Lavoro e professione
ESCLUSIVA/ Studio Anaao Giovani: Il lavoro ai tempi del burnout
La «deregulation» dell'orario di lavoro dei medici, complice il progressivo depauperamento del Ssn, è ormai diventata un elemento strutturale della programmazione. Una deriva di fatto consolidata che rischia di essere pagata a caro prezzo. In termini di perdita di salute dei lavoratori e di sicurezza dei pazienti.
Con il decreto legislativo n. 66 dell'8 aprile 2003 vengono ridefiniti gli aspetti dell'organizzazione del lavoro sulla base della direttiva europea 93/104. Per i dirigenti del Ssn l'orario di lavoro consta di 38 ore suddivise in 34 ore da svolgere per attività assistenziali e gestionali e 4 ore utilizzabili per l'aggiornamento facoltativo compatibilmente con le esigenze funzionali della struttura di appartenenza. La durata media dell'orario di lavoro (articolo 4) non può in ogni caso superare, per ogni periodo di sette giorni, le quarantotto ore, comprese le ore di lavoro straordinario. Il lavoro straordinario (articolo 5) è ammesso solo previo accordo tra il datore di lavoro e il lavoratore per un periodo che non superi le 250 ore annuali.
È inoltre possibile solamente per garantire la continuità assistenziale e per prestazioni con carattere eccezionale, rispondenti a effettive esigenze di servizio. Da ciò deriva quindi che lo straordinario non possa essere utilizzato come fattore ordinario di programmazione del lavoro. Ferma restando la durata normale dell'orario settimanale (articolo 7) il lavoratore ha diritto a 11 ore di riposo consecutivo ogni 24 ore (riposo giornaliero) e a un periodo di riposo (articolo 9) ogni 7 giorni di almeno 24 ore (riposo settimanale).
La real life italiana. A fronte di questa salvaguardia legislativa, il progressivo sottofinanziamento del Ssn e la deriva "economicistica" delle Aziende sanitarie hanno progressivamente contribuito a una "deregulation" dell'orario di lavoro. L'aumento dei carichi con una maggiore utilizzazione della forza lavoro professionale a parità di costi ha permesso un aumento del numero delle prestazioni a scapito di un evidente peggioramento delle condizioni lavorative e di un incremento del rischio clinico e del disagio, umano e professionale.
Le Finanziarie del Governo Prodi e del Governo Berlusconi hanno poi di fatto legalizzato questo stato di cose attraverso l'abrogazione per i soli dirigenti del Ssn del limite massimo di lavoro giornaliero e settimanale e della normativa sui riposi giornalieri e settimanali. In un sistema di organizzazione industriale inteso come un insieme non solo di uomini ma anche di macchine e attrezzature finalizzato alla produzione e al profitto, questa politica gestionale potrebbe avere degli indubbi vantaggi obiettivi ma se si considera che in ambito sanitario la forza lavoro è fatta solo di persone e il prodotto "finito" è il paziente questa gestione lavorativa può presentare solo evidenti criticità. Se pur il lavoro del medico nell'immaginario collettivo più che un lavoro è sempre stato considerato una missione, non possiamo non considerare che essere medico oggi è sicuramente più difficile di quanto non lo fosse 30 anni fa. Il progresso scientifico se da un lato ha nettamente migliorato le curve di sopravvivenza elevando gli standard di cura, dall'altro ha però imposto al professionista sanitario una "illimitata" preparazione scientifica e al paziente e ai suoi familiari delle "illimitate" aspettative di vita. Tutto ciò si traduce frequentemente in un sovraccarico di ansia e stress con evidente peggioramento delle condizioni lavorative e della qualità di vita del medico stesso.
Deregulation dell'orario lavorativo e malattie professionali: i dati della letteratura scientifica. Ma la mancata fruizione del periodo di riposo può e deve essere solo una scelta individuale del medico magari anche imposta? La giurisprudenza e la nostra carta della salute ci dicono di no. Il protrarsi dell'attività lavorativa, in condizioni routinarie, oltre l'orario di lavoro previsto dal Ccnl e dalle normative vigenti, viene considerato, in caso di evento avverso, "condotta imprudente" e costituisce in un giudizio un'aggravante, ritenendosi come volontaria l'accettazione del turno irregolare e i rischi connessi.
La letteratura (tabella 1-pdf allegato) con le sue review, i suoi studi osservazionali e retrospettivi rincara la "dose" dimostrandoci come la salute del medico non è infallibile e come duri turni lavorativi sono più frequentemente associati all'insorgenza di patologie in vari ambiti. Eccessive ore lavorative specie nel periodo notturno sono un fattore contribuente (tabelle 2-3 -pdf allegato) per un danno da puntura nel 31% dei casi (Jama 2006, Lung 2007), sono paragonabili come performance cognitive a un tasso alcolemico di 0,4%-0,5% (Jama 2005), sono associate a un rischio doppio di patologie cerebrovascolari (International Journal of Stroke 2013) (tabella 4), a un rischio aumentato del 30% di malattie metaboliche come il diabete (The Lancet diabetes and Endocrinology, 2014) e patologie cardiovascolari (Risk ratio 1.23) (tabella 5 e tabella 6-pdf allegato) così come a un rischio doppio di parti prematuri (Pregnancy and Childbirth 2014) (tabella 7-pdf allegato). Tutto ciò trova una sua conferma dal riscontro di elevati livelli di marker pro-infiammatori come IL-6 e la Pcr e di fattori vasocostrittori rispetto a fattori vasodilatanti (Lung 2006). Se a questo si aggiungono l'aumento del rischio clinico (errori di somministrazioni e prescrizioni) correlato alla fatica e il rischio doppio di incidenti stradali (Lung 2007) di chi subisce un duro orario lavorativo risulta evidente come gli effetti di questa deregulation non ricadono solo su chi la subisce ma virtualmente su tutta la comunità. Ed è curioso come un editoriale pubblicato su "Lung" (Scot A et al. The Impact of Housestaff Fatigue on Occupational and Patient Safety. 2007) oltre a riportare tutti gli effetti nefasti di un duro lavoro sulla salute abbia poi sottolineato come essendo la cultura di ore eccessive e di sforzo sovrumano ben consolidata tra tutti i medici è improbabile che possa cambiare autonomamente. Il paziente ha solo molto da perdere da un errore medico così come il medico stesso ed è pertanto la comunità che deve attuare e pretendere il cambiamento ideando nuove strategie per evitare i rischi sanitari associati a uno stato di fatica cronica.
La posizione europea. Gli interventi regressivi dei vari Governi italiani che hanno legalizzato questa nefasta organizzazione lavorativa non hanno di fatto rispettato la direttiva Ue in merito alla salvaguardia delle tutele lavorative. I medici attivi nel Ssn sono formalmente classificati come dirigenti senza necessariamente godere delle prerogative o dell'autonomia dirigenziale durante il loro orario di lavoro e in più la direttiva non consente agli Stati membri di escludere i dirigenti o le altre persone aventi potere di decisione autonomo dal godimento di tali diritti. L'Italia pertanto è stata deferita alla Corte di Giustizia Ue. Ma questa è una storia che già conosciamo, e per l'ennesima volta è l'Europa che interviene a garantire i diritti dei cittadini italiani. Sono quindi in partenza promossi da più parti i ricorsi contro lo Stato italiano per le mancate tutele lavorative dei dirigenti sanitari nazionali.