quelle praticate in Italia). Di queste 55 a 22 settimane, 19 a 23 settimane, e 3 successivamente. Appare evidente la differenza tra il nato spontaneamente a 22-23 settimane per il quale oggi generalmente si inizia una rianimazione, salvo poi a sospenderla se ci si rende conto che l'intervento terapeutico è futile, e il nato da un aborto tardivo.È logico ed eticamente giustificabile assistere un nato a 22-23 settimane da aborto tardivo e con malformazioni gravi, con un rischio altissimo, se sopravvive, di insorgenza di una grave disabilità, quando la madre ha deciso di interrompere la gravidanza? Alcuni credono che sia una crudeltà, altri invece ritengono che il feto vitale vada sempre rianimato. Il neonatologo non può essere lasciato solo nella decisione di cosa sia più giusto fare, per essere poi accusato di mancata assistenza o, di contro, di accanimento terapeutico.
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