Lavoro e professione
Formazione in Medicina, il piano del Cun
di Andrea Lenzi (presidente del Consiglio universitario nazionale - Cun - e della Conferenzapermanente dei presidentidi corso in medicinae chirurgia - Cppclmm&C)
24 Esclusivo per Sanità24
Che la formazione medica italiana sia fra le migliori è un dato oggettivo: i nostri medici sono sempre più spesso reclutati all’estero con risultati di carriera eccellenti, il nostro Ssn è fra i migliori del mondo, la ricerca clinica è al top nel mondo e i modelli formativi delle professioni dell’area sanitaria danno risultati così positivi che altre professioni tecniche si propongono di imitarli. Ciò detto, sarebbe miope non ascoltare le critiche se razionali e motivate da scopi virtuosi: le analizzerò per punti.
Il reclutamento delle matricole soffre la mancanza di un “orientamento in entrata” in accordo con la scuola superiore (https://www.cun.it/uploads/6241/Analisi_proposta_del_05042016.pdf?v= ). Il numero di candidati, 6-7 volte superiore ai posti disponibili, ha portato a critiche sul test di accesso, aggravate, di recente, dalla débâcle legata a numerosi ricorsi, ma proprio da questa situazione stiamo traendo dati di confronto fra i candidati che hanno avuto successo al test e i candidati ricorsisti per valutare cosa accadrebbe nel caso di abolizione del test. I dati preliminari indicano una forte capacità discriminate del “successo al test” in termini di numero e risultato degli esami dopo l’accesso; d’altra parte non possiamo rinunciare a numero programmato e frequenza obbligatoria che consentono ai corsi di medicina di laureare oltre l’85% degli studenti, ma dobbiamo avere un forte orientamento che dia all’aspirante medico la cognizione del tipo di professione a cui va incontro.
I corsi di Medicina e chirurgia sono costantemente controllati dalla Cppclmm&C mediante le Site Visit di accreditamento, il core curriculum che garantisce l’omogeneità nazionale e il Progress test per il monitoraggio della qualità di apprendimento, diventato ormai strumento universalmente imitato. La maggiore critica mossa ai corsi italiani è l’attenzione data al “sapere” rispetto al “saper fare” se confrontati ad altre realtà internazionali.
Molto si è fatto per dare maggiore attenzione alle attività professionalizzanti, ma devo sottolineare che nel mondo si sta invertendo la tendenza: il medico dovrà lavorare per 40 anni in un contesto non prevedibile in termini di variazioni socio-economico-sanitarie e tecnologiche. Il “prodotto finito laureato in medicina standard italiano”, per la sua cultura e capacità di aggiornamento è un modello molto ricercato e ora imitato da quei sistemi che davano più spazio alla professionalità rispetto alle conoscenze teoriche.
In dirittura d’arrivo la “laurea abilitante” che abbrevierà di almeno sei mesi il post laurea includendo il tirocinio professionalizzante nel corso di laurea e consentendo la contemporaneità fra laurea e abilitazione. Questo provvedimento ha trovato l’accordo unanime delle rappresentanze studentesche e una commissione costituita al Miur produrrà il Dm per consentire di lavorare o concorrere al corso post-laurea senza perdite di tempo.
A questo punto veniamo alla formazione post laurea. Una premessa va fatta, per eliminare alcuni falsi miti: il sistema formativo universitario non ha alcuna responsabilità:
1) nella programmazione dei numeri per medicina e dei fabbisogni per le specializzazioni, anche se sono fermamente convinto che i numeri dell’accesso programmato a medicina dovrebbero essere ridotti;
2) per i problemi nella organizzazione dei test di accesso e relativi ricorsi, va sottolineato che il sistema universitario, con grande spirito di servizio, ha riassorbito gli immatricolati in eccesso;
3) sulla ripartizione dei laureati in Specializzazioni e Medicina generale (il così detto imbuto formativo), anche se sono convinto che il nostro Ssn dovrebbe programmare più medicina del territorio e meno specialisti;
4) sulla non applicazione del modello delle specializzazioni ai Corsi di Medicina generale, cosa su cui l’università si è sempre dichiarata disponibile producendo documenti rimasti inascoltati.
Fatta chiarezza su quanto sopra e chiedendo con fermezza che certe affermazioni “a effetto” siano lasciate ai talk show, la domanda del Cun nella tanto discussa mozione (https://www.cun.it/uploads/6234/Raccomandazione_del_05042016.pdf?v= ) è per quale motivo non utilizzare quanto già previsto dal Di 68/2015 (decreto interministeriale ministro Università e Salute), che solo un anno fa ha riordinato i percorsi formativi delle scuole? In particolare, l’articolo 3, comma 4, di suddetto Di, prevede l’obbligatorietà della rete formativa (come richiesto dai fautori della circolazione degli specializzandi nelle strutture del Ssn) con l’unica precisazione che le strutture e i docenti del Ssn, indicati dalle Regioni, saranno valutati secondo indicatori di performance e di qualità come le sedi universitarie. Se, come si afferma, è velleitario il dubbio che si vogliano utilizzare gli specializzandi per le sole esigenze di organico del Ssn, perché creare un mostro giuridico: un sistema in cui coesistono due percorsi formativi, di cui uno di difficile controllo e standardizzazione e addirittura retribuito a parte? Quale delle due tipologie di specialista alla fine sarebbe il privilegiato? Questo ci chiedono gli oltre 30.000 specializzandi e le loro rappresentanze. Perché non lasciare che l’Osservatorio della Medicina specialistica determini rapidamente requisiti, standard di docenza, di struttura e di casistica e, soprattutto, indicatori di performance che consentano di identificare le sedi universitarie meritevoli di rimanere attive e i reparti del Ssn adeguati per la rete formativa, perché si spinge per l’uscita degli specializzandi dal circuito universitario dove si acquisiscono le “conoscenze e abilità manuali”, ma anche la “capacità critica” per affrontare 40 anni di professione in un mondo in continua evoluzione, perché per essere realmente innovativi, e non timorosi della valutazione, non si propone invece un esame finale nazionale per ogni specialità secondo le migliori best practice internazionali, che metta a confronto le varie Scuole?
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